domenica 28 febbraio 2010

il racconto di fantasmi della notte di natale


Fantasmi al Faro

Dovete sapere che abito con ben due fantasmi al faro... il primo è un guardiano del faro stesso del 1800, tal Capitan Robert Stewartson, che è rimasto titolare del posto di lavoro dal 1843, quando fu costretto ad abbandonarlo in corpore a causa di una terrificante tempesta durante la quale perì eroicamente nell'adempimento del proprio dovere.. mentre completamente ubriaco cercava di rientrare al faro per accenderlo, prima che qualcuno si schiantasse contro l'entrata della baia di Nantucket!
Mi si è presentato appena qualche giorno dopo il mio arrivo, quando si è reso conto che sono un mago, e mi ha proposto come collaboratore... ed ho accettato più che felicemente! In effetti non sono molto abile in questo lavoro, ed avere un collega esperto, con circa 150 anni di lavoro alle spalle è una bella comodità....
Con l'altro invece è stato molto più difficile relazionarsi...
Ora, io non ho paura dei fantasmi, sono un mago, li vedo da quando ero bambino... e ad Hogwarts il fantasma della mia casa è il Barone Sanguinario, un personaggino da storia horror, per intenderci, per cui non mi spaventano, neanche quando ci si mettono d'impegno per riuscirci. Ma questo confesso che i primi tempi ci riuscì. Robert mi aveva preavvertito, andava soggetto a simpatie personali e poteva mettersi a farmi dispetti, senza un perché. Lui aveva provato ad avvicinarlo, ma non era mai riuscito a farlo, al punto che non sapeva nemmeno chi fosse.. aveva solo intuito che alcuni guardiani non gli piacevano, e gli davano fastidio sopratutto quelli di origini britanniche, come me.
Non me ne preoccupai.... ho visto di peggio, non è certo un fantasma a spaventarmi, pensai. Quando cominciai a trovare impronte insanguinate in giro per casa e scherzi spettrali da filmetto horror di serie Z, come vedere la mia faccia deformarsi nello specchio mentre mi facevo la barba, la mattina, o la doccia che cominciava ad emettere sangue, facevo spallucce, disincantavo lo specchio o la doccia con un colpo di bacchetta e lasciavo perdere...
ma una mattina riuscì a farmi uno scherzo veramente brutto.
Trovai la solita impronta sanguinante sulla porta della camera da letto, ma stavolta era inequivocabilmente l'impronta della mano di un elfo domestico, con le dita nodose e lunghissime.. e sopratutto con la falange del mignolo storta, come la mano di Cletus... confesso che seguii la traccia di sangue fino in cucina con il cuore in gola, e quando trovai un corpo esanime in una pozza di sangue, seminascosto da un tavolo, palesemente identico a Cletus, rimasi terrificato. Gridai il nome dell'elfo, che per fortuna si materializzò istantaneamente di fronte a me, come sua abitudine alla mia chiamata, e quando vide lo spettacolo mi si fiondò al collo, terrorizzato. Il corpo sparì in una specie di filamento ectoplasmico, lasciando dietro di se solo me con il cuore in gola e Cletus che squittiva impauritissimo.
Quella fu proprio la goccia che fece traboccare il vaso. Mi decisi e feci un incantesimo evocatorio particolarmente robusto, e mi trovai davanti il colpevole degli scherzetti di cattivo gusto... e mi lasciò di stucco. Era un bambino sui dieci, undici anni, vestito da femmina con un abito a fiori sdrucito e l'aria terrorizzata, che quando fu intrappolato nel triangolo magico che avevo tracciato per terra per contenervelo, si rannicchiò su se stesso, mettendosi le mani in testa e supplicandomi di non punirlo. Aveva un accento cockney che mi permise di capire immediatamente chi era... me l'avevano raccontata al pub di Sam, al porto, la sua storia. Ma non avevo collegato il protagonista di quella tristissima vicenda con il mio fantasmino dispettoso.
Poco dopo la morte di Stewartson, il mio indispensabile collaboratore, era venuta una famiglia inglese a stare al faro... un padre alcolizzato e violento, una moglie asservita e triste, con il volto di un topino maltrattato, e tre figli, un maschio, il più giovane e due ragazzine poco più grandi. La solita storia di violenze domestiche condite di miseria ed alcolismo. Con in più il dettaglio orribile che pare che il piccolo fosse dotato di strani poteri... e che non fosse affatto tagliato per la vita al mare. Il padre lo picchiava con particolare accanimento, e spesso gli dava della femminuccia, arrivando a obbligarlo a portare gli abiti delle sorelle come spregio ulteriore, quando lo voleva punire... e pare che una notte ci fosse stato un litigio tra moglie e marito che era traboccato in omicidio, infatti la donna si era costituita alla capitaneria di porto il mattino dopo, confessando il delitto. Avevano trovato il marito morto, fuori del faro... ed il figlio minore era sparito, in mare, presumibilmente... e fu il diretto interessato, di nome Kenneth, a raccontarmi com'erano andate le cose, effettivamente. La madre fu processata per il delitto e impiccata e le sorelle finirono in orfanotrofio, ovviamente, ma non era stata la madre ad uccidere il padre, bensì i figli... dopo che lui aveva picchiato e stuprato la figlia maggiore. Il guaio è che nel tentativo, il piccolo Ken era morto, gettato dal padre oltre il parapetto del molo e risucchiato dalle maree.
Io rimasi di stucco, a sentire questa storia.. mi ritrovai seduto a gambe incrociate davanti a lui, a cercare di consolarlo come potevo... e anche qua, fu Cletus ad esser determinante. Mentre il piccolino continuava a piangere a dirotto, lui gli si avvicinò e gli fece i complimenti per i suoi scherzi migliori. In effetti era stato particolarmente creativo.. una volta mi aveva aggiunto peperoncino nella crema da barba e mi ero ritrovato con il viso arrossato e bruciante per almeno quattro giorni, altre volte aveva scambiato zucchero e sale negli ingredienti delle ricette di Cletus, facendoci persino litigare... insomma, lo trattò come se fosse stato solo un piccolo burlone da mettere in riga, ma senza particolare severità... e con poche parole se lo conquistò come alleato... ed a mio discapito, devo ammettere... anche perché sono praticamente il solo a cui possono far dispetti, e si sono coalizzati!
Per intenderci... stamane mi sono svegliato ed aprendo l'armadio per cercare una camicia, ho trovato tutto il guardaroba tinto di rosa fucsia...

Il mago si aprì il maglione nero e mostrò una bella camicia del colore che aveva appena citato, sollevò la medesima e mostrò anche la canottiera dello stesso colore, e facendo scendere appena la cintura, anche i boxer si rivelarono della stessa scarsamente virile tinta...

Ovviamente abbiamo fatto pace con il piccolo Ken, che ha finito con l'accettarci come coinquilini, per cui il faro, lungi dall'esser il luogo solitario che sembra, è fin troppo abitato...

Il mago terminò il racconto con un sorrisetto, portando alle labbra il whiskey invecchiato che Arthur e Rupert continuano a servirgli, nel tentativo di farlo ubriacare... mentre le risa per il colore della sua biancheria intima riempiono la stanza, pensando che non riuscirà mai più a recuperare una dignitosa reputazione di cattivo, se continua a frequentare sta banda di cialtroni.....

BUONE FESTE A TUTTI!

pubblico in ritardo, per pura dimenticanza...

giovedì 18 febbraio 2010

il fanta mondo con gli occhi del gatto

Scendeva le scale cautamente, guardandosi attorno con attenzione.. la casa nuova odorava di cose strane, vernici, gente strana, mobili nuovi... e da fuori venivano tanti odori sconosciuti, altri animali, piante mai sentite, umani dallo strano odore... e quel profumo di salsedine e pesce che gli metteva sempre tanto appetito.
Il grosso gatto rosso si arrampicò sul davanzale del nuovo salotto, a guardare la strada da cui loro andavano e tornavano. Era l'ora in cui sarebbe tornata Sabrina, l'umana più giovane con cui viveva, che andava in quel posto che odorava di carta e gesso e altri piccoli umani sudati. Ora di mangiare, visto che era lei ad aprire il frigo e a condividere il pranzo con lui. Il gattone sospirò, osservando il grosso tiglio nel prato, su cui cantavano degli appetitosi passerotti. Cercò di convincerli a venire più vicino, sul balcone, per farci due chiacchiere... e magari farli diventare un primo spuntino, ma non gli diedero retta, come sempre. Sospirò ancora, e ridacchiò guardando il cane del dirimpettaio, un grosso idiota nero, inseguire per la millesima volta la palla che gli lanciava il suo umano, per poi riportargliela e farsela rilanciare. Probabilmente l'umano cercava di disfarsene e quello stupido cane era convito si trattasse di una preda da riportargli. I cani erano stupidi, ma non quanto gli umani che li possedevano... a parte qualche raro esemplare, come Nestore, quel cagnone che abitava accanto a loro. Si era sempre rifiutato di riportare palle, e in compenso sapeva tutto di tutti gli animali del vicinato. Il gattone, che i suoi umani erano convinti si chiamasse Piumotto, ma che tutti gli animali conoscevano giustamente come Spaccaossa, si era fatto raccontare tutti i posti migliori per cacciare e si era rifatto la sua reputazione di cacciatore integra, malgrado la distanza dai luoghi della sua infanzia. Aveva anche provato a tornare indietro, quando erano arrivati, ma Nestore, che i suoi umani chiamavano erroneamente Bubi, gli aveva spiegato che erano circondati dal mare, e che sarebbe stato inutile cercare di tornare indietro a zampe, per cui si era rassegnato.
Aveva fatto il giro del vicinato ed aveva anche visitato quella strana casa con la luce sopra, che restava accesa tutte le notti. Vi abitava un umano veramente strano... parlava con i serpenti, lo aveva sentito chiacchierare con un pitone albino, e trattava tutti gli animali con gentilezza molto maggiore di quanto trattasse gli umani, e questo incontrava di molto le simpatie del gattone, che a parte Sabrina non accettava coccole stropicciose da nessuno.
Quel giorno decise, dopo il pranzo, quando Sabrina si metteva a studiare, di andare a trovare un po' degli umani che abitavano sull'isola, cominciando da quello che abitava al faro, e lo trovò sul molo, intento a pescare. L'umano lo guardò sorridendo, e senza cercare di accarezzarlo, pescò dal cesto che aveva accanto un pescetto di piccole dimensioni, lo aprì e spinò e lo allungò al gatto, silenziosamente.
Per lunghi istanti, Spaccaossa mangiò, guardando ogni tanto il pescatore, per vedere se per caso aveva intenzione di allungare la mano a toccarlo. Al termine, rassicurato che non sarebbe stato toccato, si avvicinò, si sedette accanto al pescatore e si mise a guardare pazientemente il galleggiante, il mare, i gabbiani...
L'uomo sospirava e borbottava, tirando su l'esca mangiata dai pesci troppo scaltri per mangiarsi anche l'amo, ricaricandola e gettandola di nuovo in mare. Ogni tanto si strofinava le mani, che il freddo stava screpolando. Restarono in silenzio a pescare per un'oretta, finché il cestino non si fu riempito di un altro paio di pesci.
Allora il pescatore si alzò e torno al faro, dove quello strano esserino che gli altri umani non vedevano, quello che cucinava per il mago, non gli diede gli scarti del pesce ed un po' di latte per bere... restò a leccarsi le zampe finché la strana femmina fredda non tornò al faro, poco prima del tramonto, a salutare il suo umano appiccicandogli la bocca contro la bocca, ed allora il gatto giudicò fosse tempo di tornare a casa.
Passò a dare un'occhiata allo strano palazzo dove abitava lo scrittore che aveva lo stesso odore del mago del faro, e gli stessi occhi... lo guardò bere whiskey e scrivere, mentre quella ragazza rossa andava in giro per casa con un paio di amiche, cinguettando come i passerotti sull'albero di fronte a casa. Non si accorsero di lui, anche perché badò bene a non farsi notare... la volta precedente lo avevano addirittura infiocchettato, per il cielo! Ma lo scrittore, che lo conosceva per essere un animaletto dignitoso, non lo infiocchettava, ma gli allungava qualche pezzo di pane e gli dava una leggera carezza sulla schiena, senza attardarsi tanto in smancerie. Lo osservò scrivere pagine su pagine, furiosamente, senza smettere nemmeno un attimo di bere e di agitarsi, borbottando con lo stesso tono del guardiano del faro. Evidentemente pescare pesci e parole era altrettanto laborioso, pensò il felino.
Osservò il via vai della ragazza dai capelli rossi, che parlava animatamente con una fanciulla bruna che portava un neonato al petto, sempre badando a non farsi notare.
Dopo un'altra oretta passata a scaldarsi davanti al caminetto, sulla poltrona invasa di abiti dello scrittore, si stiracchiò, uscì dallo studio odoroso di tabacco da pipa e si diresse verso l'altro palazzo, quello senza vetri alle finestre, decorato come un tempio e vigilato da umani in corazza, dove abitava quell'altro umano che spesso passava ore a tracciare righe e disegni sulla carta ed a colorarli... andò a dargli un'occhiata nello studio, ma non lo trovò e così si diresse verso le cucine, dove le femmine umane avevano sempre troppo da fare per stropicciargli il pelo, ma gli lasciavano sempre qualcosa da mangiare. Ebbe soddisfazione anche quella volta.... si fece una scorpacciata di interiora di quel tacchino che stava lentamente arrostendo nel forno alimentato a legna, e poi uscì, a cercare la casa di quella strana coppia, anche loro freddi come la compagna dell'abitante del faro, dove entravano umani che poi non uscivano più, e da dove usciva invece quella musica che il maschio ascoltava sempre, quando non cercava di produrla lui stesso con quello strano attrezzo con le corde. Era esattamente lì, infatti, nel salotto, intento a suonare gli stessi tre pezzi, per ore e ore, cercando evidentemente di memorizzarli... la sua compagna disegnava e scriveva, cercando di far caso alla musica ossessiva che l'altro produceva, e fece solo una distratta carezza al gatto, che li guardò un po', ma era noioso, così, visto che aveva di nuovo un certo languorino, pensò di tornare a casa....
Scelse la strada del parco, e vi trovò di nuovo quello strano fenomeno... un sacco di bolle azzurrine, galleggiavano rincorrendosi nella brezza della sera, e sembravano canticchiare, in una strana lingua, melodiosa e musicale come la lingua dei gatti. Su un ramo una civetta bianca guardava le bolle e pareva muovere la testa a ritmo, cantilenando a sua volta qualcosa nella strana lingua degli uccelli notturni. Spaccaossa si fermò a canticchiare con loro, mente le osservava gironzolare alla luce del faro, ormai accesa, poi finalmente si diresse a casa. Sabrina aveva finalmente riempito la sua ciotola e stava chiamandolo dalla porta della cucina.

Bellatrix

Non mi sono dimenticato di te.... tu che sei stata la mia alleata più forte, la mia seguace più devota... Bellatrix. Ti sogno, talvolta... nelle notti più nere, torni a visitarmi. Il tuo volto è sempre stravolto dalla rabbia, mi accusi di aver tradito la causa, di aver vanificato la tua morte.
Non so darti torto, Bellatrix.
E' così, sopratutto ora che osservo il mondo dall'alto del Faro di Nantucket.
Ma non lo rimpiango, sai? Ora che ho visto anche io l'altra parte del velo, penso che non ci fosse altra via che abbandonare la strada che ho seguito per decenni, e tentarne un'altra.
Non l'ho mai confessato ad anima viva. Ma io ricordo l'altra parte del velo. So cosa mi attende, dopo la morte, per quello non ne ho più paura. Prima non lo sapevo, ma ora si. Per certi versi, non vedo l'ora di tornarvi. Venir riportato in vita è stata la violenza gratuita più feroce che mi abbiano fatto, dopo quella di avermi lasciato orfano. Mi sento perpetuamente di passaggio e non posso farci nulla. Sono sempre stato estraneo alla vita, ed ora lo sono sempre di più. Partecipo come un giocatore di riserva. Sono sullo sfondo, dopo aver cercato per tutta una vita di essere il protagonista, convinto che fosse il solo ruolo che mi spettava, che mi fosse stato levato, ma dovesse esser mio. Non ne sono più convinto, ora.
La morte iniziatica... è parte del percorso magico, ma io ho sperimentato la morte veramente. Sono sopravvissuto a me stesso, mio malgrado. Ed ora solo tu, Bellatrix, vieni ancora nei miei sogni a ricordarmi chi ero. So cosa vuoi dirmi. Ma non è un tradimento, no, è una trasformazione, necessaria, indispensabile.
Ora, solo ora io ho trovato un'altra faccia di me stesso... e malgrado sia così diversa da ciò che ero, mi rendo conto che essa esisteva già allora in me, sopita, dormiente. Ha potuto emergere solo ora che ho spazzato via la precedente, e non ci crederai, ma sto molto meglio con me stesso ora, di quanto non ci stessi prima.
Ti ricordi, Bellatrix? Quando ti infilavi nel mio letto fuggivo subito dopo la fine del rapporto. Non volevo permetterti di pensare di aver conquistato nemmeno un barlume di intimità con me. Non ero capace di dartene. Ed ora che nella mia vita è entrata una compagna, mi ritrovo ad amare quel momento di intimità che c'è dopo aver fatto l'amore, quando il corpo appagato lascia spazio alla comunione delle anime. Lei mi crede passionale ed ardente, visto quante volte giochiamo al gioco dell'amore. La verità è che adoro arrivare al dopo... alla pace dei sensi, alla comunione dello spirito, che non avevo mai conosciuto prima.
Ora, solo ora, adoro essere solo un uomo, semplice, nudo spiritualmente, prima che fisicamente.
Il tuo fantasma nella mia memoria non è una minaccia, Bellatrix, è un avvertimento. Mi rammenti ciò che sono stato e non voglio mai più essere. La tua presenza mi mantiene sempre vigile, un passo indietro. Ti devo persino ringraziare per questo, incredibile ma vero. Mi eviti di dimenticare che cosa sono stato, di perdere le tracce della mia nuova strada.
Ed a te, mia Dea dai capelli rossi... devo il piacere di vivere, anche contro il ricordo di cosa ho lasciato oltre il velo. Sei il solo motivo per cui resto da questa parte della soglia di pietra, la sola cosa che mi fa tenere alla vita. Mi hai fatto capire per cosa sono stato riportato in vita, per quale ragione mi hanno accidentalmente restituito più anima di quanta ne abbia mai posseduta in tutte le mie esistenze. Non ha importanza quanto tempo mi rimane, prima di tornare oltre il velo, ora non penso più sia troppo. Ora non ho più voglia di saltare dal faro nelle acque gelide dell'Atlantico, per tornare a casa, oltre il velo. Voglio restare, godermi ogni attimo con te.