martedì 30 novembre 2010

L'altro libraio - Draco Malfoy ultima parte

Quell'occhiata entrò nella memoria di Tom e vi rimase per tutta la sua esistenza. In ogni momento della sua vita successiva, se chiudeva gli occhi e tornava a quel giorno, rivedeva quegli occhi chiari, bagnati di lacrime, guardarlo compassionevoli, uno sguardo spaventosamente simile a quello che gli aveva rivolto Silente nell'aldilà, quando lo aveva accolto dopo la sconfitta di Hogwarts. Scoprì di non poter sopportare quello sguardo. Poteva sopportare l'odio che vi aveva scorto all'inizio, ma non quello. L'odio lo conosceva, e si rese conto in quel momento di provarlo per se stesso con la stessa intensità. Ma non riusciva a provare compassione per se stesso, non poteva perdonarsi.
Prese la decisione in un istante, istintivamente. Gli fece un incantesimo di memoria, cancellò quell'incontro dalla mente del ragazzo, e mentre l'altro restava momentaneamente imbambolato a guardare il nulla, rimandò i libri sugli scaffali con un gesto, dissolse i sigilli all'entrata della libreria e fuggì, il cuore colmo di una disperazione senza possibilità di redenzione. Tornò in albergo e fece i bagagli, materializzandosi al faro, dall'altra parte dell'oceano, nel cuore della notte.
Andò sulla terrazza più alta del faro, a guardare il mare. Rimase lì al freddo tutta la notte, la mente in tumulto, a osservare il mare avventarsi sugli scogli sotto di lui, le mani che artigliavano la ringhiera. Tutto dentro di lui urlava, un grido disperato di orrore. Respirava a fatica, ansimando, ed ogni respiro lo chiamava verso l'abisso, a por fine a tutta quella sofferenza con un volo verso gli scogli. Eppure restava aggrappato a quella ringhiera, i muscoli tesi allo spasimo, incapace di fare il salto ed incapace di tornare dentro, al caldo ed alla sua vita, che gli pareva ora assurdamente priva di senso. Come poteva aver pensato di rifarsi una vita, come poteva credere di potersi lasciare tutto alle spalle e ricominciare? Lo avevano ucciso, ed era giusto così, non era giusto che un uomo come lui vivesse. Non ne aveva il diritto.
Arrivò l'alba a osservare quel piccolo umano sull'orlo dell'abisso. Il sole indifferente si alzò a sfiorargli il viso e Cletus lo trovò, mentre andava a fare il giro di controllo alla lampada, che ancora era immobile a guardare il mare, stravolto. Il piccolo elfo lo chiamò un paio di volte, senza ottenere risposta, senza capire che gli fosse successo. Poi fece la sola cosa che gli venne in mente di fare, la sola che era capace di fare per gli uomini, da quando era nato.
Gli prese una mano, dolcemente, gli sorrise, e guardandolo gli disse: “Vieni dentro, Tom... prendi freddo. Ti preparo la colazione, ora.”
Il mago sentì il calore della mano sulla propria e guardò il piccolo elfo senza vederlo. Ma gli strinse la mano, e finalmente qualcosa in lui si sciolse. Si lasciò cadere seduto accanto a lui, lo abbracciò e per la prima volta nella sua vita adulta si abbandonò alle lacrime in presenza di un altro essere vivente. Pianse disperatamente, singhiozzando, mentre il piccolo elfo, pur senza capire, lo stringeva e gli dava pacche affettuose sulle spalle. Lo lasciò piangere finché voleva, poi quando sentì il corpo del mago sciogliersi di stanchezza contro il suo, svuotato e sfinito, materializzò entrambi in salotto, vicino al divano. Si sedette accanto al mago, che si abbandonò per terra ad occhi chiusi, e rimase lì a tenergli entrambe le mani tra le proprie, appoggiandogli la testa contro il petto.
Il mago si addormentò, senza accorgersene, per svegliarsi ore dopo, sul divano, coperto da un plaid, spogliato dei vestiti per il viaggio. Il piccolo elfo era accanto a lui, leggeva un fumetto, e sul tavolo di fronte era posato un vassoio autoriscaldante, su cui era posata una caraffa di cioccolata calda ed i biscotti di Cletus.
Fu lo sguardo di Cletus a dargli una spiegazione sul perché non si era gettato nel vuoto, la notte prima. Non poteva farlo. Cletus sapeva perfettamente chi era stato, era cresciuto in una famiglia di maghi oscuri, conosceva perfettamente la sua storia. Eppure gli voleva bene lo stesso, per quello che era adesso. Che avesse senso o meno, l'affetto di quel piccolo elfo lo aveva tenuto ancorato a quella ringhiera, impedendogli di buttarsi di sotto. Il mago, con voce rotta, gli raccontò che cosa gli era successo, e l'elfo ascoltò attento.
“Ma ora non sei più Voldemort. Sei Tom, e basta. Facci pace con Voldemort, e sii Tom. È a Tom che Cletus e tutti i tuoi amici vogliono bene. Voldemort è morto e lo hai ucciso tu” disse, posandogli il lungo indice nodoso sul cuore. “non Harry Potter. Lui ha ucciso il corpo di Voldemort, ma tu ne hai ucciso il resto, quando ti ho conosciuto. Tu sei Tom ed hai una libreria ed un faro di cui occuparti.” annuì, sicuro, e poi lo nutrì come se fosse un bambino, e quando fu soddisfatto di quanto aveva mangiato gli ordinò di dormire ancora. Il mago, incapace di ribattere, si lasciò cullare, e poco prima di sprofondare di nuovo nel sonno, lo sentì mormorare una canzoncina per bambini. Sorrise, giusto un attimo prima di addormentarsi. Qualunque fosse la ragione per cui era tornato in vita, qualsiasi fossero gli orrori del suo passato, per quanto non riuscisse ad affrontarli, Cletus aveva ragione.
Come al solito.

L'altro libraio - Draco Malfoy parte seconda

“Non ti credo.” Draco si appoggiò al bancone, avvicinandosi al mago che si ritraeva. “Tu sei lui. Sei v-Voldemort.”
“Ti sbagli. È impossibile.” Alzò una mano in segno di diniego. “Voldemort è morto.” Cercò di sorridere, ma ne uscì una strana smorfia.
“No, non mi posso sbagliare. Sei tu.” Draco era atterrito, guardava l'altro con occhi spalancati, pallido in volto, ormai aggrappato al bancone come se dovesse svenirvi sopra. Ne era certo, non poteva sbagliarsi. Lo sguardo, le espressioni, non poteva dimenticarsele. Quel volto mostruoso che lo aveva terrorizzato per anni, nei suoi sogni, lo aveva inciso nella memoria, e malgrado la deformità con cui lo aveva conosciuto, certi tratti erano rimasti identici. E quella voce... era lui, non aveva dubbi. “Com'è possibile.. come hai fatto?”
“No, ti sbagli, Draco...” gli si mozzò il fiato in gola, mentre si rendeva conto di aver pronunciato un nome che non avrebbe dovuto conoscere. Restò immobile, guardando il giovane Malfoy alzarsi di scatto, portarsi le mani alla bocca e fissarlo sbalordito. Arretrò dietro il bancone, fino a toccare lo scaffale alle sue spalle, e rimase inchiodato a fissarlo. Tom reagì d'istinto, estrasse velocemente la bacchetta dalla manica e con un solo rapido gesto sigillò tutte le entrate della libreria. Non era entrato nessuno dopo di lui, nel lato magico, ed erano soli. Non sapeva cosa voleva fare, ma non poteva permettersi di avere altri testimoni di questo riconoscimento.
“Draco, ascolta, io...” cominciò, senza sapere bene cosa avrebbe detto.
“Bastardo...” Mormorò l'altro. “Maledetto fottuto bastardo, assassino!” Terminò quasi in un grido, lasciando cadere le braccia. “Che vuoi fare, ora, uccidermi?”
“No Draco.. non voglio ucciderti, io non sono la stessa persona, devi credermi.” disse alzando una mano aperta verso di lui. Nell'altra stringeva ancora la bacchetta, e con lentezza la abbassò, a dimostrare di non aver cattive intenzioni.
“Come no? Pensi che potrei sbagliarmi? Lo sai da quanto tempo sogno la tua voce, maledetto?” lo aggredì. “Sono quindici anni che hai devastato la mia esistenza, TU! Non mi posso sbagliare. Non so che hai fatto alla faccia, ma la tua voce non la dimenticherò finché campo!”
“Lo so, ma non sono più la stessa persona di una volta, Draco...” Cercò di spiegargli.
“NO! Tu non sai nulla, maledetto! Non sai niente! Non me ne frega un cazzo di chi sei, tanto non ha nessuna importanza! Tu hai rovinato la mia vita! La vita dei miei genitori! La vita di chiunque!” gli urlò in faccia, estraendo la bacchetta dalla tasca della giacca. “AVADA K...” cominciò a gridare, ma Tom velocissimo alzò nuovamente la bacchetta e lo bloccò con un incantesimo immobilizzante.
Si ritrovò a fissare il ragazzo, che malgrado la paralisi lo guardava accecato di odio, consapevole che se avesse terminato l'incantesimo lo avrebbe sicuramente ucciso. Sapeva riconoscere la volontà omicida negli occhi di un avversario, e quel ragazzo che non era riuscito ad uccidere Silente per difendere la sua famiglia, era ora diventato un adulto in grado di ucciderlo senza esitare. Tom ansimò, il fiato corto, cercando di riprendere il respiro, guardando il ragazzo. Alzò la bacchetta verso il soffitto, sbalordito da tanto odio. Mai prima di allora aveva incontrato una propria vittima, e Draco poteva ben dirsi una sua vittima, anche se era sopravvissuto. Era vero, gli aveva devastato l'esistenza, come a tutti quelli che avevano osato incrociare la sua strada. Aveva ripensato alle proprie azioni, mille volte, pensando a quanto male era andata la sua vita, ma non si era mai pienamente reso conto dell'effetto che aveva avuto sulla vita degli altri. Allungò una mano a togliere la bacchetta dalle mani del ragazzo, la posò sul bancone di fronte a sé e modificò l'incantesimo per lasciargli la possibilità di parlare. Il ragazzo riprese il controllo del proprio viso e chiuse la bocca, guardandolo con odio.
“Che aspetti ad uccidermi? O vuoi torturarmi, prima? Non ti temo, bastardo... è passato il tempo in cui mi facevi paura sai?” disse, e poi gli sputò in faccia.
Tom non fece in tempo a ritrarsi, e prese il getto di saliva in viso. Fu come se fosse velenoso. La rabbia lo aggredì feroce e con un gesto della bacchetta mandò l'altro a sbattere violentemente contro la parete, dove rimase appoggiato, il viso deformato dal dolore.
“Tutto qua quello che sai fare?” Ringhiò.
“Io non voglio farti nulla, cazzo! Non ho intenzione di ucciderti, Draco! Come devo dirtelo? Lo avrei già fatto, se avessi voluto! Non sono più il Signore Oscuro!” gridò, pulendosi il volto con una manica.
“Ah, no? E cosa saresti, sentiamo, un libraio?” il ragazzo rise, incredulo.
“Si, sono un banale libraio. Uno stupido, anonimo libraio! Non mi passa più nemmeno per l'anticamera del cervello di conquistare il mondo magico, sto solo cercando di rifarmi una vita!”
“Ah, ma davvero? E con che diritto? E tutti quelli a cui l'hai devastata cosa dovrebbero fare, applaudirti ora, perché sei diventato buono? Ma chi vuoi che ti creda?” il giovane rise, incontrollabilmente. “Lo sai che quasi nessuno tra noi è riuscito a rifarsi una vita serenamente? Lo sai che sei rimasto negli incubi di tutti? Hermione, mia moglie, si sogna la battaglia tutte le volte che è sotto stress, mi sveglia urlando, ed io sveglio lei, quando mi risogno la notte in cui mi mandasti a cercare di uccidere Silente... uno dei miei migliori amici è morto, la notte della battaglia ad Hogwarts, e l'altro è diventato quasi pazzo, è finito al San Mungo per depressione, grazie a te. I miei...” il ragazzo strinse gli occhi che si andavano riempiendo di lacrime. Suo padre era morto ad Azkaban, e sua madre era morta di dolore pochi anni dopo. Aveva dovuto tirarsi su le maniche dal nulla, visto che tutti i loro beni erano stati confiscati, e solo di recente aveva ritrovato la tranquillità, quando si era ritrovato davanti Hermione Granger e si erano innamorati e sposati, con reciproca sorpresa. Credeva che tutto andasse bene, fino a quel momento, quando il peggior incubo della sua vita si era materializzato davanti ai suoi occhi, ed aveva anche il coraggio di dirgli che non era più il mostro di una volta. “Che diritto hai TU di volerti rifare una vita, sentiamo?”
Tom si lasciò vomitare addosso tutto quel veleno, senza reagire. La domanda di Draco rimase tra loro, più pesante di una condanna. Se l'era posta lui stesso, molte volte, ma senza darsi risposte soddisfacenti. Ed ora di fronte al ragazzo nessuna delle risposte parziali che aveva trovato aveva minimamente significato. Si passò una mano sul viso, abbassando lo sguardo di fronte al dolore terribile che emanava da lui. Essere legilimante significava sopratutto essere in grado di percepire le emozioni delle persone che aveva di fronte e solo una mente ben allenata e preparata poteva evitare di venirne travolta. Ma ora non era pronto a difendersi, la propria emozione lo tradiva, lasciandolo scoperto a farsi invadere dalle immagini provenienti da Draco. Se ne lasciò permeare, vedendo e sentendo tutto il dolore che si era portato dentro, tutta la rabbia, tutto l'odio non solo per lui ma anche per se stesso, il senso di colpa per essersi unito ai mangiamorte ed aver fatto cose orribili. Era così simile a quello che aveva sentito Tom stesso in questi anni dal suo ritorno che ne fu annientato. Senza rendersi conto di quello che stava dicendo, senza alzare il viso su Draco, Tom mormorò: “Perdono... io... non immaginavo.”
Aspirò pesantemente l'aria, immediatamente consapevole di esser ridicolo a chiedere perdono per qualcosa che era oltre qualunque possibilità di redenzione. Non meritava nessun perdono, tutta la sua vita era stata solo un infinito fallimento, una lunga sequela di orrori, senza motivo oltre al dolore che aveva provato lui stesso. Aveva cercato di vendicarsi dei torti che pensava di aver subito, questo era il vero motivo di tutta la sua ambizione, di tutto il suo odio. Ed ora, di fronte a Draco, aveva esatte, chiare le proporzioni dell'inutilità dei suoi sforzi. Gli tolse l'incantesimo bloccante ed il ragazzo ricadde a sedere sulla sedia dietro il bancone, i muscolo anchilosati e stanchi. Lo fissò, a lungo, incredulo, poi cominciò a ridere. Rideva a crepapelle, senza riuscire a smettere.
“Perdono? Mi stai chiedendo PERDONO?” Gridò.
Tom annuì, stancamente. Si appoggiò con le mani al bancone, lo sguardo basso, incredulo egli stesso.
“Non è possibile, lo so...” mormorò. “Non si può perdonare quello che ho fatto. Pensavo fosse giusto, pensavo fosse la cosa migliore da fare, e non mi sono reso conto di quanto male facevo. Pensa pure che sia ridicolo, ma non capivo... non sapevo quello che stavo facendo, a te, agli altri mangiamorte, a me stesso, a coloro che mi combattevano. Pensavo solo fosse giusto farlo.”
Draco lo guardò a lungo, senza dir nulla, mentre l'altro parlava. Alla fine solo una parola uscì dalle sue labbra.
“Perché?”
Tom, gli occhi che pungevano stranamente, come se qualcosa combattesse per uscire, si ritrovò a pensare alla propria infanzia. Aprì la bocca un paio di volte, cercando di spiegare, ma qualunque cosa avesse detto sarebbe stata inadeguata a far capire quello che aveva provato. Non poteva, come non poteva far capire a Draco quanto realmente gli dispiacesse aver fatto quello che aveva fatto. Così decise di spiegarglielo nella sola maniera possibile. Alzò lo sguardo su di lui, uno sguardo che pochi avevano potuto sostenere e sopravvivere, ai tempi della guerra magica. Entrò nella mente del ragazzo ed invece di estirparvi dei ricordi, per la prima volta in tutta la sua vita, si aprì totalmente ad un altro essere umano e gli mostrò chi era stato, e perché aveva fatto tutto quello che aveva fatto. Draco vide i lunghi anni all'orfanotrofio, le angherie, la consapevolezza di esser diverso, la totale mancanza di affetti, la solitudine infinita, la paura, l'odio, il bisogno di rivalsa... come Tom aveva visto tutto il dolore di Draco, così ora Draco vide quello di Tom. Chiuse gli occhi, incapace di sostenere altro, e scoppiò in lacrime.
“Non è giusto...” mormorò, tra le lacrime, e lo ripeté mille e mille volte, e Tom non seppe per chi dei due lo stesse dicendo. Abbassò lo sguardo sul bancone e rimase a guardarne le modanature per un tempo infinito, attendendo che l'altro si calmasse.
Draco, il ragazzo viziato e  troppo amato che era stato nell'adolescenza, per la prima volta in vita sua vide Tom Orvoloson Riddle come un orfano rifiutato da tutti, dal mondo babbano e dal mondo magico e comprese. Per quanto la sua vita fosse stata devastata dall'incontro con il Signore Oscuro, Draco aveva potuto almeno contare su una psiche irrobustita dall'amore che aveva ricevuto. Aveva davvero potuto pensare di rifarsi un'esistenza, ne aveva le capacità affettive, psicologiche. Colui che non poteva esser nominato, invece, era stato una parodia di uomo per tutta la sua vita. Non aveva idea di come fosse tornato a vivere, ma vi era veramente del pentimento, un barlume di umanità risvegliato nell'individuo che aveva davanti. E doveva soffrire orribilmente, ora che poteva vedersi come lo vedevano gli altri. Alzò infine lo sguardo su di lui e lo guardò con sincera compassione. Non avrebbe saputo perdonarlo completamente, troppo aveva sofferto per causa sua, ma poteva almeno capirlo.

domenica 28 novembre 2010

L'altro libraio - Draco Malfoy

Erano ormai mesi che lavorava alla libreria con Richard, e Tom non smetteva di congratularsi con se stesso per l'idea. Era veramente un toccasana occuparsi di quel posto, lo pensava tutte le mattina quando alzava la serranda ed entrava a riordinare i ninnoli magici che avevano l'abitudine di spostarsi durante la notte. Si divertiva, si rilassava ad occuparsi di quegli oggetti e la caccia ai libri gli dava enormi soddisfazioni. Passare ore a frugare in minuscole librerie d'usato, smarrire il senso del tempo in mercatini delle pulci dedicati ai libri, acquistare enormi biblioteche private senza qualità solo per poter mettere le mani su un singolo libro di valore inestimabile e totalmente sconosciuto ai proprietari, spesso eredi senza gusto o competenze, lo faceva tornare ai tempi di scuola, quando la sua unica preoccupazione era lo studio e poteva dimenticarsi di se stesso nell'enorme biblioteca di Hogwarts. Persino il lavoro di riparazione degli incantesimi posti sugli oggetti magici usati che vendevano, compito che Richard svolgeva in maniera ormai affrettata ed infastidita, lo metteva di buon umore. Si divertiva a cercare di riparare questi oggetti, alle volte occorreva letteralmente parlamentare con oggetti i cui incantesimi erano così antichi da averli dotati di una personalità, che non ne volevano sapere assolutamente di tornare alle funzioni originarie, protestavano, esprimevano le proprie opinioni con forza e convinzione, come il set di soldatini affezionati ormai al bridge ed al minuetto, del tutto restii a tornare a simulare piccole guerre come un tempo, che aveva inutilmente cercato di riparare settimane prima.
Inoltre aveva finalmente ricominciato a viaggiare. Era uno zingaro, sotto sotto, adorava trovarsi in giro per il mondo con il borsone in spalla. La ricerca delle fiere magiche dell'usato lo aveva condotto in lungo ed in largo nel nuovo continente, nei quartieri magici di quasi tutte le grandi città e non disdegnava nemmeno le fiere babbane, se per caso c'era notizia del decesso di qualche celebre mago senza eredi nei dintorni del luogo ove si svolgeva la fiera. Capitava sovente, infatti, che venissero messi all'asta i beni del mago dai babbani, senza sapere di star vendendo oggettistica magica, così che con un po' di fortuna e di attenzione era possibile scoprire piccoli tesori. Tom aveva ormai sempre una valigia pronta, nella casa vicino al faro, per poter partire in qualsiasi momento, sulle tracce di una fiera o di un mercatino in giro per il mondo, ed ormai, grazie a questo atteggiamento, gli affari stavano veramente andando a gonfie vele. Tanto che quando seppe di un mercato di libri della durata di una settimana a Dublino, il mago decise di partire.
Era stato a Dublino, una vita prima, e se la ricordava a mala pena, ma abbastanza da trovarla trasformata, almeno nelle parti più periferiche. Fu solo quando arrivò al centro della città che tornò a riconoscere le viuzze. Il mercatino che cercava si era rivelato deludente, un'accozzaglia di carabattole senza valore, e nessun libro che valesse la pena di riportare a casa, così Tom aveva deciso di passare gli ultimi due giorni ad oziare nella capitale, godendosi l'estate indiana, la birra e la musica irlandese, prima di tornare a Nantucket, con la speranza per altro di trovare magari qualcosa di interessante a Owl Lane, il quartiere magico dublinese. Era stato nell'ufficio del turismo magico, poco prima, dove si era procurato una guida ai luoghi magici caratteristici, con una dettagliata mappa del quartiere magico ed una breve descrizione della sua storia. Era intenzionato a farci un giro, ma una strana pigrizia lo stava avvolgendo, come un manto di tranquillità, sollecitata dal non aver nulla da fare per il negozio. Per questo era entrato in quel pub, attratto dalla musica che ne usciva ed ora esitava ad andarsene, e decise di prendersela calma, rilassandosi in compagnia di una pinta di birra scura, il cui sapore in patria era impareggiabile, ed ascoltando tre ragazzi che suonavano musica folk, in un angolo del locale. Il mago si sentiva in pace con il mondo, guardando la gente passare fuori dalle finestre del pub e osservando il cielo scorrere mutevole sulle loro teste.
Osservava oziosamente la strada, quando vide dall'altra parte un'insegna che lo incuriosì: Akasha. Era una libreria esoterica, a quello che pareva dalle scritte sulle vetrine, e stranamente gli sembrava familiare. Estrasse dalla tasca del giaccone da marinaio la brochure turistica e vi rintracciò il nome della libreria. Era famosa a quanto pareva per esser la prima libreria magica con un settore aperto ai babbani, provvista di libri autorizzati dal ministero per fare il minor danno possibile in mano ai babbani. Non diceva nulla del proprietario, ma pareva essere una delle attrazioni del posto, ed i maghi potevano usarla per passare nel quartiere magico grazie all'accesso nascosto nel settore dedicato ai libri di astrologia. Incuriosito, il mago decise di muoversi, e terminata la birra, attraversò la strada per entrare nella libreria.
Il lato babbano era divertente ed innocuo, decise. Vi erano esposti i libri di alcuni famosi maghi, ed altri scritti da babbani convinti di aver scoperto grandi segreti magici e spirituali, che Tom aveva letto con un sorriso quando aveva cominciato ad occuparsi dell'Arcana Cabana, perciò, dopo un rapido sguardo agli scaffali, si diresse deciso al settore astrologia per entrare nell'altra parte.
Tornò spesso a ripensare a quel momento, nelle settimane successive, talvolta maledicendo quell'impulso... ma altre si disse che forse era stata una delle esperienze più importanti della sua nuova vita.
La libreria era semivuota da entrambe le parti, quel giorno, e solo un commesso presidiava il lato babbano, mentre nel lato magico non vi era nessuno, quando Tom vi mise piede. Si mise a girare per gli scaffali, scorrendo titoli noti e meno noti di autori locali, perdendo come sempre gli capitava il senso del tempo e del luogo, immerso nella lettura di paragrafi da un libro e da un altro, prendendo talvolta un volume da portare in cassa, terminato il lungo giro. Ne aveva racimolati ben sei, quando finalmente si decise ad uscire da quella piccola libreria, prima di lasciarci un patrimonio. Era effettivamente fornitissima, faceva ampiamente onore alla sua fama di avere praticamente di tutto, ma non poteva portarsi indietro tutti quei libri, onestamente, o avrebbe dovuto abbandonare il suo bagaglio a favore dei volumi che avrebbe voluto acquistare. Si diresse quindi al bancone, dove era arrivato a sedersi su uno sgabello un giovane biondo, con lunghi capelli sciolti sulle spalle e stava leggendo una rivista, in attesa di clienti. Il mago posò i libri accanto al registratore di cassa, sorridendo, e disse: “Devo veramente farvi i complimenti... sono anch'io un libraio, ma la vostra libreria è fornitissima, molto più della mia!”
Il ragazzo di fronte a lui alzò il viso di scatto ed il mago poté vedere che non era così giovane come sembrava, ma sopratutto si rese conto di conoscerlo, e molto bene. Gli occhi color acciaio erano di famiglia, non ci si poteva confondere, così come l'abitudine di portare i capelli lunghi e sciolti sulle spalle. Il viso affilato era quello di Narcissa, ma lo sguardo era quello di Lucius. Draco Malfoy, approssimativamente trentenne o poco più, impossibile dirlo grazie alla virtù tutta Malfoy di sembrare più giovani della loro reale età anagrafica, era di fronte a lui, e lo guardava con una strana espressione negli occhi.
Tom si sentì gelare. Aveva frequentato la Malfoy Manor per oltre un anno, quando era tornato in vita, in attesa di riuscire ad uccidere Potter, e Draco non solo conosceva il suo viso, conosceva benissimo la sua voce. Poteva aver ritrovato naso e capelli, i suoi occhi erano tornati del blu originario, ma la voce era rimasta identica, come l'altezza, il portamento, le spalle. Restarono a fissarsi, indecisi, il giovane a studiare quell'uomo che gli ricordava una parte tanto dolorosa della sua vita e l'adulto a fissare un passato a cui aveva smesso di pensare. Il silenzio cominciò a farsi pesante, senza che nessuno dei due facesse una mossa, poi Draco prese i libri, senza guardarli.
“Grazie” Disse Draco, senza espressione nella voce, “è un piacere incontrare un collega... dove ha aperto la sua libreria? Magari la conosco.”
“N-Nantucket.” Rispose asciutto, la bocca arida articolava le parole a fatica.
“Nantucket? Si trova negli States, vero? Ma lei non ha un accento americano...”
Tom si maledì per aver abbandonato la cadenza nantuckettese appena messo piede a terra, ed annuì, sperando che quello che sentiva sulle guance non fosse colpevole rossore. Aveva lo stomaco in subbuglio, non si era mai sentito così, nemmeno quando si era trovato davanti Potter e la moglie al faro. Harry non lo aveva mai riconosciuto, ma in effetti quando si erano incontrati avevano pensato più a cercare di uccidersi che a parlarsi, per cui era quasi ovvio che l'altro non lo riconoscesse, ma con Draco aveva parlato spesso, aveva vissuto nella sua casa, si conoscevano. Se Fenrir lo aveva riconosciuto grazie all'odore, Draco poteva riconoscerlo per mille altri dettagli. Tom cercò di tranquillizzarsi, pensando che lo davano tutti per morto, ormai, e che aveva un aspetto fin troppo giovanile, rispetto alla sua età reale, per cui nessuno, a parte il padre del ragazzo che aveva di fronte poteva riconoscerlo, ma non riusciva a rilassarsi. Sostenne lo sguardo indagatore del giovane Malfoy, senza osare distogliere lo sguardo.
“Ho viaggiato molto.” Rispose, sorridendo freddamente.
“Mi ricorda qualcuno, sa? Forse ci siamo già incontrati altre volte?”
“No, impossibile. È la prima volta che vengo in Irlanda.”
“Ah, ma io non sono irlandese. Sono inglese. Magari ci siamo visti altrove.” Draco incrociò le braccia, stringendo gli occhi, concentrato sul viso dell'uomo. Gli metteva i brividi e non sapeva capire perché. C'era qualcosa in lui che lo riempiva di orrore gelido, ma non riusciva ad identificarne la ragione. Non gli era mai capitato di provare tanta istintiva repulsione per una persona, a parte... Voldemort. Bastò al giovane formulare quel nome nella sua mente, per sentirsi aprire un vuoto nel petto, come un pugno. Spalancò la bocca, guardando il mago che aveva di fronte. Non era possibile che fosse lui, ne era certo. Era morto, lo aveva visto morire con i suoi occhi, aveva assistito al suo funerale. Aveva passato anni a cercare di dimenticarselo, anni a lottare per riguadagnarsi una dignità ed un nome, anni a dimostrare che era cambiato e non era più, non era mai stato veramente un mangiamorte. La voce di quell'uomo lo aveva perseguitato nei suoi sogni, se la ricordava con chiarezza, ed ora... chi era costui?
“Chi.. Chi sei tu?” Chiese, con la voce strozzata nella gola.
L'ex Signore Oscuro fece istintivamente un passo indietro, rendendosi conto di esser stato riconosciuto. Trattenne il fiato, un attimo, poi rispose.
“Richard. Mi chiamo Richard Murray.”

.....segue.



//Prima di continuare a pubblicare la storia, vi consiglio di leggere anche questa fanfic, che scrissi tempo addietro, che spiega come sia possibile aver trovato Draco Malfoy ad occuparsi di una libreria mezza magica e mezza babbana a Dublino...

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?s
id=538040&i=1

sabato 20 novembre 2010

Racconto di Natale 

La scacchiera stregata.

Aveva nevicato copiosamente a Nantucket, quell'anno, e l'isola era ricoperta da un morbido manto candido. Il mare era annerito dal freddo e dal vento, e nubi simili ad ovatta minacciavano costantemente nuove scariche di fiocchi sull'isola. Il faro svettava in tutto quel biancore, le strisce rosse disegnate sui fianchi di fresco a indicare la sua posizione anche a grande distanza, la luce, accesa fin dal primo oscurarsi del cielo.
Il mago aveva deciso di radunare per Natale un gruppo di amici a casa propria, e per garantirne l'arrivo, aveva inviato ad ognuno un piccolo dono, programmato come passa porta per condurre al faro il ricevente al momento opportuno. Dopo aver lustrato a lucido il faro e se stesso, e pronto in salotto ad accogliere gli ospiti, Tom Riddle cominciò a distribuire tonici a coloro che giungevano, sopratutto coloro che non erano abituati alla smaterializzazione.
“Cole! Fratello mio! Fortunatamente per te viaggiare in questo modo non è mai un problema... Prue, carissima, sempre splendida... vedo che anche tu ormai viaggi senza danni al modo di maghi e demoni” Sorrise ai primi arrivati.
“Tom, mio caro! Non è certo una banale smaterializzazione che può dar problemi ad un demone del mio rango....” sorrise l'altro, servendosi un brandy, mentre la bella moglie strega si guardava attorno.
“Tom la tua casa è splendida” Disse “Le decorazioni sono favolose! Non avevo mai visto tante candele galleggianti!”
“Dovevi vedere ad Hogwarts, mia cara... quelle si che erano decorazioni natalizie!”
Sorrise il mago, mentre un pop annunciava l'arrivo di altri ospiti. La casa, ampliata magicamente per l'occasione, si riempì rapidamente di gente sorridente, puntualmente fornita dal piccolo elfo di cocktail ed aperitivi, finché con un battito delle piccole mani non li invitò tutti alla cena.
Il sontuoso pasto venne rapidamente divorato dai commensali, che passarono la serata a raccontarsi le ultime novità, visto che vi erano tra loro amici che non si rivedevano da tempo ed altri che addirittura non si erano mai incontrati. Novizio di quegli incontri era Martin Mystere, il celebre studioso e giornalista, esperto divulgatore di misteri sulla linea di confine tra lo scientifico ed il para scientifico, che tenne banco raccontando storie interessantissime sulle proprie ricerche, salvo poi perdersi in una infinita disquisizione sui mondi inferi con un paio dei demoni ospiti del mago.

Al termine della lauta cena, la compagnia si spostò nell'ampio salotto, dove un paio di divani circolari erano sistemati attorno ad un grande caminetto la cui fiamma era alimentata da un paio di salamandre addomesticate. Cletus distribuì tisane digestive e liquori, accompagnati a biscottini, e si mise poi seduto sullo schienale del mago, a gustare la sua parte di tisana e le storie che sapeva presto sarebbero state raccontate... la parte più succosa di quel genere di serate, a suo avviso. Il primo a cominciare fu proprio l'anfitrione, dopo aver dato una fuggevole occhiata verso la propria scrivania, su cui troneggiava una bellissima scacchiera preziosa, i cui pezzi erano fatti ad immagine e somiglianza di un esercito antico. Vi si era avvicinato un paio di volte, durante la serata, e molti gli avevano fatto i complimenti per i pezzi, splendidamente scolpiti nel marmo bianco e nero, a rappresentare antichi soldati dell'età del bronzo. Il mago aveva spiegato che la scacchiera era ispirata alla guerra di Troia, ed i pezzi rappresentavano i personaggi dell'epica omerica. Dal lato acheo il re era ovviamente Agamennone, e la regina al suo fianco, anche se mai era stata presente sul campo di battaglia, era la regina Clitemnestra, mentre gli altri pezzi erano ovviamente i vari Nestore, Achille, Odisseo, Patroclo, gli Aiaci, di cui il Telamonio era rappresentato da una delle torri, in onore al suo poderoso scudo, e dall'altra parte, ovviamente era schierato l'esercito troiano, attorno a Priamo re ed Ecuba regina, affiancati da Paride, Ettore, Eleno, Deifobo, Dolone ed Elena.
“Sapete...” Cominciò, “Quella scacchiera è uno dei pezzi più belli mai giunti al negozio... e malgrado questo non siamo mai riusciti a venderla. O meglio, è stata venduta più volte, ma è sempre tornata indietro, al punto che io e Richard” Il mago alzò il bicchiere verso il socio, che stava osservando i pezzi con attenzione, e si girò a mala pena per replicare il gesto. “Abbiamo infine deciso di tenercela.”
Il socio del guardiano del faro si arricciò i baffi, dopo aver spostato un pezzo, e cominciò a raccontare.
“E' arrivata al negozio credo un anno fa, la portò una donna molto anziana, dall'aspetto dimesso, una vedova non troppo in buone acque. Disse che era appartenuta al marito, e che ora voleva disfarsene perché vedersela in casa le procurava troppo dolore, visto che le ricordava il defunto, che ci aveva passato intere giornate a giocare, spesso addirittura contro se stesso, a suo dire.
La misi in vendita e devo dire che trovò un acquirente nel giro di pochi giorni. Del resto è un oggetto di tale pregio che gli intenditori del settore non possono che apprezzarla, i pezzi sono totalmente lavorati a mano, senza la minima imperfezione, il marmo è pregiato ed arriva dall'Italia, dalle cave di Carrara, i pezzi sono squisitamente rifiniti. Insomma, quando me la vendette, ritenni di aver fatto un vero affare. Che così non fosse, non ci misi molto a rendermene conto.
Me la riportò al negozio il primo acquirente, dopo circa una settimana. Disse che i pezzi erano stati maledetti, che passavano intere notti a combattere gridando in greco antico, che si spostavano da soli, che addirittura si nascondevano per casa, impedendogli di giocare. La ripresi, rimborsandolo, e me la portai a casa, per verificare se non vi fossero incantesimi o maledizioni che mi erano sfuggite ad un esame preliminare, ma non trovai nulla. Giocai anche un paio di partite, con un amico, all'epoca ancora il caro Tom era solo un cliente e non il mio socio, e non sapevo ancora che fosse un ottimo giocatore, ma non riscontrai alcuna stranezza, in questa scacchiera. Certo, trattandosi di scacchi magici, per voi babbani possono parer strani, visto che si muovono e si affrontano da soli, durante la partita, semplicemente ricevendo dai giocatori l'indicazione della mossa, ma per noi sono assolutamente normali, e malgrado questi siano particolarmente belli, non mi parve allora che avessero nulla di strano. Così, dopo qualche giorno, li rimisi in vendita.
Fu nuovamente semplice, rivenderli... il nuovo acquirente era un mago celebrato per essere anche un grande giocatore di scacchi, vincitore di parecchi tornei, che si innamorò subito della scacchiera. Disse che voleva usarla per allenarsi, insegnano alla scacchiera a giocare da sola contro di lui e per le sue partite più importanti.
La riportò dopo solo tre giorni, dicendo che la scacchiera lo aveva battuto ad ogni partita, e che i pezzi si erano schierati contro di lui, sbeffeggiandolo.”
Il panciuto antiquario si interruppe per bere un sorso del brandy che teneva in mano, poi si arricciò i baffoni e riprese a raccontare, con voce sicura.
“Rimborsai a malincuore anche lui, pensando che probabilmente non era poi bravo quanto diceva di essere, o che probabilmente avesse insegnato agli scacchi a giocare troppo bene persino per lui e rimisi in vendita la scacchiera per la terza volta... e stavolta venne acquistata quando Tom era diventato mio socio. La scacchiera era rimasta invenduta per parecchio tempo, evidentemente si era sparsa la voce che fosse troppo magica, così ogni tanto la usavamo noi per giocare a scacchi e devo dire che il mio amico è uno dei giocatori migliori che conosco.. ben pochi sono stati capaci di stracciarmi in poche mosse per tre volte di fila, ma TU, amico mio, ci sei riuscito!” rise il mago, alzando il bicchiere verso il socio.
“In ogni caso, riuscimmo finalmente a rivendere la scacchiera, questa volta ad una signora molto avvenente, che disse che l'avrebbe regalata ad uno dei suoi numerosi amanti, grande scacchista.
Quando la riportò, ci narrò la storia più stana di tutte, disse che gli scacchi si erano trasformati in veri guerrieri e si erano combattuti nel suo salotto, distruggendolo e devastandole la casa, facendo fuggire nella notte il suo amante, terrorizzato.
Non potevo credere alle mie orecchie. Dovetti rimborsare nuovamente la donna, e stavolta decisi che avrei dato ai pezzi una sonora strigliata. Li disposi in fila davanti al banco, sgridandoli e smagizzandoli tutti, visto che insistevano a comportarsi da maleducati, e decisi di metterla in vendita come scacchiera normale, senza l'incantesimo solitamente usato per renderla magica.
Fu allora che compresi che non si trattava di un incantesimo avariato, ad aver creato i problemi che lamentavano i clienti...
Rivendemmo nuovamente l'oggetto, ad un maestro di scacchi di Boston, il quale disse che era ben felice non fosse magico, perché lo avrebbe usato per insegnare ai suoi allievi come giocare senza i suggerimenti dei pezzi, abitudine che molte scacchiere di esperienza hanno, di aiutare il giocatore a migliorare il gioco...
ed invariabilmente vedemmo ritornare il maestro e la scacchiera nel giro di pochi giorni. Oltre alla battaglia campale che ci aveva raccontato anche la precedente cliente, costui affermava che i pezzi si erano persino permessi di tentare di espugnare la casa accanto, gridando in greco antico.
Tom ed io riprendemmo l'oggetto, decidemmo di non metterlo più in vendita, ed il mio amico mi disse che lo avrebbe portato al faro per cercare di capire che problema avesse... ma qui devi continuare tu, amico mio, sei tu testimone diretto dell'evento.” Concluse l'anziano mago, indicando con un cenno della testa l'amico. Il guardiano del faro si schiarì la voce, prima di continuare il racconto.
“Portai qui la scacchiera, e la misi a posto esattamente dove la vedete... oziosamente spostai un pedone, una mossa d'inizio semplice ed innocua, ma senza la volontà effettiva di giocare... senza contare che avendo tolto la magia dai pezzi, sicuramente non avrebbero potuto rispondermi... perciò potete immaginare la mia sorpresa quando un'ora dopo, passando accanto alla scacchiera trovai un pezzo spostato. Ora, Cletus non sa giocare a scacchi, non ha mai voluto imparare, malgrado i miei tentativi di insegnarglielo, e nemmeno Ken, il piccolo fantasma che vive con noi... l'altro fantasma, il Capitano, sa giocare, ma di solito preferisce il backgammon, e quando ha voglia di una partita di scacchi solitamente me lo dice, senza farmi giochetti del genere, perciò vi era effettivamente qualcosa di strano, in quella mossa. Non potevo escludere che fosse stato Spaccaossa a spostare involontariamente il pezzo, camminando sulla scacchiera, ma come ogni gatto in realtà è in grado di camminare con leggiadria tra piccoli oggetti, senza spostarli se non per un motivo preciso, che di solito è reclamare cibo ed attenzione... per cui incuriosito, spostai un altro pezzo, un'altra mossa. Me ne andai, fingendomi occupato in altre faccende, ma tenendo d'occhio la scacchiera, e vidi un pezzo muoversi in risposta. Facendo finta di nulla, come se trovassi normalissima la cosa, risposi, e per farla breve, giocai una partita con un avversario che si dimostrò estremamente abile. Ai miei tempi...” il mago si interruppe, sorridendo. Solo pochissimi, in quel salotto, conoscevano la sua vera identità, ed il suo socio non era tra quelli. Si trattenne perciò dal puntualizzare di aver preso quattro premi di scacchi a Hogwarts, perché sarebbe stato come dichiarare ai quattro venti la propria identità, e si tenne sul vago. “Ai miei tempi, ero bravino a scacchi e viaggiando ho imparato sempre di più, al punto che come il mio caro amico Richard sa bene e non perde occasione di rinfacciarmi, sono diventato quasi imbattibile. Ma questo giocatore misterioso era decisamente più abile di me. Persi la partita, e decisi di non far caso di aver giocato praticamente con una scacchiera che non poteva muovere da sola i pezzi. Finsi di andare a dormire e mi posi in attesa di eventi, cercando di capire se quello che ci veniva regolarmente raccontato dai clienti su quella scacchiera era vero. Ma non sentii nulla. Giocai per diverse sere con la scacchiera, ma senza aver mai problemi di rumori o assalti guerreschi nella notte. Decisi di tentare un esperimento. Cominciai una partita, muovendo come al solito il nero, e misi sotto la sedia del giocatore bianco un talismano che serviva a rivelare qualsiasi traccia di magia. Dopo un'oretta, la mia trappola scattò. Sentii uno strepitio, ed un clangore metallico, come se qualcuno stesse sbattendo una lama contro delle sbarre. Corsi a vedere e mi trovai davanti al motivo ed alla causa di tutto. Un fantasma, intrappolato nella barriera creata dal talismano. Ed un fantasma di una certa celebrità...”
Il mago sorrise, bevendo un sorso della birra scura che teneva in mano, facendo girare lo sguardo sugli amici che lo guardavano con occhi spalancati, ansiosi di sentire il seguito.
“Avete presente di quali personaggi è composta la scacchiera? Ve l'ho detto all'inizio... sono i guerrieri dell'epica omerica. Ne conoscevamo uno, un tempo, lo ricordate?” Chiese il mago sorridendo. “Almeno, alcuni di noi lo conoscevano.....” sorrise, poi guardò verso la scacchiera.

“Dai, socio, fatti vedere un'ultima volta, coraggio.” disse.
Una voce profonda sbuffò, ed un gigante, semi trasparente, attrezzato di tutto punto di un'armatura di bronzo, le braccia conserte sul petto muscoloso ed immenso apparve, con un sogghigno sul viso. Passò gli occhi sul gruppetto di persone, gelate a guardarlo.
“Quante facce nuove...” disse Aiace di Telamone. “Allora è vero, il fantamondo non è morto affatto.” Annuì, un mezzo sorriso sul volto. “Ma alcuni li conosco, e bene. Salve, amici. Ben ritrovati.”
Molti restarono a guardarlo stupiti, senza capire, qualcuno rise, altri lo salutarono con grandi esclamazioni e la Diva si mise teatralmente a piangere, cercando di correre ad abbracciarlo, per cadere ai piedi del tavolino, dopo aver attraversato il fantasma del guerriero.
Il mago ed il guerriero risero, scambiandosi un occhiolino, e Tom tornò a raccontare.
“Questa scacchiera arrivava da Salamina, ma non lo sapevo... era stata stregata per simulare la guerra di Troia, in effetti, ma quello che non immaginavo è che fosse appartenuta al mio caro amico... e che dalla sua dipartita fosse rimasto legato a quest'oggetto.”
Il guerriero sospirò, ridacchiando.
“Che stranezza, vero? Con tutti i luoghi ed i fantaluoghi che ho frequentato in vita mia, il caso ha voluto che fosse questa scacchiera a custodire una parte del mio spirito... quando è stata venduta all'Arcana Cabana ho visto Tom ed ho cercato di farmi sentire, ma a quanto pare non sono particolarmente bravo come fantasma... mi parte la memoria, ogni tanto e mi ritrovo a rivivere solo i pezzi della mia vita che ricordo meglio, le battaglie a cui ho preso parte, la follia...” Disse Aiace con voce profonda. “Tutte le volte che mi trovavo in altri luoghi che non fossero il negozio, con persone che non riconoscevo, davo di matto e facevo casino, e mi riportavano indietro. Per cui datevi pace, voi due...” Rise, guardando i due maghi. “Non azzardatevi a vendermi di nuovo!”
Richard e Tom alzarono le mani ridendo.
“Mai socio! Non oserei!” disse il guardiano del faro.
Il fantasma del guerriero annuì, sorridendo, poi alzò le mani in segno di saluto, pronunciando le ultime parole con voce nostalgica.
“State bene.... e ricordate, è solo un gioco, cazzo!”
E quindi scomparve, dissolvendosi lentamente.
Sul gruppetto radunato tornò il silenzio, rotto solo dai singhiozzi della Diva che strepitava per terra, chiamando il nome del fratello. La donna si avventò sull'ex marito, prendendolo per il collo.
“MIA! La scacchiera deve essere mia, a qualunque costo! La devo avere! È MIO FRATELLO!”
Il mago la bloccò e la trasformò nella solita teiera fiorata, che posò sul tavolino, poi, mentre la riempiva di gin le spiegò: ”Calmati, Diva... Lo hai sentito? Non vuole esser venduto... e poi non è di nessuno, quando vorrà venir da te lo farà, e comunque una partita a scacchi con lui puoi sempre venire a farla anche qua. Ma ora calmati, ok?”
La fece tornare umana, ed il gin che le aveva fatto bere sortì gli effetti desiderati, al punto che la donna, ubriaca malgrado la sua abituale resistenza all'alcool, si addormentò sul tavolino per un paio di ore, mentre altri ospiti raccontavano le loro storie, dopo aver digerito la sorpresa dell'apparizione.