mercoledì 26 ottobre 2011

Samhain in arrivo.

Sul molo, di fronte al faro... il vento freddo lo abbraccia, ma l'uomo resiste tenace a guardare il mare mosso. La nebbia sta salendo dal mare, presto l'orizzonte scomparirà in una coltre di latte, ma per il momento è ancora visibile, insieme al cielo a malapena illuminato dalle stelle. Rabbrividisce, ma non ha ancora voglia di rientrare in casa. Quando infine si decide a farlo, resta di sasso a guardare il molo. Una folla, letteralmente. Un centinaio di persone che camminano, uscendo dal mare. Lentamente, a passi misurati, si arrampicano fuori dall'acqua e si incamminano verso il mare. I loro abiti sono i più diversi, dalle marsine da marinaio del seicento fino alle divise della marina americana del secolo corrente. Guardano fissamente di fronte a se, senza guardarsi attorno, senza nemmeno sfiorarsi. Espressioni attonite sono dipinte sui volti pallidi, gli occhi spalancati, neri e profondi come pozzi.
Il mago avanza, silenzioso. Guarda gli abiti stracciati, le mani divorate dai pesci, la pelle cadente. I morti in mare tornano a riva. Il passaggio di Samhain comincia ad aprirsi, lentamente. La luna nera spalanca le porte verso il lato oscuro, e chi non poteva tornare si affaccia per un attimo sul mondo dei vivi, per una fuggevole occhiata.
Rabbrividendo ancora di più di un freddo arcano il mago torna al faro, chiude la porta e sigilla tutte le entrate, porte e finestre, con sigilli magici di protezione. Non ha proprio voglia di questo genere di visite notturne... per i prossimi giorni sarà il caso di rafforzare le difese magiche. Si infila nel suo studio, accompagnato da un bicchiere di scotch, per studiare le nuove protezioni, e si addormenta in poltrona.

lunedì 24 ottobre 2011

Jack O'Lantern fine

“Perché? Perché devo vedere queste persone? Che cosa mi vuoi dire, che sono stato un assassino? Credi che non me lo ricordi?”
NO. VOGLIO CHE TU VEDA ALTRO IN QUESTE MORTI, TOM. MI HANNO MANDATO AD INSEGNARTI ALTRO CHE IL RIMORSO. QUELLO MI PARE CHE TU LO STIA IMPARANDO PER CONTO TUO, NON È VERO?
Lo spirito si girò, voltandogli le spalle. Gli fece un cenno con la mano, per invitarlo a seguirlo, ma Tom non avrebbe potuto disobbedirgli. Si incamminarono lungo la discesa, e parve che la nebbia si dissipasse. Ora di fronte a loro si ergevano le rovine di una grande villa signorile. Non fu difficile per il mago riconoscerla. Era quella da cui era fuggito, quando era tornato in vita. Ben sette spiriti si alzarono da quelle rovine, avvicinandosi alla coppia. Ma una sola osò avvicinarsi, uno spirito femminile.
“Anya.” mormorò Tom.
“Mio Signore...” la voce roca della donna aveva ancora un tono sensuale, come Tom lo ricordava. “Non me lo aspettavo, sapete? Non avrei mai pensato che sareste fuggito, che poteste desiderare una vita diversa... che delusione. Non vi avremmo riportato in vita, se avessimo pensato che potevate tornare diverso... rabbonito! Ma io dico che sotto sotto... siete stato solo un pavido. Siete fuggito da noi per fuggire a voi stesso. Avete paura di ammettere che siete ancora lo stesso. Che non siete cambiato, che vi è piaciuto ucciderci. Abbiamo riportato in vita la parte peggiore.. quella pavida, umana!”
Rise. Cominciò a ridere, irrefrenabilmente, di fronte a Tom che sentiva le lacrime scorrergli sul viso. La sola cosa che lo aveva tenuto aggrappato alla vita, fino ad ora, era che la sua vita avesse un senso diverso. Che quelle morti iniziali potessero non significare un altro fallimento. Sapeva che erano mangiamorte, che se li avesse guidati sarebbe ricominciato tutto. Aveva voluto credere che ucciderli e fuggire fosse stato il prezzo da pagare per un nuovo inizio, ma forse non era vero... forse era solo un'altra sconfitta, la prova che non era cambiato, che non poteva cambiare.
“Basta!” gridò, alzando una mano ed attraversando il volto ectoplasmatico della donna, come se potesse schiaffeggiarla. L'attraversò, e la donna non smise di ridere. Anzi, rise più forte, sparendo tra le rovine, seguita dalle ombre silenziose degli altri sei.
“Basta...” mormorò il mago, il viso solcato dalle lacrime, rivolgendosi verso lo scheletro ammantato, il teschio ghignante che pareva guardarlo ancora più beffardo. “Ti prego, riportami indietro..” tremava, non si era mai sentito così impotente. Si sentiva svuotato, come se la sua magia fosse scomparsa totalmente.
TOM... ABBIAMO ANCORA COSì TANTO DA VEDERE! CORAGGIO.
“Ti prego... non posso vedere altro.” Prese fiato. “E poi ora... non ho più ucciso nessuno. Sono...”
Stava per dire di essere una brava persona, ma non era vero, lo sapeva. La cosa che più lo spaventava era la consapevolezza di conservare ancora dentro di sé un nucleo intatto di odio verso il mondo, di fastidio ed insofferenza verso l'umanità intera che spesso sfociava in malumori devastanti. Non odiava più solo i babbani, il suo fastidio si era traghettato intatto verso tutto il resto dell'umanità, maghi e non maghi. Lo teneva a bada, ma sapeva che era lì, bruciante, tutte le volte che si trovava in mezzo alla folla, ogni volta che toccava con mano i pregiudizi, l'ignoranza, la superficialità, l'indifferenza. Solo che stavolta non la vedeva solo nei babbani ma anche nei maghi. Ed era sempre più restio a mescolarsi tra la gente. Ora che non riusciva a dimenticare Reyes, che non riusciva più ad innamorarsi, si sentiva sempre più isolato dal mondo, lontano, pieno di rabbia e di dolore. Ed aveva paura di sprofondare di nuovo nell'odio, nella rabbia che aveva coltivato prima della sua sconfitta, fino a ricominciare ad uccidere come un tempo.
DOBBIAMO CONTINUARE, TOM. HAI VISTO IL PASSATO, ORA VEDRAI IL TUO PRESENTE.
Attorno a loro si materializzò un cimitero. Lo riconobbe, era celeberrimo. Pere Lachaise, a Parigi. Ed una tomba che aveva visto solo nelle foto dei giornali, il giorno del funerale. La tomba che conteneva la salma della sua ex moglie. La Diva.
La donna emerse dalla fredda pietra, algida e bellissima, ancora più di quanto fosse in vita. Solo l'espressione era dura, feroce, più di quanto l'avesse mai vista. L'ombra alzò il viso ed una mano, indicandolo con l'indice, teatralmente. Nella morte, quanto lo era stata in vita.
“Tu!” Esclamò. “Mi hai ingannata... non mi hai mai amata veramente. Non eri capace di amare! Io, io sì ti ho amato! Quanto la mia vita, quanto la mia stessa anima! Ma tu! Non tu... freddo, incapace di amare, bugiardo!”
Il mago scuoteva la testa. Cercò di rispondere, aprendo e chiudendo la bocca. Dentro di sé sapeva che non era vero, che ne era stato innamorato... forse non l'aveva amata altrettanto, forse lei lo aveva amato di più, ma non era stato totalmente freddo. Ma non riusciva ad esprimerlo, così come non ne era stato capace quando era in vita, quando stavano insieme. Quello, tra le molte cose, aveva ucciso il loro matrimonio. I suoi silenzi, le sue amarezze. Quello aveva ucciso tutti i suoi amori, anche quando aveva imparato ad esprimerli, il buio che si portava dentro annichiliva tutti i suoi rapporti. Non sarebbe mai stato capace di amare davvero, non avrebbe mai potuto redimersi. Tutte quelle morti non potevano che dirgli quello. Era condannato, era un mostro destinato alla solitudine, se solo riusciva a evitare di tornare ad essere un assassino come prima.
Cadde sulle ginocchia, cominciando a piangere calde lacrime, singhiozzando, quasi gridando di dolore. Non vedeva speranze, non vedeva futuro. Tutto quello che aveva fatto era inutile, poteva solo far male a se ed agli altri. Forse la sola cosa sensata sarebbe stata che Jack lo portasse via, subito. Immediatamente.
Forse era per quello che era arrivato? Era quella la ragione per cui non esistevano testimonianze sul funzionamento della maledizione di Halloween? Perché erano tutti morti. Non si sopravviveva alla visita di Jack. Prese fiato, posando le mani sulle cosce. Alzò il viso tormentato verso lo spirito.
“Sei venuto a prendermi? Sei qui a portarmi via, non è vero?”
Per un attimo il pensiero gli parve buffo. Condannato a morte non per i suoi veri peccati, ma per non aver saputo trovare una lavatrice d'antiquariato ad una vecchia rincitrullita. Sulla maschera di Jack la luce cambiò tonalità, per un attimo Tom pensò sorridesse.
NO TOM. NON SONO QUI PER PORTARTI VIA. NON ANCORA, ALMENO.
Il mago abbassò la testa... in parte sollevato, in parte affranto.
“Cosa vuoi ancora da me? Perché mi stai mostrando tutto questo?”
LO CAPIRAI, TOM. DOPO QUESTO.
Lo spazio attorno a loro cambiò ancora. Era sempre un cimitero, ma era diverso, questa volta. Non sapeva dove potevano essere, ma le tombe erano di più attorno a loro. Sembrava un cimitero militare, lapidi ordinate in mezzo all'erba, a perdita d'occhio. Alcune erano semplici croci, altre avevano una foto e qualche scritta. Lo spirito lo precedette, camminando tra le lapidi. Ogni tanto si fermava, indicandogliele. Tom si alzò a fatica e cominciò a leggere le lapidi. I nomi che lesse lo lasciarono agghiacciato.
Michael Jim Raven. Helena Esmen. Raiden des Chateaubriandt. Lily Addams, Derek Gutierrez, Richard Murray, Cletus Crowley Riddle. Tanti altri. Tanti nomi, tante parole in ricordo, tanti quanti erano gli affetti più recenti del mago, da quando era tornato. Tom rabbrividì, leggendo i nomi, senza fiato. Tutte sue vittime? Alla fine avrebbe ucciso anche loro? Avrebbero avuto anche loro qualcosa da rinfacciargli? Lesse le lapidi, su cui c'erano scritte. Tante memorie, tante parole affettuose.
Mentre camminava tra le lapidi, vide una figura camminare tra esse. Una figura familiare, femminile, seguita da un altro paio, poco dietro. Tre figure ammantate, vestite di nero. Si avvicinarono, sentirono le due più arretrate parlare tra loro, mentre la prima camminava decisa, portando fiori tra le braccia.
“Possibile che ogni anno dobbiamo seguirla in questo calvario? Quando la smetterà di rimpiangerli?” disse una familiare voce femminile.
“È il suo modo di restare umana... è la sua maniera di mantenere un ricordo. Bisogna comprenderla.” disse l'altra, maschile.
“Sì, ma è una rottura! Tutta la corte le ride dietro, per questa debolezza!”
“Non le ridono dietro... la rispettano per questo. Anzi, qualcuno l'invidia.”
“Tu, forse? Il grande Jason rimpiange la propria umanità?”
“No, Helena... compiango chi l'ha persa tanto da non comprenderla.”
Il mago li riconobbe. Helena Kemp e Jason Kovacs, i consiglieri della regina dei vampiri. Allora la figura che camminava poteva esser solo lei. La inseguì, fino a raggiungerla. Reyes Bloodsworth camminava spedita tra le tombe, fermandosi a posare i fiori ed a mormorare qualcosa a ciascuno. Si fermò sulla tomba di Fenrir Greyback, mormorando qualcosa mentre accarezzava la foto. Appariva molto più vecchio di quanto il mago lo ricordasse, e solo allora si rese conto che tutte le foto sulle lapidi ritraevano dei vecchi. La seguì, mentre arrivava all'ultima. La vide sedersi, posare un mazzo di rose nere, carezzare una foto che non riconosceva e sorridere.
“Tuo nipote è diventato padre, sai?” diceva. “Ad Hogwarts gli hanno fatto festa, quando lo ha detto. Tutti i suoi allievi gli hanno fatto i complimenti. Una coppia di gemelli. Hanno tutti i tuoi occhi, Tom. Blu come il mare.”
Il mago si sedette, invisibile, accanto alla vampira, commosso nel vederle luccicare delle lacrime negli occhi.
“Ormai non puoi vederli, ma io si. Vedrò i tuoi bis- nipoti crescere e diventare grandi maghi, come te. Onorati, amati. Sono brave persone, sai? Hai lasciato dietro di te tanta luce, anche se credevi di non esserne capace. Spero che tu e tua moglie, ovunque siate, possiate vederli, come li vedo io. Vorrei che foste ancora qui, vorrei che foste ancora qui con me, tutti quanti...”
Il mago guardò le lacrime scorrere sul viso della vampira, straziato. Allungò una mano per asciugargliele, ma il suo tocco era evanescente, e non ottenne alcun effetto. Guardò la foto sulla lapide, riconoscendosi, infine. Era lui, il volto attraversato da rughe. La scritta era semplice, elementare.
Tom Crowley Riddle, amato marito, padre affettuoso, amico sincero.

Tom si svegliò di soprassalto. Sudato, ansimante, si portò una mano al petto. Era stato solo un sogno? Nessuno meglio di lui sapeva che anche i sogni potevano essere reali. Si guardò attorno e tutto era uguale come sempre, nella sua stanza. Nulla era cambiato. Tranne quella zucca intagliata, sul comodino. Non era una zucca vera, era fatta di marzapane. Un biglietto era appoggiato di fronte ad essa, e nella calligrafia un po' infantile di Cletus era scritto:
“Felice Halloween, Tom! La colazione ti aspetta in cucina, io sono a fare la spesa, ma torno prima di pranzo. C.”
Il mago si alzò, prese in mano il dolce e lo osservò, incuriosito. Il volto sogghignante era identico allo spirito del suo sogno. Non avrebbe saputo dire se era stato solo un sogno oppure no, ma non era il tipo da sottovalutare una maledizione fatta da una vecchia fattucchiera. Tornò in negozio, cercando tra le anticaglie una vecchia lavatrice dell'ottocento e poi fece recapitare dal gufo una foto della stessa alla vecchietta, con un biglietto.
“Era forse questa che cercava?” vi aveva scritto.
Non ottenne risposta, ma due giorni dopo la donna tornò in negozio, felice.
“Finalmente avete capito quello che cercavo, eh?” chiese, sorridendo.
“Già. Pare di si, madama.” Rispose Tom.
“Allora è servito incontrare Jack, vero?” chiese ammiccando.
Il mago rimase a bocca aperta.
“Bravo ragazzo... ed ora almeno ha un'idea della direzione in cui sta camminando, vero?”
“S-si.... credo di aver capito.”
“Bene. Il mio ragazzo fa sempre un buon lavoro, quando lo mando in giro.”
“Il mio ragazzo?”
“Il mio cagnolino fedele... il più bravo di tutti.”
La vecchia fece sparire la lavatrice con un colpo di bacchetta. Si inchinò al mago, e sorridendo gli diede una pacca su un braccio.
“Ci rivedremo, Tom... quando sarai pronto per incontrare Ecate, ci rivedremo.”
Sparì in uno sbuffo di fumo, lasciando il mago basito a guardare il vuoto.



venerdì 21 ottobre 2011

Jack O'Lantern

Jack O'Lantern

A volte i clienti del negozio lo facevano diventare matto... pretendevano avesse in negozio cose di cui avevano solo sentito parlare e di cui avevano una vaga descrizione, e si offendevano mortalmente se non era così sagace ed inventivo da capire da solo quello di cui stavano parlando. Era un'ora che cercava di farsi spiegare da quell'anziana fattucchiera che cosa stesse cercando, e quello che era cominciato come una sorta di indovinello era diventato una specie di caccia al tesoro e stava per concludersi con un omicidio colposo preterintenzionale. Tom cercava di mantenere la calma, di fronte alla vecchietta che insisteva che dovevano avere quel coso rotondo che serviva per fare le cose che faceva lei, senza fornire descrizioni più specifiche e comprensibili degli strani gesti che compiva per aria, ruotando qualcosa che pareva una manovella ed avvitando forse qualcos'altro. Ma non si riusciva a farle spiegar meglio che cosa volesse, straparlava che ne aveva uno da ragazza, che le era utilissimo in casa, sopratutto con i cosi che infestavano il giardino, che sua mamma lo usava sempre, ma che da quando si era rotto il suo non era più riuscita a trovarlo, ma che loro che erano antiquari dovevano per forza averlo!
«Quel coso, suvvia, possibile che non sappiate di cosa parlo?» insisteva la vecchietta, rivolgendosi sopratutto a Richard. I due maghi si guardarono smarriti: avevano cercato di indovinare in tutti i modi, ed ora stavano cercando di convincere la vecchietta a fare almeno un disegno di quello che aveva in mente, ma non c'era verso, la donnina si ostinava a dire che dovevano sapere di cosa si trattasse. Tom cominciava veramente a perdere la pazienza, là dove invece il suo socio pareva conservarla ancora. Quando Richard infine si allontanò per servire un altro cliente, lui guardò duramente la strega negli occhi e con durezza le disse: «Signora! Mi pare evidente che non possiamo sapere cosa lei abbia in mente, per cui o si decide a trovare un nome a quello che sta cercando, o la invito a tornare a casa e farsi venire un'idea molto più chiara di quello che ha in mente, ma qui non abbiamo più tempo da perdere dietro ai suoi farneticamenti!»
La donna lo guardò prima sbalordita, poi indispettita.
«Giovanotto...» cominciò con voce glaciale. «Prima o poi avrà anche lei la mia età! Ma prima di allora, che possa incontrare Jack Lantern, così imparerà a trattare le signore anziane!» Concluse, agitando un dito, poi si cacciò una mano rugosa in tasca, ne trasse un pizzico di polvere e la buttò addosso al mago, che starnutì. Poi si erse in tutta la sua scarsa altezza e si girò sui tacchi, uscendo dal negozio a grandi passi.
Il mago sbuffò, infastidito, spolverandosi quello che pareva semplice talco dalla manica e dai capelli. Aveva spesso sentito la maledizione dello spirito di Halloween, ed era sempre stata considerata niente più che una blatera da vecchi, poiché non si conoscevano casi accertati in cui avesse funzionato. Stando alla leggenda, chi la riceveva avrebbe dovuto ricevere la visita dello spirito, che gli avrebbe fatto incontrare i fantasmi di tutti coloro che tra i propri amici erano morti, che avrebbero dovuto mostrargli la verità su chi era e che stava facendo... ma quando mai, si disse il mago. Era una maledizione da burletta, buona solo per spaventare i bambini.
Non ci pensò più, per tutta la settimana che precedeva Halloween ebbero fin troppo da fare, per ricordarsi di quella vecchietta.
La notte di Halloween finalmente i due maghi si concessero una cenetta insieme, nel ristorante del quartiere magico, e poi assistettero allo spettacolo celebrativo, al rito magico di commemorazione dei morti e bevvero anche il bicchiere della staffa, proprio alla salute del vecchio Jack, e fu allora che Tom rammentò la maledizione. Ne sorrise, mentre tornava al faro. Fece il solito giro, riflettendo sulla leggenda, senza prenderla troppo sul serio, secondo cui lo spirito portava l'anima dei morti avanti ed indietro tra il mondo dei vivi ed il mondo dei morti. Non era così religioso da credere a quelle leggende, ed aveva sempre considerato la mitologia come un semplice modo di approcciare il mondo e le dinamiche della magia in epoche in cui questa non era stata sufficientemente esplorata.
Al momento di andare a letto, aveva infine dimenticato tutto.

Durante la notte, nella stanza da letto del mago si materializzò uno spirito alto, magrissimo... aveva una strana luminescenza attorno alla testa, che traspariva dal cappuccio con cui l'aveva coperta. Il mago dormiva profondamente, mentre questo spirito altissimo si aggirava nella stanza, osservando gli oggetti sparsi in giro. Tornò al letto, a guardare l'uomo addormentato, fissandolo da vicino. La strana luminescenza illuminava il volto del mago di una luce arancione, calda... ed una lunga mano bianca passava a poca altezza dal mago, come se lo stesse accarezzando senza mai toccarlo. Lo spirito annuì, e con un lungo dito lunghissimo allontanò il cappuccio, svelando quella che pareva una zucca scavata ed intagliata per sembrare un teschio. E lo sembrava realmente: non era solo la classica zucca, ma era stata scavata e intagliata, fino a sembrare una testa corrosa dalla putredine, un volto deformato dalla morte in un ghigno beffardo. Al suo interno vi era una luce, che traspariva dalla bocca, dal naso, dagli occhi, e pareva dipingere un'espressione maligna su quello strano volto. Una voce ultraterrena, raschiante e roca uscì dal buco ove era la bocca, pronunciando il nome del mago.
TOM.
Il tono era basso, ma chiaro come se non avesse bisogno di esser pronunciato. Anzi, quando il mago si svegliò e si trovò a fissare il volto ultraterreno che lo fissava, pensò di averlo sentito solo in testa. Ed il secondo pensiero che ebbe fu che Jack non era affatto divertente come quello che facevano i ragazzini con le zucche.
BEN SVEGLIATO. MI HANNO MANDATO A FARTI UNA VISITA.
Questa volta Tom ne era certo. Non lo aveva sentito. Era la telepatia più chiara che avesse mai sperimentato in vita sua. Si allontanò dal volto sovrannaturale, arretrando sul letto, artigliando le coperte, in un irrazionale moto fanciullesco di protezione, come se le coperte potessero in qualche modo proteggerlo da quello che doveva evidentemente esser un incubo.
NON SONO UN INCUBO, SPIACENTE.
La risposta lo lasciò a bocca aperta. Non aveva mai temuto nulla, in vita sua, ma scoprì di aver paura. Onestamente, con tutto il cuore. Non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi come fosse possibile, che ottenne la risposta.
MI HA MANDATO QUELLA DONNA. UNA VECCHIETTA, UNA DELLE MIE POCHE SEGUACI SOPRAVVISSUTE. STAVA CERCANDO UNA LAVATRICE, MA LEI RICORDA ANCORA QUELLE DEI SUOI TEMPI.. SAI, QUANDO AVEVA VENT'ANNI, NEL 1812, ERANO FATTE IN MANIERA DIVERSA. PECCATO NON GLIEL'ABBIATE TROVATA.
Voleva chiedere chi era, ma non fu necessario spiccicar parola nemmeno questa volta.
MI CHIAMANO IN TANTI NOMI... BARON SAMEDI', JACK LANTERN, MORTE, ADE... MA CHE IMPORTA? SONO QUA PER FARTI VEDERE UNA COSA. VIENI.
Il mago avrebbe voluto resistere, prendere la bacchetta, mandare via quel.. quell'incubo, ma scese ubbidiente dal letto, senza potersi opporre. In compenso riuscì a recuperare il fiato.
“Dove vuoi portarmi?” chiese.
DEVI VEDERE UNA COSA, TOM. O TI DEVO CHIAMARE VOLDEMORT?
“T-Tom, va bene Tom...” era atterrito. Sì, era terrorizzato. Lo spirito era in piedi davanti al letto, coperto da un mantello drappeggiato su spalle che parevano innaturalmente scarne, e quando il mago si alzò era di tutta la testa più basso dello spirito, malgrado non fosse affatto di piccola statura. Tremava di freddo e di paura.
“Sto per morire?”
NO. MA STAI PER INCONTRARE UN PO' DI PERSONE CHE HANNO GIA' FATTO IL SALTO, TOM. E MOLTI ME LI HAI MANDATI TU DI PERSONA. TE LI RICORDERAI, SCOMMETTO...
Lo spirito alzò una mano scarna ed una nebbia parve infiltrarsi nella stanza da sotto le finestre e dalla porta. Tutto scomparve, attorno a loro, e si trovarono su una specie di altura, nella notte, circondati solo di nebbia. Questa pareva agitarsi, muoversi, strane forme sembravano consolidarsi nelle spire di fumo denso, come se cercassero di trovare una forma stabile, ma si dissipavano dopo pochissimo. Volti spettrali, deformi, mani adunche, parti di corpi devastati e divorati. Lo spirito convocò una spira di nebbia, che pian piano, passando attraverso una trasformazione successiva, parve prendere finalmente una forma stabile, pur se trasparente. Il mago rabbrividì e perse il fiato. Stava fissando se stesso, identico. Lo stesso volto, gli stessi lineamenti. Il viso spettrale parve colorarsi, e solo allora apparve la differenza. Gli occhi, che il mago aveva blu, erano castani.
“P-padre...” mormorò il mago. “Tu sei mio... padre.”
Il fantasma annuì, senza ancora profferir parola.
“Io ti... ti...”
“Mi hai ucciso, sì. Sono stato il primo, ricordi?” Una specie di sorriso si dipinse sul volto ectoplasmatico. “Scommetto che gli altri non ti sono piaciuti altrettanto, vero?”
Tom ansimava, incapace di rispondere. Era vero. Uccidendo gli altri non aveva mai più riprovato l'ondata di emozione che gli aveva scatenato uccidere suo padre. Era stato esaltante, spaventoso e bellissimo. Una sensazione di potere, paura, rabbia, liberazione... qualcosa che non aveva mai più ritrovato negli omicidi successivi. Erano stati emozionanti, ma nessuno come il primo.
Lo spirito lo fissò a lungo, sembrava quasi studiarlo.
“Hai gli occhi di tua madre... non era cattiva, sai? Non l'ho mai amata, e ne ho avuto orrore quando ho scoperto cosa mi aveva fatto. Ma non era cattiva. Era solo infelice. Avrei dovuto venirti a cercare, quando sei nato... ma sarebbe stato uno scandalo troppo grande. Mi spiace...” disse, prima di cominciare a dissolversi. Le ultime parole parvero solo sussurrate, ma si incisero nella mente del mago, indelebilmente.
AVANTI, VENITE... TOCCA A VOI, ORA...
Dalla nebbia emersero altri volti, altre persone. Pian piano, in fila, Tom rivide tutti coloro che aveva ucciso, arrivando ai genitori di Harry Potter ed a quel ragazzo, Cedric Diggory. Lo guardarono, con commiserazione, senza dire nulla. Ed infine emerse anche Severus Piton. Gli altri lo guardavano, silenziosamente. Solo Piton infine fece un passo in avanti, arrivando di fronte al suo ex Signore.
“Ne è valsa la pena. Ora che vi vedo, so che è valsa la pena morire per sconfiggervi, Mio Sig...” si interruppe, ed uno dei rari sorrisi del Maestro di Pozioni si dipinse sul volto dell'ectoplasma. “Tom. Certe abitudini non muoiono, a quanto pare.”
“Severus...” Mormorò il mago, allungando una mano verso il professore.
“Non ditemi che siete dispiaciuto, Tom. Non vi crederei. Avete fatto quello che pensavate giusto, ed avete sancito il vostro destino. Ne è valsa la pena, credete. La vostra sconfitta, la fine della vostra tirannia, sono stati un premio, per una vita come la mia. La vostra morte è stata la mia vittoria.”
Il mago fantasma fece un passo indietro, e sparì, portandosi via tutti gli altri spiriti.
Tom si strinse le braccia al petto, a malapena coperto dalla tshirt che usava per dormire, rabbrividendo. Aveva indosso quella ed un paio di pantaloni da pigiama, e gli pareva di gelare, letteralmente, eppure non vedeva l'alito rapprendersi nell'aria. Non era vero freddo quello che sentiva, era chiaro. Sentiva una morsa di ghiaccio nel cuore, come se una mano fredda stesse stringendo qualcosa di molto intimo e privato dentro di lui, una parte che non era nemmeno del tutto cosciente di avere. I rimorsi per il suo passato lo strozzarono, agghiacciandolo, tutte quelle morti, quelle facce, il sorriso che avevano tutti mentre Piton parlava... come se tutti avessero trovato nella sua sconfitta la pace che cercavano, la vendetta.
Il mago si passò una mano ghiacciata sul volto, poi si girò timidamente a guardare il teschio luccicante di Jack.
NON ABBIAMO ANCORA FINITO, SAI?


Continua... 

giovedì 20 ottobre 2011

noia


*gironzola per il faro, bevicchiando. La noia lo assale, la sera, ma è una bella sensazione. Le giornate si sono riempite di furia, di cose da fare, di pensieri di ogni genere, e la possibilità di passare la serata ad annoiarsi è una pura e semplice benedizione. Vorrebbe che le sere fossero anche più lunghe, per potersi annoiare di più, ammantato dalla propria solitudine, dal silenzio che infine arriva nella sua casa, arrampicandosi sugli scogli. Ma il sonno, la stanchezza, la notte hanno sempre la meglio sulle forze del mago, obbligandolo a rifugiarsi a letto, dopo una certa ora. E malgrado ci vada accompagnato da un libro e dal gatto, alla fine il sonno divora la notte, il tempo dedicato solo a se stesso, e presto giunge la mattina, il nuovo giorno, a divorare cannibale altra vita. Altro tempo, altre energie. La follia della quotidianità, contro cui nemmeno la magia trova scappatoie.*
notte...

martedì 18 ottobre 2011

La pioggia sul mare, in lontananza.. il bollettino per domani da pioggia e freddo. Il mago con un colpo di bacchetta ripara gli spifferi, mettendo il faro al riparo dalle infiltrazioni. La casa accanto al faro è minuscola, esternamente, ma dentro pare molto più grande, grazie alla magia. In qualche modo somiglia alla sua anima.. troppo grande per esser contenuta in quello spazio ridotto, con stanze vuote ed altre fin troppo piene. Ma proprio perché gli somiglia così tanto non ha intenzione di modificarla. Gli appartiene, molto di più di quanto abbia sentito appartenergli qualsiasi altra cosa. Anche se è abitata solo da lui, un elfo, un gatto ed un paio di fantasmi, alle volte gli pare fin troppo affollata. Ma è sua. 
Ora, di fronte la mare battuto dalla pioggia, riesce a calmarsi. Guarda la tempesta, ascolta il tambureggiare sul mare. La calma lo pervade, vorrebbe prolungare eternamente certi attimi ma il tempo è un ladro. Un attimo prima ti dona la pace, solo per portartela via poco dopo. 
E non esiste modo per fermarlo, nemmeno il mago più grande del mondo può farlo...


La pioggia sul mare, in lontananza.. il bollettino per domani da pioggia e freddo. Il mago con un colpo di bacchetta ripara gli spifferi, mettendo il faro al riparo dalle infiltrazioni. La casa accanto al faro è minuscola, esternamente, ma dentro pare molto più grande, grazie alla magia. In qualche modo somiglia alla sua anima.. troppo grande per esser contenuta in quello spazio ridotto, con stanze vuote ed altre fin troppo piene. Ma proprio perché gli somiglia così tanto non ha intenzione di modificarla. Gli appartiene, molto di più di quanto abbia sentito appartenergli qualsiasi altra cosa. Anche se è abitata solo da lui, un elfo, un gatto ed un paio di fantasmi, alle volte gli pare fin troppo affollata. Ma è sua.
Ora, di fronte la mare battuto dalla pioggia, riesce a calmarsi. Guarda la tempesta, ascolta il tambureggiare sul mare. La calma lo pervade, vorrebbe prolungare eternamente certi attimi ma il tempo è un ladro. Un attimo prima ti dona la pace, solo per portartela via poco dopo.
E non esiste modo per fermarlo, nemmeno il mago più grande del mondo può farlo...

lunedì 17 ottobre 2011

Il destino dei solitari è di guardare la vita da una prospettiva diversa, meno centrale, rispetto a chi ha una vita ricca di relazioni... ma restare a lato dell'esistenza consente di guardarla con più attenzione, con maggiore profondità. 
Certo è che i solitari percorrono strade diverse... strade poco conosciute, che nessuno oltre a loro può raccontare. Alcuni le raccontano, svelando al resto del mondo parti di multiverso che nessuno osava immaginare. Ma sono coloro che non raccontano a percorrere le strade più pericolose.... 
Voi, che vivete in mezzo alla gente, che tutti i giorni parlate con mille amici e conoscenti, guardatevi dai solitari... potrebbero raccontarvi cose che nemmeno immaginate.

venerdì 14 ottobre 2011

Freddo.

Non è uno scherzo l'arrivo del freddo all'isola.. le cose si immobilizzano, anche la gente per strada sembra rallentare, intirizzita. Solo le onde paiono accelerare. Mordaci aggrediscono gli scogli, sotto un cielo plumbeo. Il mago avvolto nel mantello guarda l'oceano, sorseggiando qualcosa di caldo.
Ha uno strano rapporto, ambivalente, con l'autunno e l'inverno.. li ama molto, si ritrova con il freddo più di quanto faccia con le stagioni calde, che lo fanno sentire a disagio, spogliato emotivamente, oltre che fisicamente, ma nel contempo accrescono il suo sotterraneo senso di malinconia, la fredda tristezza che gli abita nel cuore da sempre. Eppure è un senso familiare di solitudine, di vuoto, talmente tanto abituale da esser rassicurante. Quando non sai come colmarlo, anche il vuoto finisce di esser di compagnia, e l'abitudine alla solitudine alla lunga diventa un modo per proteggersi dai rapporti umani - quel mistero che il mago non è ancora riuscito a dipanare.
Quindi appoggiato al muro esterno, in terrazza, il mago assapora la sua solitudine, sorridendone quasi. Il freddo esterno è una memoria confortante del freddo interiore, ed è per quello forse che ama i mesi freddi più dei ciarlieri, socievoli mesi estivi. Almeno d'inverno le strade vuote lo riconfermano in una sua vecchia convinzione: la sua strada, per quanto possa star conducendolo verso un luogo più luminoso di quanto aveva osato credere e sperare una volta, resta sempre un percorso solitario. Sospira, pensando che forse non gli spiace nemmeno tanto. Non fa poi così male, quando ti ci abitui...