venerdì 31 dicembre 2010

31 dicembre - dal diario di Tom


Fa freddo, stanotte. 
Chissà quant'era fredda quella notte. Ottantaquattro anni fa. Lei andò all'ospedale, senza documenti, senza quasi un nome. Non disse nulla, a parte il nome della creatura che aveva messo al mondo, quello che avrebbero scritto sul suo atto di nascita, insieme alla dicitura "orfano", di lì a qualche ora. 
 
Tom, come suo padre. 
Orvoloson, come suo nonno. 
Riddle. 
Come fai a ricordarti del tuo compleanno con piacere, se è lo stesso giorno in cui sei finito in orfanotrofio? 
Risparmiatevi gli auguri. Non so che farmene. 
Tom.

martedì 30 novembre 2010

L'altro libraio - Draco Malfoy ultima parte

Quell'occhiata entrò nella memoria di Tom e vi rimase per tutta la sua esistenza. In ogni momento della sua vita successiva, se chiudeva gli occhi e tornava a quel giorno, rivedeva quegli occhi chiari, bagnati di lacrime, guardarlo compassionevoli, uno sguardo spaventosamente simile a quello che gli aveva rivolto Silente nell'aldilà, quando lo aveva accolto dopo la sconfitta di Hogwarts. Scoprì di non poter sopportare quello sguardo. Poteva sopportare l'odio che vi aveva scorto all'inizio, ma non quello. L'odio lo conosceva, e si rese conto in quel momento di provarlo per se stesso con la stessa intensità. Ma non riusciva a provare compassione per se stesso, non poteva perdonarsi.
Prese la decisione in un istante, istintivamente. Gli fece un incantesimo di memoria, cancellò quell'incontro dalla mente del ragazzo, e mentre l'altro restava momentaneamente imbambolato a guardare il nulla, rimandò i libri sugli scaffali con un gesto, dissolse i sigilli all'entrata della libreria e fuggì, il cuore colmo di una disperazione senza possibilità di redenzione. Tornò in albergo e fece i bagagli, materializzandosi al faro, dall'altra parte dell'oceano, nel cuore della notte.
Andò sulla terrazza più alta del faro, a guardare il mare. Rimase lì al freddo tutta la notte, la mente in tumulto, a osservare il mare avventarsi sugli scogli sotto di lui, le mani che artigliavano la ringhiera. Tutto dentro di lui urlava, un grido disperato di orrore. Respirava a fatica, ansimando, ed ogni respiro lo chiamava verso l'abisso, a por fine a tutta quella sofferenza con un volo verso gli scogli. Eppure restava aggrappato a quella ringhiera, i muscoli tesi allo spasimo, incapace di fare il salto ed incapace di tornare dentro, al caldo ed alla sua vita, che gli pareva ora assurdamente priva di senso. Come poteva aver pensato di rifarsi una vita, come poteva credere di potersi lasciare tutto alle spalle e ricominciare? Lo avevano ucciso, ed era giusto così, non era giusto che un uomo come lui vivesse. Non ne aveva il diritto.
Arrivò l'alba a osservare quel piccolo umano sull'orlo dell'abisso. Il sole indifferente si alzò a sfiorargli il viso e Cletus lo trovò, mentre andava a fare il giro di controllo alla lampada, che ancora era immobile a guardare il mare, stravolto. Il piccolo elfo lo chiamò un paio di volte, senza ottenere risposta, senza capire che gli fosse successo. Poi fece la sola cosa che gli venne in mente di fare, la sola che era capace di fare per gli uomini, da quando era nato.
Gli prese una mano, dolcemente, gli sorrise, e guardandolo gli disse: “Vieni dentro, Tom... prendi freddo. Ti preparo la colazione, ora.”
Il mago sentì il calore della mano sulla propria e guardò il piccolo elfo senza vederlo. Ma gli strinse la mano, e finalmente qualcosa in lui si sciolse. Si lasciò cadere seduto accanto a lui, lo abbracciò e per la prima volta nella sua vita adulta si abbandonò alle lacrime in presenza di un altro essere vivente. Pianse disperatamente, singhiozzando, mentre il piccolo elfo, pur senza capire, lo stringeva e gli dava pacche affettuose sulle spalle. Lo lasciò piangere finché voleva, poi quando sentì il corpo del mago sciogliersi di stanchezza contro il suo, svuotato e sfinito, materializzò entrambi in salotto, vicino al divano. Si sedette accanto al mago, che si abbandonò per terra ad occhi chiusi, e rimase lì a tenergli entrambe le mani tra le proprie, appoggiandogli la testa contro il petto.
Il mago si addormentò, senza accorgersene, per svegliarsi ore dopo, sul divano, coperto da un plaid, spogliato dei vestiti per il viaggio. Il piccolo elfo era accanto a lui, leggeva un fumetto, e sul tavolo di fronte era posato un vassoio autoriscaldante, su cui era posata una caraffa di cioccolata calda ed i biscotti di Cletus.
Fu lo sguardo di Cletus a dargli una spiegazione sul perché non si era gettato nel vuoto, la notte prima. Non poteva farlo. Cletus sapeva perfettamente chi era stato, era cresciuto in una famiglia di maghi oscuri, conosceva perfettamente la sua storia. Eppure gli voleva bene lo stesso, per quello che era adesso. Che avesse senso o meno, l'affetto di quel piccolo elfo lo aveva tenuto ancorato a quella ringhiera, impedendogli di buttarsi di sotto. Il mago, con voce rotta, gli raccontò che cosa gli era successo, e l'elfo ascoltò attento.
“Ma ora non sei più Voldemort. Sei Tom, e basta. Facci pace con Voldemort, e sii Tom. È a Tom che Cletus e tutti i tuoi amici vogliono bene. Voldemort è morto e lo hai ucciso tu” disse, posandogli il lungo indice nodoso sul cuore. “non Harry Potter. Lui ha ucciso il corpo di Voldemort, ma tu ne hai ucciso il resto, quando ti ho conosciuto. Tu sei Tom ed hai una libreria ed un faro di cui occuparti.” annuì, sicuro, e poi lo nutrì come se fosse un bambino, e quando fu soddisfatto di quanto aveva mangiato gli ordinò di dormire ancora. Il mago, incapace di ribattere, si lasciò cullare, e poco prima di sprofondare di nuovo nel sonno, lo sentì mormorare una canzoncina per bambini. Sorrise, giusto un attimo prima di addormentarsi. Qualunque fosse la ragione per cui era tornato in vita, qualsiasi fossero gli orrori del suo passato, per quanto non riuscisse ad affrontarli, Cletus aveva ragione.
Come al solito.

L'altro libraio - Draco Malfoy parte seconda

“Non ti credo.” Draco si appoggiò al bancone, avvicinandosi al mago che si ritraeva. “Tu sei lui. Sei v-Voldemort.”
“Ti sbagli. È impossibile.” Alzò una mano in segno di diniego. “Voldemort è morto.” Cercò di sorridere, ma ne uscì una strana smorfia.
“No, non mi posso sbagliare. Sei tu.” Draco era atterrito, guardava l'altro con occhi spalancati, pallido in volto, ormai aggrappato al bancone come se dovesse svenirvi sopra. Ne era certo, non poteva sbagliarsi. Lo sguardo, le espressioni, non poteva dimenticarsele. Quel volto mostruoso che lo aveva terrorizzato per anni, nei suoi sogni, lo aveva inciso nella memoria, e malgrado la deformità con cui lo aveva conosciuto, certi tratti erano rimasti identici. E quella voce... era lui, non aveva dubbi. “Com'è possibile.. come hai fatto?”
“No, ti sbagli, Draco...” gli si mozzò il fiato in gola, mentre si rendeva conto di aver pronunciato un nome che non avrebbe dovuto conoscere. Restò immobile, guardando il giovane Malfoy alzarsi di scatto, portarsi le mani alla bocca e fissarlo sbalordito. Arretrò dietro il bancone, fino a toccare lo scaffale alle sue spalle, e rimase inchiodato a fissarlo. Tom reagì d'istinto, estrasse velocemente la bacchetta dalla manica e con un solo rapido gesto sigillò tutte le entrate della libreria. Non era entrato nessuno dopo di lui, nel lato magico, ed erano soli. Non sapeva cosa voleva fare, ma non poteva permettersi di avere altri testimoni di questo riconoscimento.
“Draco, ascolta, io...” cominciò, senza sapere bene cosa avrebbe detto.
“Bastardo...” Mormorò l'altro. “Maledetto fottuto bastardo, assassino!” Terminò quasi in un grido, lasciando cadere le braccia. “Che vuoi fare, ora, uccidermi?”
“No Draco.. non voglio ucciderti, io non sono la stessa persona, devi credermi.” disse alzando una mano aperta verso di lui. Nell'altra stringeva ancora la bacchetta, e con lentezza la abbassò, a dimostrare di non aver cattive intenzioni.
“Come no? Pensi che potrei sbagliarmi? Lo sai da quanto tempo sogno la tua voce, maledetto?” lo aggredì. “Sono quindici anni che hai devastato la mia esistenza, TU! Non mi posso sbagliare. Non so che hai fatto alla faccia, ma la tua voce non la dimenticherò finché campo!”
“Lo so, ma non sono più la stessa persona di una volta, Draco...” Cercò di spiegargli.
“NO! Tu non sai nulla, maledetto! Non sai niente! Non me ne frega un cazzo di chi sei, tanto non ha nessuna importanza! Tu hai rovinato la mia vita! La vita dei miei genitori! La vita di chiunque!” gli urlò in faccia, estraendo la bacchetta dalla tasca della giacca. “AVADA K...” cominciò a gridare, ma Tom velocissimo alzò nuovamente la bacchetta e lo bloccò con un incantesimo immobilizzante.
Si ritrovò a fissare il ragazzo, che malgrado la paralisi lo guardava accecato di odio, consapevole che se avesse terminato l'incantesimo lo avrebbe sicuramente ucciso. Sapeva riconoscere la volontà omicida negli occhi di un avversario, e quel ragazzo che non era riuscito ad uccidere Silente per difendere la sua famiglia, era ora diventato un adulto in grado di ucciderlo senza esitare. Tom ansimò, il fiato corto, cercando di riprendere il respiro, guardando il ragazzo. Alzò la bacchetta verso il soffitto, sbalordito da tanto odio. Mai prima di allora aveva incontrato una propria vittima, e Draco poteva ben dirsi una sua vittima, anche se era sopravvissuto. Era vero, gli aveva devastato l'esistenza, come a tutti quelli che avevano osato incrociare la sua strada. Aveva ripensato alle proprie azioni, mille volte, pensando a quanto male era andata la sua vita, ma non si era mai pienamente reso conto dell'effetto che aveva avuto sulla vita degli altri. Allungò una mano a togliere la bacchetta dalle mani del ragazzo, la posò sul bancone di fronte a sé e modificò l'incantesimo per lasciargli la possibilità di parlare. Il ragazzo riprese il controllo del proprio viso e chiuse la bocca, guardandolo con odio.
“Che aspetti ad uccidermi? O vuoi torturarmi, prima? Non ti temo, bastardo... è passato il tempo in cui mi facevi paura sai?” disse, e poi gli sputò in faccia.
Tom non fece in tempo a ritrarsi, e prese il getto di saliva in viso. Fu come se fosse velenoso. La rabbia lo aggredì feroce e con un gesto della bacchetta mandò l'altro a sbattere violentemente contro la parete, dove rimase appoggiato, il viso deformato dal dolore.
“Tutto qua quello che sai fare?” Ringhiò.
“Io non voglio farti nulla, cazzo! Non ho intenzione di ucciderti, Draco! Come devo dirtelo? Lo avrei già fatto, se avessi voluto! Non sono più il Signore Oscuro!” gridò, pulendosi il volto con una manica.
“Ah, no? E cosa saresti, sentiamo, un libraio?” il ragazzo rise, incredulo.
“Si, sono un banale libraio. Uno stupido, anonimo libraio! Non mi passa più nemmeno per l'anticamera del cervello di conquistare il mondo magico, sto solo cercando di rifarmi una vita!”
“Ah, ma davvero? E con che diritto? E tutti quelli a cui l'hai devastata cosa dovrebbero fare, applaudirti ora, perché sei diventato buono? Ma chi vuoi che ti creda?” il giovane rise, incontrollabilmente. “Lo sai che quasi nessuno tra noi è riuscito a rifarsi una vita serenamente? Lo sai che sei rimasto negli incubi di tutti? Hermione, mia moglie, si sogna la battaglia tutte le volte che è sotto stress, mi sveglia urlando, ed io sveglio lei, quando mi risogno la notte in cui mi mandasti a cercare di uccidere Silente... uno dei miei migliori amici è morto, la notte della battaglia ad Hogwarts, e l'altro è diventato quasi pazzo, è finito al San Mungo per depressione, grazie a te. I miei...” il ragazzo strinse gli occhi che si andavano riempiendo di lacrime. Suo padre era morto ad Azkaban, e sua madre era morta di dolore pochi anni dopo. Aveva dovuto tirarsi su le maniche dal nulla, visto che tutti i loro beni erano stati confiscati, e solo di recente aveva ritrovato la tranquillità, quando si era ritrovato davanti Hermione Granger e si erano innamorati e sposati, con reciproca sorpresa. Credeva che tutto andasse bene, fino a quel momento, quando il peggior incubo della sua vita si era materializzato davanti ai suoi occhi, ed aveva anche il coraggio di dirgli che non era più il mostro di una volta. “Che diritto hai TU di volerti rifare una vita, sentiamo?”
Tom si lasciò vomitare addosso tutto quel veleno, senza reagire. La domanda di Draco rimase tra loro, più pesante di una condanna. Se l'era posta lui stesso, molte volte, ma senza darsi risposte soddisfacenti. Ed ora di fronte al ragazzo nessuna delle risposte parziali che aveva trovato aveva minimamente significato. Si passò una mano sul viso, abbassando lo sguardo di fronte al dolore terribile che emanava da lui. Essere legilimante significava sopratutto essere in grado di percepire le emozioni delle persone che aveva di fronte e solo una mente ben allenata e preparata poteva evitare di venirne travolta. Ma ora non era pronto a difendersi, la propria emozione lo tradiva, lasciandolo scoperto a farsi invadere dalle immagini provenienti da Draco. Se ne lasciò permeare, vedendo e sentendo tutto il dolore che si era portato dentro, tutta la rabbia, tutto l'odio non solo per lui ma anche per se stesso, il senso di colpa per essersi unito ai mangiamorte ed aver fatto cose orribili. Era così simile a quello che aveva sentito Tom stesso in questi anni dal suo ritorno che ne fu annientato. Senza rendersi conto di quello che stava dicendo, senza alzare il viso su Draco, Tom mormorò: “Perdono... io... non immaginavo.”
Aspirò pesantemente l'aria, immediatamente consapevole di esser ridicolo a chiedere perdono per qualcosa che era oltre qualunque possibilità di redenzione. Non meritava nessun perdono, tutta la sua vita era stata solo un infinito fallimento, una lunga sequela di orrori, senza motivo oltre al dolore che aveva provato lui stesso. Aveva cercato di vendicarsi dei torti che pensava di aver subito, questo era il vero motivo di tutta la sua ambizione, di tutto il suo odio. Ed ora, di fronte a Draco, aveva esatte, chiare le proporzioni dell'inutilità dei suoi sforzi. Gli tolse l'incantesimo bloccante ed il ragazzo ricadde a sedere sulla sedia dietro il bancone, i muscolo anchilosati e stanchi. Lo fissò, a lungo, incredulo, poi cominciò a ridere. Rideva a crepapelle, senza riuscire a smettere.
“Perdono? Mi stai chiedendo PERDONO?” Gridò.
Tom annuì, stancamente. Si appoggiò con le mani al bancone, lo sguardo basso, incredulo egli stesso.
“Non è possibile, lo so...” mormorò. “Non si può perdonare quello che ho fatto. Pensavo fosse giusto, pensavo fosse la cosa migliore da fare, e non mi sono reso conto di quanto male facevo. Pensa pure che sia ridicolo, ma non capivo... non sapevo quello che stavo facendo, a te, agli altri mangiamorte, a me stesso, a coloro che mi combattevano. Pensavo solo fosse giusto farlo.”
Draco lo guardò a lungo, senza dir nulla, mentre l'altro parlava. Alla fine solo una parola uscì dalle sue labbra.
“Perché?”
Tom, gli occhi che pungevano stranamente, come se qualcosa combattesse per uscire, si ritrovò a pensare alla propria infanzia. Aprì la bocca un paio di volte, cercando di spiegare, ma qualunque cosa avesse detto sarebbe stata inadeguata a far capire quello che aveva provato. Non poteva, come non poteva far capire a Draco quanto realmente gli dispiacesse aver fatto quello che aveva fatto. Così decise di spiegarglielo nella sola maniera possibile. Alzò lo sguardo su di lui, uno sguardo che pochi avevano potuto sostenere e sopravvivere, ai tempi della guerra magica. Entrò nella mente del ragazzo ed invece di estirparvi dei ricordi, per la prima volta in tutta la sua vita, si aprì totalmente ad un altro essere umano e gli mostrò chi era stato, e perché aveva fatto tutto quello che aveva fatto. Draco vide i lunghi anni all'orfanotrofio, le angherie, la consapevolezza di esser diverso, la totale mancanza di affetti, la solitudine infinita, la paura, l'odio, il bisogno di rivalsa... come Tom aveva visto tutto il dolore di Draco, così ora Draco vide quello di Tom. Chiuse gli occhi, incapace di sostenere altro, e scoppiò in lacrime.
“Non è giusto...” mormorò, tra le lacrime, e lo ripeté mille e mille volte, e Tom non seppe per chi dei due lo stesse dicendo. Abbassò lo sguardo sul bancone e rimase a guardarne le modanature per un tempo infinito, attendendo che l'altro si calmasse.
Draco, il ragazzo viziato e  troppo amato che era stato nell'adolescenza, per la prima volta in vita sua vide Tom Orvoloson Riddle come un orfano rifiutato da tutti, dal mondo babbano e dal mondo magico e comprese. Per quanto la sua vita fosse stata devastata dall'incontro con il Signore Oscuro, Draco aveva potuto almeno contare su una psiche irrobustita dall'amore che aveva ricevuto. Aveva davvero potuto pensare di rifarsi un'esistenza, ne aveva le capacità affettive, psicologiche. Colui che non poteva esser nominato, invece, era stato una parodia di uomo per tutta la sua vita. Non aveva idea di come fosse tornato a vivere, ma vi era veramente del pentimento, un barlume di umanità risvegliato nell'individuo che aveva davanti. E doveva soffrire orribilmente, ora che poteva vedersi come lo vedevano gli altri. Alzò infine lo sguardo su di lui e lo guardò con sincera compassione. Non avrebbe saputo perdonarlo completamente, troppo aveva sofferto per causa sua, ma poteva almeno capirlo.

domenica 28 novembre 2010

L'altro libraio - Draco Malfoy

Erano ormai mesi che lavorava alla libreria con Richard, e Tom non smetteva di congratularsi con se stesso per l'idea. Era veramente un toccasana occuparsi di quel posto, lo pensava tutte le mattina quando alzava la serranda ed entrava a riordinare i ninnoli magici che avevano l'abitudine di spostarsi durante la notte. Si divertiva, si rilassava ad occuparsi di quegli oggetti e la caccia ai libri gli dava enormi soddisfazioni. Passare ore a frugare in minuscole librerie d'usato, smarrire il senso del tempo in mercatini delle pulci dedicati ai libri, acquistare enormi biblioteche private senza qualità solo per poter mettere le mani su un singolo libro di valore inestimabile e totalmente sconosciuto ai proprietari, spesso eredi senza gusto o competenze, lo faceva tornare ai tempi di scuola, quando la sua unica preoccupazione era lo studio e poteva dimenticarsi di se stesso nell'enorme biblioteca di Hogwarts. Persino il lavoro di riparazione degli incantesimi posti sugli oggetti magici usati che vendevano, compito che Richard svolgeva in maniera ormai affrettata ed infastidita, lo metteva di buon umore. Si divertiva a cercare di riparare questi oggetti, alle volte occorreva letteralmente parlamentare con oggetti i cui incantesimi erano così antichi da averli dotati di una personalità, che non ne volevano sapere assolutamente di tornare alle funzioni originarie, protestavano, esprimevano le proprie opinioni con forza e convinzione, come il set di soldatini affezionati ormai al bridge ed al minuetto, del tutto restii a tornare a simulare piccole guerre come un tempo, che aveva inutilmente cercato di riparare settimane prima.
Inoltre aveva finalmente ricominciato a viaggiare. Era uno zingaro, sotto sotto, adorava trovarsi in giro per il mondo con il borsone in spalla. La ricerca delle fiere magiche dell'usato lo aveva condotto in lungo ed in largo nel nuovo continente, nei quartieri magici di quasi tutte le grandi città e non disdegnava nemmeno le fiere babbane, se per caso c'era notizia del decesso di qualche celebre mago senza eredi nei dintorni del luogo ove si svolgeva la fiera. Capitava sovente, infatti, che venissero messi all'asta i beni del mago dai babbani, senza sapere di star vendendo oggettistica magica, così che con un po' di fortuna e di attenzione era possibile scoprire piccoli tesori. Tom aveva ormai sempre una valigia pronta, nella casa vicino al faro, per poter partire in qualsiasi momento, sulle tracce di una fiera o di un mercatino in giro per il mondo, ed ormai, grazie a questo atteggiamento, gli affari stavano veramente andando a gonfie vele. Tanto che quando seppe di un mercato di libri della durata di una settimana a Dublino, il mago decise di partire.
Era stato a Dublino, una vita prima, e se la ricordava a mala pena, ma abbastanza da trovarla trasformata, almeno nelle parti più periferiche. Fu solo quando arrivò al centro della città che tornò a riconoscere le viuzze. Il mercatino che cercava si era rivelato deludente, un'accozzaglia di carabattole senza valore, e nessun libro che valesse la pena di riportare a casa, così Tom aveva deciso di passare gli ultimi due giorni ad oziare nella capitale, godendosi l'estate indiana, la birra e la musica irlandese, prima di tornare a Nantucket, con la speranza per altro di trovare magari qualcosa di interessante a Owl Lane, il quartiere magico dublinese. Era stato nell'ufficio del turismo magico, poco prima, dove si era procurato una guida ai luoghi magici caratteristici, con una dettagliata mappa del quartiere magico ed una breve descrizione della sua storia. Era intenzionato a farci un giro, ma una strana pigrizia lo stava avvolgendo, come un manto di tranquillità, sollecitata dal non aver nulla da fare per il negozio. Per questo era entrato in quel pub, attratto dalla musica che ne usciva ed ora esitava ad andarsene, e decise di prendersela calma, rilassandosi in compagnia di una pinta di birra scura, il cui sapore in patria era impareggiabile, ed ascoltando tre ragazzi che suonavano musica folk, in un angolo del locale. Il mago si sentiva in pace con il mondo, guardando la gente passare fuori dalle finestre del pub e osservando il cielo scorrere mutevole sulle loro teste.
Osservava oziosamente la strada, quando vide dall'altra parte un'insegna che lo incuriosì: Akasha. Era una libreria esoterica, a quello che pareva dalle scritte sulle vetrine, e stranamente gli sembrava familiare. Estrasse dalla tasca del giaccone da marinaio la brochure turistica e vi rintracciò il nome della libreria. Era famosa a quanto pareva per esser la prima libreria magica con un settore aperto ai babbani, provvista di libri autorizzati dal ministero per fare il minor danno possibile in mano ai babbani. Non diceva nulla del proprietario, ma pareva essere una delle attrazioni del posto, ed i maghi potevano usarla per passare nel quartiere magico grazie all'accesso nascosto nel settore dedicato ai libri di astrologia. Incuriosito, il mago decise di muoversi, e terminata la birra, attraversò la strada per entrare nella libreria.
Il lato babbano era divertente ed innocuo, decise. Vi erano esposti i libri di alcuni famosi maghi, ed altri scritti da babbani convinti di aver scoperto grandi segreti magici e spirituali, che Tom aveva letto con un sorriso quando aveva cominciato ad occuparsi dell'Arcana Cabana, perciò, dopo un rapido sguardo agli scaffali, si diresse deciso al settore astrologia per entrare nell'altra parte.
Tornò spesso a ripensare a quel momento, nelle settimane successive, talvolta maledicendo quell'impulso... ma altre si disse che forse era stata una delle esperienze più importanti della sua nuova vita.
La libreria era semivuota da entrambe le parti, quel giorno, e solo un commesso presidiava il lato babbano, mentre nel lato magico non vi era nessuno, quando Tom vi mise piede. Si mise a girare per gli scaffali, scorrendo titoli noti e meno noti di autori locali, perdendo come sempre gli capitava il senso del tempo e del luogo, immerso nella lettura di paragrafi da un libro e da un altro, prendendo talvolta un volume da portare in cassa, terminato il lungo giro. Ne aveva racimolati ben sei, quando finalmente si decise ad uscire da quella piccola libreria, prima di lasciarci un patrimonio. Era effettivamente fornitissima, faceva ampiamente onore alla sua fama di avere praticamente di tutto, ma non poteva portarsi indietro tutti quei libri, onestamente, o avrebbe dovuto abbandonare il suo bagaglio a favore dei volumi che avrebbe voluto acquistare. Si diresse quindi al bancone, dove era arrivato a sedersi su uno sgabello un giovane biondo, con lunghi capelli sciolti sulle spalle e stava leggendo una rivista, in attesa di clienti. Il mago posò i libri accanto al registratore di cassa, sorridendo, e disse: “Devo veramente farvi i complimenti... sono anch'io un libraio, ma la vostra libreria è fornitissima, molto più della mia!”
Il ragazzo di fronte a lui alzò il viso di scatto ed il mago poté vedere che non era così giovane come sembrava, ma sopratutto si rese conto di conoscerlo, e molto bene. Gli occhi color acciaio erano di famiglia, non ci si poteva confondere, così come l'abitudine di portare i capelli lunghi e sciolti sulle spalle. Il viso affilato era quello di Narcissa, ma lo sguardo era quello di Lucius. Draco Malfoy, approssimativamente trentenne o poco più, impossibile dirlo grazie alla virtù tutta Malfoy di sembrare più giovani della loro reale età anagrafica, era di fronte a lui, e lo guardava con una strana espressione negli occhi.
Tom si sentì gelare. Aveva frequentato la Malfoy Manor per oltre un anno, quando era tornato in vita, in attesa di riuscire ad uccidere Potter, e Draco non solo conosceva il suo viso, conosceva benissimo la sua voce. Poteva aver ritrovato naso e capelli, i suoi occhi erano tornati del blu originario, ma la voce era rimasta identica, come l'altezza, il portamento, le spalle. Restarono a fissarsi, indecisi, il giovane a studiare quell'uomo che gli ricordava una parte tanto dolorosa della sua vita e l'adulto a fissare un passato a cui aveva smesso di pensare. Il silenzio cominciò a farsi pesante, senza che nessuno dei due facesse una mossa, poi Draco prese i libri, senza guardarli.
“Grazie” Disse Draco, senza espressione nella voce, “è un piacere incontrare un collega... dove ha aperto la sua libreria? Magari la conosco.”
“N-Nantucket.” Rispose asciutto, la bocca arida articolava le parole a fatica.
“Nantucket? Si trova negli States, vero? Ma lei non ha un accento americano...”
Tom si maledì per aver abbandonato la cadenza nantuckettese appena messo piede a terra, ed annuì, sperando che quello che sentiva sulle guance non fosse colpevole rossore. Aveva lo stomaco in subbuglio, non si era mai sentito così, nemmeno quando si era trovato davanti Potter e la moglie al faro. Harry non lo aveva mai riconosciuto, ma in effetti quando si erano incontrati avevano pensato più a cercare di uccidersi che a parlarsi, per cui era quasi ovvio che l'altro non lo riconoscesse, ma con Draco aveva parlato spesso, aveva vissuto nella sua casa, si conoscevano. Se Fenrir lo aveva riconosciuto grazie all'odore, Draco poteva riconoscerlo per mille altri dettagli. Tom cercò di tranquillizzarsi, pensando che lo davano tutti per morto, ormai, e che aveva un aspetto fin troppo giovanile, rispetto alla sua età reale, per cui nessuno, a parte il padre del ragazzo che aveva di fronte poteva riconoscerlo, ma non riusciva a rilassarsi. Sostenne lo sguardo indagatore del giovane Malfoy, senza osare distogliere lo sguardo.
“Ho viaggiato molto.” Rispose, sorridendo freddamente.
“Mi ricorda qualcuno, sa? Forse ci siamo già incontrati altre volte?”
“No, impossibile. È la prima volta che vengo in Irlanda.”
“Ah, ma io non sono irlandese. Sono inglese. Magari ci siamo visti altrove.” Draco incrociò le braccia, stringendo gli occhi, concentrato sul viso dell'uomo. Gli metteva i brividi e non sapeva capire perché. C'era qualcosa in lui che lo riempiva di orrore gelido, ma non riusciva ad identificarne la ragione. Non gli era mai capitato di provare tanta istintiva repulsione per una persona, a parte... Voldemort. Bastò al giovane formulare quel nome nella sua mente, per sentirsi aprire un vuoto nel petto, come un pugno. Spalancò la bocca, guardando il mago che aveva di fronte. Non era possibile che fosse lui, ne era certo. Era morto, lo aveva visto morire con i suoi occhi, aveva assistito al suo funerale. Aveva passato anni a cercare di dimenticarselo, anni a lottare per riguadagnarsi una dignità ed un nome, anni a dimostrare che era cambiato e non era più, non era mai stato veramente un mangiamorte. La voce di quell'uomo lo aveva perseguitato nei suoi sogni, se la ricordava con chiarezza, ed ora... chi era costui?
“Chi.. Chi sei tu?” Chiese, con la voce strozzata nella gola.
L'ex Signore Oscuro fece istintivamente un passo indietro, rendendosi conto di esser stato riconosciuto. Trattenne il fiato, un attimo, poi rispose.
“Richard. Mi chiamo Richard Murray.”

.....segue.



//Prima di continuare a pubblicare la storia, vi consiglio di leggere anche questa fanfic, che scrissi tempo addietro, che spiega come sia possibile aver trovato Draco Malfoy ad occuparsi di una libreria mezza magica e mezza babbana a Dublino...

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?s
id=538040&i=1

sabato 20 novembre 2010

Racconto di Natale 

La scacchiera stregata.

Aveva nevicato copiosamente a Nantucket, quell'anno, e l'isola era ricoperta da un morbido manto candido. Il mare era annerito dal freddo e dal vento, e nubi simili ad ovatta minacciavano costantemente nuove scariche di fiocchi sull'isola. Il faro svettava in tutto quel biancore, le strisce rosse disegnate sui fianchi di fresco a indicare la sua posizione anche a grande distanza, la luce, accesa fin dal primo oscurarsi del cielo.
Il mago aveva deciso di radunare per Natale un gruppo di amici a casa propria, e per garantirne l'arrivo, aveva inviato ad ognuno un piccolo dono, programmato come passa porta per condurre al faro il ricevente al momento opportuno. Dopo aver lustrato a lucido il faro e se stesso, e pronto in salotto ad accogliere gli ospiti, Tom Riddle cominciò a distribuire tonici a coloro che giungevano, sopratutto coloro che non erano abituati alla smaterializzazione.
“Cole! Fratello mio! Fortunatamente per te viaggiare in questo modo non è mai un problema... Prue, carissima, sempre splendida... vedo che anche tu ormai viaggi senza danni al modo di maghi e demoni” Sorrise ai primi arrivati.
“Tom, mio caro! Non è certo una banale smaterializzazione che può dar problemi ad un demone del mio rango....” sorrise l'altro, servendosi un brandy, mentre la bella moglie strega si guardava attorno.
“Tom la tua casa è splendida” Disse “Le decorazioni sono favolose! Non avevo mai visto tante candele galleggianti!”
“Dovevi vedere ad Hogwarts, mia cara... quelle si che erano decorazioni natalizie!”
Sorrise il mago, mentre un pop annunciava l'arrivo di altri ospiti. La casa, ampliata magicamente per l'occasione, si riempì rapidamente di gente sorridente, puntualmente fornita dal piccolo elfo di cocktail ed aperitivi, finché con un battito delle piccole mani non li invitò tutti alla cena.
Il sontuoso pasto venne rapidamente divorato dai commensali, che passarono la serata a raccontarsi le ultime novità, visto che vi erano tra loro amici che non si rivedevano da tempo ed altri che addirittura non si erano mai incontrati. Novizio di quegli incontri era Martin Mystere, il celebre studioso e giornalista, esperto divulgatore di misteri sulla linea di confine tra lo scientifico ed il para scientifico, che tenne banco raccontando storie interessantissime sulle proprie ricerche, salvo poi perdersi in una infinita disquisizione sui mondi inferi con un paio dei demoni ospiti del mago.

Al termine della lauta cena, la compagnia si spostò nell'ampio salotto, dove un paio di divani circolari erano sistemati attorno ad un grande caminetto la cui fiamma era alimentata da un paio di salamandre addomesticate. Cletus distribuì tisane digestive e liquori, accompagnati a biscottini, e si mise poi seduto sullo schienale del mago, a gustare la sua parte di tisana e le storie che sapeva presto sarebbero state raccontate... la parte più succosa di quel genere di serate, a suo avviso. Il primo a cominciare fu proprio l'anfitrione, dopo aver dato una fuggevole occhiata verso la propria scrivania, su cui troneggiava una bellissima scacchiera preziosa, i cui pezzi erano fatti ad immagine e somiglianza di un esercito antico. Vi si era avvicinato un paio di volte, durante la serata, e molti gli avevano fatto i complimenti per i pezzi, splendidamente scolpiti nel marmo bianco e nero, a rappresentare antichi soldati dell'età del bronzo. Il mago aveva spiegato che la scacchiera era ispirata alla guerra di Troia, ed i pezzi rappresentavano i personaggi dell'epica omerica. Dal lato acheo il re era ovviamente Agamennone, e la regina al suo fianco, anche se mai era stata presente sul campo di battaglia, era la regina Clitemnestra, mentre gli altri pezzi erano ovviamente i vari Nestore, Achille, Odisseo, Patroclo, gli Aiaci, di cui il Telamonio era rappresentato da una delle torri, in onore al suo poderoso scudo, e dall'altra parte, ovviamente era schierato l'esercito troiano, attorno a Priamo re ed Ecuba regina, affiancati da Paride, Ettore, Eleno, Deifobo, Dolone ed Elena.
“Sapete...” Cominciò, “Quella scacchiera è uno dei pezzi più belli mai giunti al negozio... e malgrado questo non siamo mai riusciti a venderla. O meglio, è stata venduta più volte, ma è sempre tornata indietro, al punto che io e Richard” Il mago alzò il bicchiere verso il socio, che stava osservando i pezzi con attenzione, e si girò a mala pena per replicare il gesto. “Abbiamo infine deciso di tenercela.”
Il socio del guardiano del faro si arricciò i baffi, dopo aver spostato un pezzo, e cominciò a raccontare.
“E' arrivata al negozio credo un anno fa, la portò una donna molto anziana, dall'aspetto dimesso, una vedova non troppo in buone acque. Disse che era appartenuta al marito, e che ora voleva disfarsene perché vedersela in casa le procurava troppo dolore, visto che le ricordava il defunto, che ci aveva passato intere giornate a giocare, spesso addirittura contro se stesso, a suo dire.
La misi in vendita e devo dire che trovò un acquirente nel giro di pochi giorni. Del resto è un oggetto di tale pregio che gli intenditori del settore non possono che apprezzarla, i pezzi sono totalmente lavorati a mano, senza la minima imperfezione, il marmo è pregiato ed arriva dall'Italia, dalle cave di Carrara, i pezzi sono squisitamente rifiniti. Insomma, quando me la vendette, ritenni di aver fatto un vero affare. Che così non fosse, non ci misi molto a rendermene conto.
Me la riportò al negozio il primo acquirente, dopo circa una settimana. Disse che i pezzi erano stati maledetti, che passavano intere notti a combattere gridando in greco antico, che si spostavano da soli, che addirittura si nascondevano per casa, impedendogli di giocare. La ripresi, rimborsandolo, e me la portai a casa, per verificare se non vi fossero incantesimi o maledizioni che mi erano sfuggite ad un esame preliminare, ma non trovai nulla. Giocai anche un paio di partite, con un amico, all'epoca ancora il caro Tom era solo un cliente e non il mio socio, e non sapevo ancora che fosse un ottimo giocatore, ma non riscontrai alcuna stranezza, in questa scacchiera. Certo, trattandosi di scacchi magici, per voi babbani possono parer strani, visto che si muovono e si affrontano da soli, durante la partita, semplicemente ricevendo dai giocatori l'indicazione della mossa, ma per noi sono assolutamente normali, e malgrado questi siano particolarmente belli, non mi parve allora che avessero nulla di strano. Così, dopo qualche giorno, li rimisi in vendita.
Fu nuovamente semplice, rivenderli... il nuovo acquirente era un mago celebrato per essere anche un grande giocatore di scacchi, vincitore di parecchi tornei, che si innamorò subito della scacchiera. Disse che voleva usarla per allenarsi, insegnano alla scacchiera a giocare da sola contro di lui e per le sue partite più importanti.
La riportò dopo solo tre giorni, dicendo che la scacchiera lo aveva battuto ad ogni partita, e che i pezzi si erano schierati contro di lui, sbeffeggiandolo.”
Il panciuto antiquario si interruppe per bere un sorso del brandy che teneva in mano, poi si arricciò i baffoni e riprese a raccontare, con voce sicura.
“Rimborsai a malincuore anche lui, pensando che probabilmente non era poi bravo quanto diceva di essere, o che probabilmente avesse insegnato agli scacchi a giocare troppo bene persino per lui e rimisi in vendita la scacchiera per la terza volta... e stavolta venne acquistata quando Tom era diventato mio socio. La scacchiera era rimasta invenduta per parecchio tempo, evidentemente si era sparsa la voce che fosse troppo magica, così ogni tanto la usavamo noi per giocare a scacchi e devo dire che il mio amico è uno dei giocatori migliori che conosco.. ben pochi sono stati capaci di stracciarmi in poche mosse per tre volte di fila, ma TU, amico mio, ci sei riuscito!” rise il mago, alzando il bicchiere verso il socio.
“In ogni caso, riuscimmo finalmente a rivendere la scacchiera, questa volta ad una signora molto avvenente, che disse che l'avrebbe regalata ad uno dei suoi numerosi amanti, grande scacchista.
Quando la riportò, ci narrò la storia più stana di tutte, disse che gli scacchi si erano trasformati in veri guerrieri e si erano combattuti nel suo salotto, distruggendolo e devastandole la casa, facendo fuggire nella notte il suo amante, terrorizzato.
Non potevo credere alle mie orecchie. Dovetti rimborsare nuovamente la donna, e stavolta decisi che avrei dato ai pezzi una sonora strigliata. Li disposi in fila davanti al banco, sgridandoli e smagizzandoli tutti, visto che insistevano a comportarsi da maleducati, e decisi di metterla in vendita come scacchiera normale, senza l'incantesimo solitamente usato per renderla magica.
Fu allora che compresi che non si trattava di un incantesimo avariato, ad aver creato i problemi che lamentavano i clienti...
Rivendemmo nuovamente l'oggetto, ad un maestro di scacchi di Boston, il quale disse che era ben felice non fosse magico, perché lo avrebbe usato per insegnare ai suoi allievi come giocare senza i suggerimenti dei pezzi, abitudine che molte scacchiere di esperienza hanno, di aiutare il giocatore a migliorare il gioco...
ed invariabilmente vedemmo ritornare il maestro e la scacchiera nel giro di pochi giorni. Oltre alla battaglia campale che ci aveva raccontato anche la precedente cliente, costui affermava che i pezzi si erano persino permessi di tentare di espugnare la casa accanto, gridando in greco antico.
Tom ed io riprendemmo l'oggetto, decidemmo di non metterlo più in vendita, ed il mio amico mi disse che lo avrebbe portato al faro per cercare di capire che problema avesse... ma qui devi continuare tu, amico mio, sei tu testimone diretto dell'evento.” Concluse l'anziano mago, indicando con un cenno della testa l'amico. Il guardiano del faro si schiarì la voce, prima di continuare il racconto.
“Portai qui la scacchiera, e la misi a posto esattamente dove la vedete... oziosamente spostai un pedone, una mossa d'inizio semplice ed innocua, ma senza la volontà effettiva di giocare... senza contare che avendo tolto la magia dai pezzi, sicuramente non avrebbero potuto rispondermi... perciò potete immaginare la mia sorpresa quando un'ora dopo, passando accanto alla scacchiera trovai un pezzo spostato. Ora, Cletus non sa giocare a scacchi, non ha mai voluto imparare, malgrado i miei tentativi di insegnarglielo, e nemmeno Ken, il piccolo fantasma che vive con noi... l'altro fantasma, il Capitano, sa giocare, ma di solito preferisce il backgammon, e quando ha voglia di una partita di scacchi solitamente me lo dice, senza farmi giochetti del genere, perciò vi era effettivamente qualcosa di strano, in quella mossa. Non potevo escludere che fosse stato Spaccaossa a spostare involontariamente il pezzo, camminando sulla scacchiera, ma come ogni gatto in realtà è in grado di camminare con leggiadria tra piccoli oggetti, senza spostarli se non per un motivo preciso, che di solito è reclamare cibo ed attenzione... per cui incuriosito, spostai un altro pezzo, un'altra mossa. Me ne andai, fingendomi occupato in altre faccende, ma tenendo d'occhio la scacchiera, e vidi un pezzo muoversi in risposta. Facendo finta di nulla, come se trovassi normalissima la cosa, risposi, e per farla breve, giocai una partita con un avversario che si dimostrò estremamente abile. Ai miei tempi...” il mago si interruppe, sorridendo. Solo pochissimi, in quel salotto, conoscevano la sua vera identità, ed il suo socio non era tra quelli. Si trattenne perciò dal puntualizzare di aver preso quattro premi di scacchi a Hogwarts, perché sarebbe stato come dichiarare ai quattro venti la propria identità, e si tenne sul vago. “Ai miei tempi, ero bravino a scacchi e viaggiando ho imparato sempre di più, al punto che come il mio caro amico Richard sa bene e non perde occasione di rinfacciarmi, sono diventato quasi imbattibile. Ma questo giocatore misterioso era decisamente più abile di me. Persi la partita, e decisi di non far caso di aver giocato praticamente con una scacchiera che non poteva muovere da sola i pezzi. Finsi di andare a dormire e mi posi in attesa di eventi, cercando di capire se quello che ci veniva regolarmente raccontato dai clienti su quella scacchiera era vero. Ma non sentii nulla. Giocai per diverse sere con la scacchiera, ma senza aver mai problemi di rumori o assalti guerreschi nella notte. Decisi di tentare un esperimento. Cominciai una partita, muovendo come al solito il nero, e misi sotto la sedia del giocatore bianco un talismano che serviva a rivelare qualsiasi traccia di magia. Dopo un'oretta, la mia trappola scattò. Sentii uno strepitio, ed un clangore metallico, come se qualcuno stesse sbattendo una lama contro delle sbarre. Corsi a vedere e mi trovai davanti al motivo ed alla causa di tutto. Un fantasma, intrappolato nella barriera creata dal talismano. Ed un fantasma di una certa celebrità...”
Il mago sorrise, bevendo un sorso della birra scura che teneva in mano, facendo girare lo sguardo sugli amici che lo guardavano con occhi spalancati, ansiosi di sentire il seguito.
“Avete presente di quali personaggi è composta la scacchiera? Ve l'ho detto all'inizio... sono i guerrieri dell'epica omerica. Ne conoscevamo uno, un tempo, lo ricordate?” Chiese il mago sorridendo. “Almeno, alcuni di noi lo conoscevano.....” sorrise, poi guardò verso la scacchiera.

“Dai, socio, fatti vedere un'ultima volta, coraggio.” disse.
Una voce profonda sbuffò, ed un gigante, semi trasparente, attrezzato di tutto punto di un'armatura di bronzo, le braccia conserte sul petto muscoloso ed immenso apparve, con un sogghigno sul viso. Passò gli occhi sul gruppetto di persone, gelate a guardarlo.
“Quante facce nuove...” disse Aiace di Telamone. “Allora è vero, il fantamondo non è morto affatto.” Annuì, un mezzo sorriso sul volto. “Ma alcuni li conosco, e bene. Salve, amici. Ben ritrovati.”
Molti restarono a guardarlo stupiti, senza capire, qualcuno rise, altri lo salutarono con grandi esclamazioni e la Diva si mise teatralmente a piangere, cercando di correre ad abbracciarlo, per cadere ai piedi del tavolino, dopo aver attraversato il fantasma del guerriero.
Il mago ed il guerriero risero, scambiandosi un occhiolino, e Tom tornò a raccontare.
“Questa scacchiera arrivava da Salamina, ma non lo sapevo... era stata stregata per simulare la guerra di Troia, in effetti, ma quello che non immaginavo è che fosse appartenuta al mio caro amico... e che dalla sua dipartita fosse rimasto legato a quest'oggetto.”
Il guerriero sospirò, ridacchiando.
“Che stranezza, vero? Con tutti i luoghi ed i fantaluoghi che ho frequentato in vita mia, il caso ha voluto che fosse questa scacchiera a custodire una parte del mio spirito... quando è stata venduta all'Arcana Cabana ho visto Tom ed ho cercato di farmi sentire, ma a quanto pare non sono particolarmente bravo come fantasma... mi parte la memoria, ogni tanto e mi ritrovo a rivivere solo i pezzi della mia vita che ricordo meglio, le battaglie a cui ho preso parte, la follia...” Disse Aiace con voce profonda. “Tutte le volte che mi trovavo in altri luoghi che non fossero il negozio, con persone che non riconoscevo, davo di matto e facevo casino, e mi riportavano indietro. Per cui datevi pace, voi due...” Rise, guardando i due maghi. “Non azzardatevi a vendermi di nuovo!”
Richard e Tom alzarono le mani ridendo.
“Mai socio! Non oserei!” disse il guardiano del faro.
Il fantasma del guerriero annuì, sorridendo, poi alzò le mani in segno di saluto, pronunciando le ultime parole con voce nostalgica.
“State bene.... e ricordate, è solo un gioco, cazzo!”
E quindi scomparve, dissolvendosi lentamente.
Sul gruppetto radunato tornò il silenzio, rotto solo dai singhiozzi della Diva che strepitava per terra, chiamando il nome del fratello. La donna si avventò sull'ex marito, prendendolo per il collo.
“MIA! La scacchiera deve essere mia, a qualunque costo! La devo avere! È MIO FRATELLO!”
Il mago la bloccò e la trasformò nella solita teiera fiorata, che posò sul tavolino, poi, mentre la riempiva di gin le spiegò: ”Calmati, Diva... Lo hai sentito? Non vuole esser venduto... e poi non è di nessuno, quando vorrà venir da te lo farà, e comunque una partita a scacchi con lui puoi sempre venire a farla anche qua. Ma ora calmati, ok?”
La fece tornare umana, ed il gin che le aveva fatto bere sortì gli effetti desiderati, al punto che la donna, ubriaca malgrado la sua abituale resistenza all'alcool, si addormentò sul tavolino per un paio di ore, mentre altri ospiti raccontavano le loro storie, dopo aver digerito la sorpresa dell'apparizione.


mercoledì 27 ottobre 2010

Incubus - Love Hurts

L’amore non è quello che quei poeti del cazzo vogliono farvi credere. L’amore ha i denti, i denti mordono, e i morsi non guariscono mai. (Stephen King)



lunedì 25 ottobre 2010

Il segreto di Reyes


PREMESSA: questo capitolo nasce dalla storia del Lord ma parallelamente ad essa, all'interno di un gioco di ruolo in cui il mio lord si muove e vive la vita che è narrata in questi capitoli. La Reyes del racconto è una vampira di grande potenza, generata da Vlad Tepes Drakul in persona, interpretata da una mia grandissima amica, a cui tributo in questo capitolo tutto il grande affetto che provo per lei.



La distesa acquatica era liscia, di fronte agli occhi dell'uomo, ritto sul molo a fissare l'orizzonte. Stringeva gli occhi, dello stesso colore screziato e luminoso del mare, in lontananza, una mano levata a riparali dal sole accecante. Erano giorni che attendeva, ma quella nave sembrava non arrivare mai. Ringhiò sommesso, maledicendo il timore della donna che attendeva, terrorizzata dagli aerei. Si appoggiò ad un palo che delimitava il molo, chiudendosi il pesante giubbotto da marinaio addosso, per ripararsi dal vento gelido che soffiava costantemente dall'oceano, in quella parte dell'isola. Nella lettera non gli aveva detto quando sarebbe arrivata, solo che ci avrebbe messo circa una ventina di giorni. Ed erano esattamente diciotto giorni che egli andava inutilmente a scrutare l'orizzonte, pur sapendo, i primi giorni, che non sarebbe arrivata, e sentendo crescere l'ansia ed il senso d'attesa, ogni giorno che passava. Sospirò, per l'ennesima volta, diviso tra frustrazione e desiderio, e si girò per tornare in porto, e poi al negozio, dove le solite incombenze lo attendevano.
"Tom!" lo salutò con voce venata da una leggera ironia Ernest, il pescatore che ogni mattina andava a tirar su le nasse su quel molo. "Nemmeno questa mattina è arrivata la tua bella?"
"Pare di no, Ernie! Ma io sono paziente..."
"Certo che ci vuole una bella fantasia per decidere di venir dall'Europa via mare! Senza contare i rischi... il mare è sempre più pericoloso dell'aria." Commentò l'anziano marinaio, fermo di fronte a Tom, estraendo una scatolina contenente tabacco e cartine e cominciando a farsi una sigaretta.
L'altro annuì, corrugando la fronte. Lo aveva detto anche lui alla donna, quando si erano sentiti, settimane prima. Poteva prendere l'aereo, sarebbero state solo poche ore di volo, invece di giorni in mare. Oppure avrebbe potuto andarla a prendere lui, con la magia... lei sapeva chi lui fosse, conosceva i suoi poteri, e non era certo un problema, per colui che era stato il più potente e pericoloso mago oscuro del secolo andare a prendere la donna che amava e portarla in salvo al faro. Ma Reyes non aveva voluto. Era una donna, nonché una vampira, di altri tempi, affezionata ad un certo modo di vivere e di viaggiare, malgrado la modernità che ormai aveva trasformato il mondo. Il mago aveva fatto pace con tutta la modernità dei babbani, da quando si era rifatto una vita, aveva imparato ad usare mezzi babbani moderni come computer, telefoni, auto, aveva viaggiato tra i babbani senza farsi riconoscere, viveva come un babbano, a cominciare dai vestiti e dal modo di esprimersi, ma non aveva rinunciato alla magia.. anzi, la praticava quanto prima, seppure con altri scopi. Cercava ancora il potere, ma ciò che lo spingeva ancora era il desiderio di conoscenza, la sete di imparare tutto quello che prima aveva tralasciato... la sua mente acuta e insaziabile non aveva perso stimoli e lo studio della magia ancora lo affascinava, sopratutto ora che era libero da ambizioni di sorta.
Ma vi erano cose che restavano sempre e comunque fuori dalla portata di ciò che era possibile fare con la magia.. e l'amore era indubbiamente una di quelle. Il mago conosceva mille pozioni per indurre il desiderio, la passione, l'ossessione, ma nessuna che inducesse il vero amore. Né ve ne erano che cancellassero l'amore, una volta che si fosse risvegliato nel cuore di un uomo.
Si era innamorato circa un anno prima della regina dei vampiri, ed avevano avuto una breve storia travagliatissima, quando lei aveva rotto con il licantropo ed ex mercenario per i mangiamorte Fenrir Greyback, lui l'aveva consolata ed accudita, come una bambina, e lei gli si era aggrappata... si era lasciata consolare, affezionandosi a lui, forse amandolo un po', anche ma in maniera del tutto diversa da come lui amava lei. La storia si era trascinata per qualche tempo, finché non si era spenta nel silenzio, mentre fantasmi passati si rannuvolavano tra loro. Il mago nemmeno ora capiva perché era finita, sapeva solo che erano tornati indietro, a quando si limitavano a flirtare, a trattarsi da affettuosi amici, senza risvolti di alcun tipo... ma sapeva bene, in cuor suo, di amarla come prima. Se non di più. Era altresì consapevole di non poterla riavere, avendo visto e percepito nei pensieri di lei il ritorno del licantropo, e stavolta non voleva più immischiarsi. Se lui non poteva essere altro che un amico, per la regina dei vampiri, si sarebbe limitato a quello, per male che potesse fargli.
Il mago si portò una mano al petto, immerso in quelle riflessioni, a mala pena consapevole delle chiacchiere sul tempo e sulla pesca del marinaio, finché questi non si interruppe a guardarlo, sorridendo.
"Non è solo un'amica che stai aspettando, eh, vecchio mio?"
Il mago si riscosse, guardando l'amico babbano con un sorriso, sorpreso di esser stato tanto trasparente.
"Ti sbagli Ernie... è solo un'amica... purtroppo." concluse, con una smorfia di amarezza in viso.
L'amico gli diede una pacca su una spalla, comprensivo.
"Ragazzo mio... è inutile che ti dica quanti pesci ci sono nel mare, se tu vai inseguendo solo la balena bianca, vero? Stai solo attento a non fartene divorare..."
"Già..."
Tom si riscosse, guardando l'ora. Era tempo di andare ad aprire il negozio, per cui salutò l'amico e si diresse a passo svelto all'Arcana Cabana. Per almeno un paio d'ore si perse nelle solite occupazioni, tra cui quella di rimettere a posto gli oggetti che avevano la malsana abitudine di muoversi, scambiandosi visite sugli scaffali, per farsi trovare addormentati alla rinfusa la mattina dopo. I più gioviali erano un gruppo di forchette d'argento, appartenute ad una strega molto celebre nella bella società del settecento, la quale adorava organizzare danze e ricevimenti, le cui forchette si comportavano alla stessa maniera, facendo visite di cortesia a tutti gli altri oggetti del negozio. Ritrovarle la mattina era sempre un'impresa, visto poi la loro tendenza a dividersi, ognuna in visita a categorie merceologiche diverse. Meno problematici erano i libri, abituati a dormire sugli scaffali, giusto ogni tanto qualcuno scendeva a raccontare il proprio contenuto agli altri e lo si poteva trovare addormentato e spalancato in mezzo al negozio, da dove aveva declamato ad alta voce la propria storia, ma solitamente erano assai ordinati.
Quella mattinata scorse via rapidamente e l'ora di pranzo arrivò prima che il mago potesse chiedersi che ora era, accompagnata dal socio, Richard Murray, che come al solito veniva a dargli il cambio per il pomeriggio. Mangiarono insieme al pub magico, raccontandosi le novità e passandosi le consegne, come al solito, ed anche l'anziano libraio si accorse delle rughe di preoccupazione disegnate sempre più profondamente sulla fronte dell'amico.
"Tom... smettila di tormentarti. Arriverà presto, vedrai... certo è strano anche per una vampira scegliere una barca a vela, per attraversare l'oceano, ma sai come sono questi vampiri. Sopratutto quando hanno una certa età, sono come tutti gli umani, affezionati a quello che conobbero da giovani." lo guardò in tralice, sorridendo.
Tom annuì, pensando che era particolarmente vero per lei, visto quanto adorava le loro anticaglie... aveva un animo fresco e fanciullesco, ma i suoi gusti, in fatto di vestiti e di un certo stile, appartenevano senza ombra di dubbio ad altri tempi. Sorrise, intenerendosi al ricordo dei modi formali della donna, quando le aveva presentato il proprio socio, degli atteggiamenti regali che aveva quando andavano in giro, capaci di incutere involontario rispetto in chiunque la incontrasse. La sua mente sfuggì di nuovo al suo controllo, divagando tra i ricordi dei loro incontri più divertenti ed intimi, delle loro chiacchierate, delle prime volte che si erano baciati, e di nuovo si disegnò l'amarezza sul suo viso.
"Hai ragione Richard..." disse quando riemerse dai propri pensieri, "Arriverà, è inutile starci a pensare."
Si salutarono, ed il mago tornò al faro, ad occuparsi della manutenzione lampada e della pesca per casa, insieme al piccolo elfo che amava il mare quanto lui, senza potersi impedire di lanciare occhiate verso l'orizzonte, sperando di veder spuntare una vela bianca, prima o poi, invece dei fumaioli delle navi da crociera o della forma sgraziata dei pescherecci.
Al tramonto salì sulla lampada a controllare che tutto fosse a posto per l'accensione, ed infine scese a ritirarsi nello studio, a leggere un po', ascoltando musica e scribacchiando, prima di andare a letto, quando fu colto di sorpresa dal campanello di casa che squillava. Andò ad aprire, precedendo Cletus, accigliato per l'ora e rimase sbalordito, quando si trovò di fronte la donna che tanto aveva atteso, seminuda, l'ampio abito strappato e semidistrutto, bagnata fradicia, graffiata e molto, molto arrabbiata.
"R-Reyes? Ma che diavolo è successo?"
"Siamo naufragati!" Esplose. "La nave è stata colta da una burrasca due giorni fa, a poche miglia da qua, ed è finita in acqua con tutto l'equipaggio! Ovviamente gli umani sono morti tutti... mangiati dagli squali che pensavano di banchettare anche con me!" Ringhiò la donna, mostrandogli una gamba su cui il segno di un morso stava rapidamente rimarginandosi. "Detesto il sangue di pesce... Ma vuoi farmi entrare o devo mordere anche te per potermi fare una doccia?"
Il mago aveva disegnato in volto un misto di sgomento e di dolore, ma a quelle parole scoppiò a ridere. Certo la regina dei vampiri non poteva venir fermata da qualche squalo... malgrado la sua innegabile dolcezza, era un temibile predatore, da far arretrare tigri e squali, senz'ombra di dubbio.
"Tesoro, avanti... ma mi sa che dovrai accontentarti dei miei vestiti, per coprirti, perché non ho nulla di adatto da darti."
La donna non lo ascoltò nemmeno, inoltrandosi nella casa che conosceva tanto bene e infilandosi nella doccia.
Le preparò dei vestiti nella camera degli ospiti, poi disse a Cletus di preparare da mangiare e da bere ed andò ad attenderla in salotto, aggiungendo legna al fuoco nel camino, già acceso contro il precoce freddo che avvolgeva Nantucket.
La sentì cristonare contro l'effetto della salsedine sui suoi lunghissimi e bellissimi capelli rossi per un po', prima di vederla riemergere avvolta da un accappatoio, la testa avvolta da un asciugamano a mò di turbante, a reclamare un bloody mary degno di questo nome. Si sedette sulla sua poltrona preferita, di fronte al camino, e si rilassò solo dopo aver scolato almeno metà del drink. Allungò le bellissime gambe a scaldarle al fuoco ed il mago si perse a guardarle, prima di accorgersi dello sguardo divertito con cui ella lo fissava.
"Ti ho fatto una domanda, Tom... e non mi hai ancora risposto"
"Ah, si?" Sorrise, per nulla imbarazzato. "Se vuoi la risposta me la dovrai ripetere, tesoro... ma prima copri quelle gambe, altrimenti non riuscirai a ottenere nulla di sensato da me!" Rise. Il suo arrivo lo aveva finalmente rilassato, si sentiva leggero, come se avesse bevuto e persino il fatto che avesse fatto naufragio e fosse praticamente arrivata a nuoto, sopravvivendo al disastro solo perché era già morta ed era una vampira estremamente potente era passato in secondo piano.
"Ce l'hai?" Ripeté la vampira.
L'uomo annui, alzandosi dal divano.
"Ma certo che ce l'ho... sono settimane che ti aspetta."
Prese un piccolo scrigno dalla propria scrivania e lo porse alla vampira, che lo aprì con occhi luccicanti. Ne guardò il contenuto con un sorriso raggiante, alzando poi il viso verso il mago, che le si era seduto accanto.
"Oddio, Tom.. non so come ringraziarti!"
"Eh, io un'idea l'avrei..." Rise il mago, mentre visualizzava esattamente il genere di ringraziamento che avrebbe preferito, ma scacciò la visione con una scrollata di spalle. "Ma basterà semplicemente che ne resti un po' quando avremo finito di usarla... non è facile reperirne, e quella è la sola che ho. Piuttosto non ho capito perché hai voluto venirla a prendere qui affrontando un viaggio così lungo e pericoloso quando avrei potuto portartela io con la solita passaporta."
La donna chiuse lo scrigno, carezzandone pensierosa il coperchio, prima di rispondere.
"Non volevo che... lui lo sapesse. Mi ucciderebbe se scoprisse quello che voglio fare e non sono nemmeno io sicura di volerlo fare, sai?" Alzò lo sguardo su di lui, le iridi verdi velate da un po' di malinconia.
Il mago si avvicinò a lei, e con un gesto gentile coprì con un plaid le gambe che la donna infreddolita aveva raccolto sotto di sé, eliminando dalla vista una notevole distrazione.
"Non capisco nemmeno io perché vuoi farlo, sai? Voglio dire... è una cosa bizzarra, dopo tutto questo tempo..."
Reyes si strinse nelle spalle, tornando a guardare assorta il piccolo scrigno.
"Hai ragione, ma... ne ho sempre sentito la mancanza. Da quando sono... diventata quello che sono, per quanto mi piaccia essere quello che sono, io..." Si morse un labbro, turbata. "E poi è una specie di anniversario, per me. Il prossimo Halloween saranno esattamente..." Alzò lo sguardo al mago, ed un sorrisino si dipinse sul suo volto. "Sarà un anno zero, come dici tu, quando si compiono i decenni."
Il mago sorrise. Non conosceva esattamente l'età della vampira, non gliel'aveva mai chiesta e per l'affetto che provava per lei, non era nemmeno andato a cercarla sui libri che raccontavano la sua storia e quella della sua stirpe. Sapeva che ammontava a parecchio, ma preferiva non saperla, se a lei non faceva piacere dirlo. Si chiese solo se il decennio era riferito all'età di nascita o a quella della trasformazione, ma ritenne inopportuno chiederlo, per cui si avvicinò semplicemente alla donna per abbracciarla.
"Posso capire, allora... ma non rischi di soffrirne ancora di più, dopo? Voglio dire... quando sarai riuscita a farlo, non ne sentirai ancora di più la mancanza?"
La donna posò la testa sulla spalla del mago, stringendo la scatolina tra le mani.
"Forse, Tom... ma sono stanca di rimpiangerlo. Voglio tornare a provarlo, per una volta. Solo per una volta, tanto di più non si può fare, e voglio farlo qui, lontano da Vlad che potrebbe pensare che non ami quello che sono diventata e non ami più lui. Lo prenderebbe come qualcosa di personale, come un rifiuto, mentre io voglio solo..." si fermò, con la voce che si spezzava, ed un vago sentore di nodo in gola che le si formava in petto. "Voglio solo ricordare ancora cosa si prova con il cuore che batte in petto, Tom. Voglio ricordarmi la mia umanità, non voglio diventare come quei vecchi parrucconi insensibili che popolano la corte, tutti convinti che esser morti e incapaci di amare sia meglio della vita, del sole che ti batte in viso. Che questo li renda migliori delle persone che ammazzano per nutrirsi. Lo sai che..." Si fermò, alzando la testa a guardarlo negli occhi, ed il mago si lasciò annegare in quel verde liquido, ascoltandola. "Sono anni che non uccido più nessuno? Mi limito a bere senza mai uccidere il donatore, tanto più che di ragazzi che mi vengono a cercare per l'ebbrezza di farsi mordere ce ne sono molti più delle mie esigenze... sono tutti convinti che sia chissà cosa di erotico, mentre per me è solo un modo per nutrirmi, ne più ne meno che farsi un piatto di pastasciutta per loro."
La donna sospirò, rannicchiandosi contro il corpo del mago.
"Voglio che sia una cosa mia, privata... e sei il solo a cui posso raccontarlo. Anche..." Si interruppe, mordendosi il labbro, esitante.
"Non capirebbe, lo so" Concluse il mago per lei. La strinse a sé. "Per lui la licantropia è diventata motivo di orgoglio, anche se lo fa soffrire, ma è fiero di se stesso e di quello che è. Ed è vivo, in ogni caso."
"Esatto. Lui lo sa cosa vuol dire sentirsi il cuore in petto, io invece..." Posò una mano sul centro del torace del mago, percependone il battito intensificarsi al tocco, emozionarsi.
"Scusami, Tom... io ti sto di nuovo usando come muro del pianto..."
"Non ti azzardare. Non devi scusarti, Rey. Se avessi saputo che volevi fare una cosa del genere e non ti fossi rivolta a me mi sarei offeso mortalmente." Sorrise. "E poi almeno io sono un esperto del settore. Visto che so come funziona, potrai farlo in piena sicurezza." E potrò consolarti, quando gli effetti verranno meno... concluse mentalmente, senza dirlo, per non aggiungere dolore a quello che vedeva negli occhi della donna.
"Quando vuoi farlo? Proprio ad Halloween?"
Reyes annuì.
"Se per te non è un problema..."
"Nessun problema, ti posso assicurare."
Mancava ormai solo qualche giorno ad Halloween, e la costa del Massachusetts era stata riempita di festoni colorati, ogni vetrina era piena di zucche e streghe e gatti neri, tanto che alcuni maghi vecchio stampo, abituati al cappello ed alla veste da mago circolavano anche nel mondo babbano, godendosi l'anonimato che la festa donava loro. Il mago e la vampira, invece giocavano a fare i babbani, girando la sera, dopo il tramonto, per locali e strade piene di ragazzini festanti, che anche in anticipo sulla festa cominciavano ad andare in giro travestiti. Il mago era diviso tra la gioia di avere al suo fianco la vampira e la preoccupazione per la tensione che vedeva disegnarsi sempre di più sul suo volto, giorno dopo giorno.
La sera prima del giorno decisivo il mago condusse la vampira a ballare, deciso a non farle pensare a nulla, e poi quando tornarono a casa, pronti per la prova, il mago la fece sedere in salotto e la fissò negli occhi, serio come non era mai stato con lei.
"Sei sicura?" chiese. "Non sarà una cosa definitiva, durerà solo qualche giorno... malgrado la sua potenza, la pietra filosofale non può ridarti la vita, il sangue vampirico riprenderà il sopravvento e tu tornerai quella che sei ora..."
La donna rispose al suo sguardo, altrettanto seria.
"Più che mai, Tom... voglio risentire la vita in me. Voglio sentire il mio cuore, voglio respirare... voglio sentire il sole dell'alba sul mio viso. Fosse anche solo per rimpiangerlo di nuovo e dolorosamente per altri infiniti anni, voglio provarlo di nuovo."
Il mago la guardò a lungo... era toccato da tanto desiderio, era ciò che amava di più in lei, la profonda umanità che le era rimasta. Quello che davvero la rendeva diversa da ogni altra vampira. Aveva sperato di poterle fare cambiare idea, perché immaginava che tornare vampira l'avrebbe fatta soffrire ancora di più, ma la decisione negli occhi di lei era più forte dei suoi dubbi e decise di assecondarla. Se non altro, sarebbe stato con lei, avrebbero condiviso questo strano percorso... ed avrebbe potuto consolarla quando il sangue di Vlad l'avrebbe uccisa la seconda volta, riportandola ad essere una vampira.
Il mago si alzò, ed aprì la porta del suo laboratorio magico, dove da giorni da un alambicco magico si distillava l'elisir estratto dalla pietra filosofale, contenuta nella scatoletta che Reyes aveva voluto vedere giorni prima.
"E' pronta, tesoro..." mormorò il mago, tornando con un bicchierino.
La donna lo prese in mano, guardò la pozione di color zafferano e restò indecisa qualche momento, persa in pensieri troppo lontani per poterli esprimere a parole... poi senza lasciarsi fermare da altre considerazioni, bevve, tutto in un sorso. Guardò il mago oscuro di fronte a lei, con gli occhi lucidi, un barlume di timore negli occhi.
"Farà male?" chiese, un attimo prima di sentire una fitta di dolore al petto. Posò con mani tremanti il bicchierino, per portarsele subito al seno, abbassò gli occhi, mentre il suo corpo riprendeva a vivere. Un lampo di dolore la attraversò, mentre tutte le funzioni vitali tornavano ad agire dentro di lei. Emise un gemito roco, mentre si sdraiava sul divano, attraversata da una sensazione fortissima di piacere e dolore, analoga a quella che aveva vissuto lo stesso mago quando era stato riportato in vita, anni prima. Spalancò gli occhi, guardando Tom, senza parlare, la bocca aperta ad aspirare ampie boccate di aria. L'uomo le si sedette accanto, il viso stravolto dalla preoccupazione, tendendo le mani, ma ella alzò le proprie, mentre respirava a fatica, gemendo.
"No..." disse con voce roca. "Non mi toccar.." s'interruppe, emettendo un gemito, prendendosi la gola. Divenne pallidissima, ed il mago restò a guardarla, angosciato, mentre la donna chiudeva gli occhi, ansimando. Il suo corpo fu scosso da violenti brividi, mentre la vita tornava ad impossessarsi delle sue membra, e dopo quello che parve un tempo interminabile, riaprì gli occhi, pieni di lacrime... e sorrise.
"Tom... sono di nuovo viva..." gli prese le mani e se le premette al seno, dove il mago sentì nuovamente pulsare il cuore, potente, rapido sotto la sua mano. Sorrise, gli occhi che si velavano di lacrime di commozione.
"Mio Dio, Rey..." mormorò, incapace di dire altro.
La donna allungò una mano tremante a toccargli il viso, cercò di alzarsi ma ricadde, debole come un neonato.
"Portami fuori, ti prego... voglio sentire il vento" Disse, a voce bassissima.
Il mago si alzò in un lampo, prese un pesante mantello e aiutandola ad alzarsi ve la avvolse, e la condusse in terrazza. La donna guardò il cielo, come se lo vedesse per la prima volta, lasciando che lacrime di commozione le scorressero sul viso.
"Voglio vedere l'alba, Tom... resta con me, ti prego..."
"Non vado da nessuna parte, amore mio.. sono qui, con te."
La fece sedere sulla sdraio, la avvolse in un caldo plaid e si sdraiò accanto a lei, dopo aver chiamato l'elfo per far portare da mangiare.
"Devi nutrirti, ora..." Tremava a sua volta, colmo di un'emozione intensissima, incapace di identificarla. Il viso di lei si era trasformato, pur restando bella come sempre, era colorato di rosa, ed era più dolce, più giovane, come se fosse tornata poco più che una ragazzina. Come se avesse ritrovato un'innocenza che tutti quegli anni da vampira avevano cancellato dal suo viso. Il mago la strinse a se, mentre la donna guardava il cielo notturno schiarirsi lentamente sopra di loro, e lentamente sorseggiava il brodo ristretto che il mago le aveva fatto portare. Il sole sorse, lentamente, colorando il cielo con strisce di colore cangiante, dal rosa al fucsia all'azzurro più intenso. I due restarono abbracciati, senza parole a guardarlo trasformarsi di fronte a loro, troppo emozionati per parlare, fino a quando il sole caldo si alzò sulla baia di Nantucket. Solo allora la donna cominciò a sentire la stanchezza e si fece portare dal mago nella sua camera, dove dormì, mentre il mago andava ad occuparsi dell'Arcana Cabana. La mattina sembrava non passare mai, per il mago, che corse a casa trafelato, senza pranzare come al solito con il socio, per trovare Reyes in terrazza, che mangiava a quattro palmenti un sontuoso pranzo preparato con tutte le cure dall'elfo.
Mangiarono insieme, ridendo come ragazzini e dopo pranzo uscirono per andare alle giostre di Halloween, piene di ragazzini travestiti, e la donna sembrava esser davvero tornata una bimba. Rideva, voleva salire su tutte le giostre, si gustava il cibo e la tachicardia per le corse che infliggeva al mago come se non le avesse mai vissute, guardava ogni cosa stupita dai colori, dalla luce, dal freddo e dal caldo degli oggetti e della pelle dell'amico. La sera non voleva quasi andare a letto, e la mattina dopo, malgrado fosse festa, si svegliò prestissimo, precedendo persino il mattutino elfo nella preparazione della colazione.
Trascinò di nuovo in giro il mago, voracemente affamata di vita, fino a sera, quando con il tramonto, l'effetto dell'elisir cominciò a diminuire.
Era quasi mezzanotte, quando il sangue di Vlad riprese il sopravvento sulla Pietra Filosofale.
La donna si portò le mani al petto durante la cena, ed alzò sul mago uno sguardo pieno di dolore.
"Tom..." Mormorò. "Sta finendo..."
"No! Doveva durare almeno sei giorni, secondo i miei calcoli..." Gli occhi del mago si incupirono, mentre la afferrava prima che la donna cadesse a terra, per gli spasmi di dolore. "No..." Mormorò, osservando il colore che scompariva dalle guance della donna. Ella gli carezzò il viso, respirando a fatica.
"Non fa nulla... è stato meraviglioso lo stesso..." disse, mentre quel rapido assaggio di vita la abbandonava. Rimase immobile tra le sue braccia per qualche istante, a fissarlo, poi ricadde, abbandonata. Il mago, seduto per terra, folle di terrore, guardò il corpo della donna afflosciarsi tra le sue braccia, privo di vita, ed ebbe per lunghi istanti il terrore di non vederla tornare, mentre il pensiero di averla uccisa per sempre attraversava la sua mente.
"Torna, Reyes... torna, amor mio." ripeteva, senza accorgersi di averle di nuovo dato l'epiteto che usava quando stavano insieme per la seconda volta in due giorni. Sentì le lacrime scorrergli sul viso, mentre la stringeva a se, incapace di pensare ad altro che al rischio di non sentirla tornare, quando all'improvviso il corpo che stringeva si irrigidì, e le mani della donna si stringevano sulle sue spalle. Volse il viso a guardarla, e vide che la pelle aveva ripreso quella strana luminescenza traslucida dei vampiri, che gli occhi si erano rifatti profondi ed ipnotici e la vita sovrannaturale dei vampiri era tornata in lei. Le carezzò il viso e le labbra, mentre la donna faceva un debole sorriso.
"E' finito... è finito tutto."
Il mago annuì, incapace di parlare.
"Sei tornata vampira... mi dispiace, Rey..."
"Non fa nulla, Tom... è stato meraviglioso lo stesso..." Chiuse gli occhi, si strinse a lui, posando la fronte alla sua spalla. Sospirò, lo avrebbe fatto se avesse potuto respirare, e rimasero abbracciati, seduti sul pavimento, per un tempo incalcolabile, finché la vampira mormorò qualcosa contro il petto di Tom.
"Cosa?" chiese il mago.
"Grazie" Ripeté la vampira. "Dopo cento anni da vampira, per un giorno, sono tornata viva... grazie a te."
Tom le posò un bacio in fronte, commosso oltre ogni dire, e la sollevò tra le braccia. Sembrava diventata più leggera, quasi svuotata, la posò sul divano e si sedette sul tavolino di fronte a lei, fissandola. Si portò le sue mani, di nuovo gelide, alle labbra e le tenne strette a scaldarsi, mentre la vampira si guardava attorno, annuendo.
"Ora sto bene, Tom... sto bene, non preoccuparti per me." disse, senza guardarlo negli occhi. "Ho solo bisogno di bere e di dormire e poi sarò come al solito."
Il mago annuì, andò a prepararle un bicchiere di sangue puro e glielo portò, senza dire una parola, sapendo quanto fossero inutili, in certi momenti. Glielo mise sul tavolino e poi si sedette sulla poltrona, senza dir nulla, guardandola bere e poi chiudere gli occhi. Attese che si addormentasse, poi la portò in camera e chiuse la porta, dopo averla posata sul letto e coperta.
La mattina dopo, la donna era già partita, quando si alzò. Gli aveva lasciato la colazione pronta e un biglietto.
“Grazie.”

giovedì 30 settembre 2010

Bando minore del pentagramma

Questo rituale è uno dei più praticati in magia, con centinaia di versioni diverse... ma questa è la versione originale, di base. Il suo fine è la purificazione dell'ambiente e dell' "aura" del mago, e può essere usato anche come una sorta di devozione quotidiana, che conduce all'avvicinamento del mago con il divino. Se è usata come devozione, si può fare la mattina usando pentagrammi di invocazione e la sera usando pentagrammi di bando.

I. Toccando la fronte dite Ateh (A Te),
II. Toccando il petto dite Malkuth (Il regno,)
III. Toccando la spalla destra dite ve-Geburah (e il Potere),
IV. Toccando la spalla sinistra dite ve-Gedulah (e la Gloria).
V. Stringendo le mani sul petto, con i palmi verso il cuore, dite le-Olahm, Amen (Nei secoli dei secoli, amen).
VI. Volgendovi verso Est, tracciate un pentagramma (quello della Terra) con lo strumento apropriato (di solito la Bacchetta). Dite (cioè vibrate) IHVH.
VII. Volgendovi verso Sud, fate come sopra, ma dite ADNI.
VIII. Volgendovi verso Ovest, fate come sopra, ma dite AHIH.
IX. Volgetevi verso Nord, fate come sopra, ma dite AGLA (Pronunciate Ye-ho-wau, Adonai, Eheieh, Agla).
X. Tornate a est e tenendo le braccia in forma di croce, dite:
XI. Davanti a me, Raphael;
XII. Dietro di me, Gabriel;
XIII. Alla mia destra, Michael;
XIV. Alla mia sinistra, Auriel.
XV. Perché attorno a me fiammeggia il Pentagramma,
XVI. E nella Colonna sta la Stella a sei raggi.
XVII-XXI. Ripetere da I a V, la Croce Cabalistica.

martedì 21 settembre 2010

Viaggio a Praga - Crossover con Dampyr - fine


Fui aggredito dal vampiro, emerse dalla parete di fronte alla pietra che i ragazzi avevano eletti ad altare. Vi era una specie di nicchia, nascosta da una specie di paravento d'edera, e dentro era nascosto questo essere che pareva un mix tra il mago cattivo dei fumetti ed un frate zombie. Vestito di un saio nero sdrucito, emerse in tutta la sua bruttezza, denti e zanne sguainati, mi aggredì mentre passavo davanti alla sua nicchia, quasi avesse sentito che mi avvicinavo. Sentii le sue unghie affondare nel mio petto e feci appena in tempo a urlare uno schiantesimo, lanciandomi all'indietro, quando Tesla giunse in mio aiuto, afferrando il vampiro che il mio incantesimo aveva allontanato da me. Ne emersero altri tre, i giovani che avevo visto nella mente dei loro amichetti, e ci aggredirono. Mentre Tesla si azzuffava con il più vecchio, gli altri tre si gettarono su di noi, ed uno venne distrutto praticamente subito, quando cercò di mordere Harlan ed ebbe un assaggio del veleno per vampiri contenuto nel suo sangue. Kurjak seccò il proprio con un colpo di pistola in fronte, rapidissimo, e malgrado i miei incantesimi non avessero il potere di uccidere quello che mi attaccava, visto che erano già morti, le pistole dei miei due amici potevano, caricate con i proiettili trattati con sangue di Dampyr, e le creature si dissolsero davanti ai nostri occhi, in un lampo. Raggiungemmo Tesla, che ancora si batteva con il più antico del gruppo e vidi per la prima volta il Dampyr in azione. Liberò la propria natura semi demoniaca ed aggredì il vampiro insieme a Tes, combatterono fino a stringerlo in un angolo. Allora il mio amico si avventò sul collo del mostro e lo morse, uccidendolo. Il sangue è conoscenza, per un Dampyr e bevendolo scoprì che vi era effettivamente un guardiano all'interno della torre, a custodire l'anello che cercavamo. Occorreva evocarlo e sconfiggerlo, se volevamo trovare quello che stavamo cercando.
Liberi da questo problema, entrammo all'interno della torre e mi apprestai a evocare il guardiano, tracciando un cerchio protettivo attorno ai miei amici ed un altro attorno a me solo. Volevo vedermela io con la creatura, ero impaziente di usare la mia magia per un buon fine, per una volta.
Il demone si fece vedere immediatamente, in tutta la sua puzza di zolfo, con coda e corna. Cominciammo a combattere a suon di incantesimi, lanciandoci contro lampi colorati di scariche magiche. Diamine, era divertente, pensai, ma un po' meno per i testimoni che assistevano... spaccammo praticamente la torre in due parti, abbattendo una parete, ed in una nicchia scoprii il nascondiglio dell'anello. Me lo feci volare tra le mani, mentre tenevo a bada il demone, e lo infilai al dito, abbattendo ancora un'altra parete della torre, e scoprimmo così di avere altro pubblico.
Dalla boscaglia dietro di noi emersero i paesani, che ci avevano seguito, evidentemente. Urlavano, brandivano fiaccole, come nel peggior film horror sul mostro di Frankenstein. Avevano visto tutto, e credevano avessimo ucciso i ragazzi, spariti mesi prima.
Mi ritrovai letteralmente tra due fuochi. I miei amici erano bloccati dentro il cerchio ed io ero ancora nel mio, per affrontare il demone, ma davanti a noi c'era tutta la marmaglia urlante. Il demone si scagliò sui paesani, ed incurante della mia incolumità lo affrontai uscendo dal cerchio, inferocito.
Sentivo l'anello accrescere il mio potere oltre misura e mi ritrovai a torreggiare sul demone, come se fossi cresciuto di statura per poterlo sovrastare. Riuscii ad aprire il cerchio dei miei tre alleati, perché potessero allontanare la folla, ma ne vennero aggrediti a suon di insulti e minacce, mentre cercavano solo di difendere quella marmaglia ignorante.
Il demone scagliava incantesimi sulla folla, che io riuscivo a deviare, fortunatamente, in un brillar di lampi magici che coloravano la notte di ottarino, poi Kurjak mi si affiancò, scaricando tutto un caricatore nello stomaco del demone, ed io riuscii ad averne la meglio, con un Avada che illuminò il buio con un lampo verdastro, più potente del solito. La creatura cadde di schianto per terra e si dissolse lentamente in una melma giallastra e maleodorante, davanti ai cittadini atterriti. Ma questo non bastò a placare la folla, che ci urlava contro, convinti che fossimo la causa dell'arrivo del demone. Erano maledettamente tanti, e presero Harlan e Kurjak, mentre Tesla li teneva a bada grazie alle sue forze da vampira. Si rivelò nella sua forma demoniaca e ciò li fece inferocire ancora di più.
Era troppo per me. Le urla della folla erano identiche a quelle che troppo spesso avevo sentito nella mia vita, quando ero ragazzino.
Mostri! Demoni! Streghe!
Non ci vidi più dalla furia. L'adrenalina che mi scorreva nelle vene dalla battaglia con il demone non mi faceva ragionare e l'ebbrezza del potere generato dall'anello mi accecavano, così scagliai cruciatus a ripetizione sulla folla, lasciando gente per terra, e riuscii a liberare i miei amici. La marmaglia si disperse, Tesla riuscì a soccorrere i nostri amici, mentre io, furioso, maledivo selvaggiamente i fuggitivi. Li inseguii, animato da una furia incontrollabile, e praticamente li presi tutti, circa una ventina. Li radunai in uno spiazzo tra gli alberi, e torturai con godimento i ragazzetti che avevano capitanato la crociata contro di noi.
Il potere dell'anello mi cantava dentro, ero intossicato, ubriaco di magia. Mi sentivo come al culmine della mia potenza, quando a capo di un gruppo di mangiamorte andavo a massacrare babbani per tutta l'isola di Albione.
Quando ridussi quei maledetti contadini ignoranti ad una massa informe di individui balbettanti e terrorizzati, incrociai lo sguardo di Tesla, che mi aveva raggiunto. Dietro di lei stavano arrivando trafelati i suoi alleati, e mi guardavano esterrefatti, mentre sul viso della vampira aleggiava un sorrisetto divertito. Mi fermai, ansante, rendendomi conto che avevo sulle labbra l'anatema che uccide, pronto a partire verso quei babbani terrorizzati. Dentro di me una voce urlava “UCCIDILI! TUTTI, ANCHE LORO! ORA!” ma una parte di me che era rimasta indietro, non saprei spiegarlo meglio, si fece avanti, e disse NO. Ripresi il controllo di me stesso, faticosamente, combattendo con la volontà assassina che mi urlava dentro ed invece di ucciderli, feci un incantesimo di memoria a tutti i babbani, cancellando loro i ricordi di tutta quella serata di delirio. Li posi sotto imperio, tutti e venti, con una facilità aumentata dal potere dell'anello, li obbligai a tornare alle loro case ed a non tornare mai più alla torre, sopratutto di notte.
Quindi crollai sulle ginocchia, svuotato, respirando pesantemente, con una tempesta nell'anima, tagliato in due tra la sensazione folle e bellissima di ebbrezza che la magia mi aveva dato e l'orrore per quello che avevo sentito riemergere in me, senza osar alzare lo sguardo sui miei amici che si avvicinavano.
“E bravo Lord Voldemort!” esclamò Tesla. “Era così che ti descrivevano ai tempi, sai? Complimenti vivissimi, non credevo fosse vero!”
Harlan mi posò una mano su una spalla, guardandomi con un'espressione di compassione in viso.
“Tom...” mormorò.
Tremavo, e non osavo fissarlo negli occhi. Lui e Kurjak mi aiutarono a rimettermi in piedi e ci dirigemmo alla macchina. Mi ci caricarono di peso, e tornammo a Praga. Mi addormentai, durante il viaggio, e mi svegliai solo quando scendemmo per arrivare a piedi al Teatro. Non dissi nulla, lasciai che fossero gli altri a raccontare l'accaduto, ed io mi infilai sotto la doccia, dove rimasi per almeno mezzora. Fu lì che mi accorsi di non riuscire più a sfilare l'anello dal dito. Era come bloccato, anche se non mi stringeva la carne, ma non riuscivo a sfilarlo. Non arrivava alla nocca, malgrado mi stesse giusto. Tornai sotto, infine, quando mi sentii pronto ad affrontare gli altri e sopratutto Caleb.
“Eccoti.” mi disse l'angelo, quando mi vide arrivare.
“Già... eccomi.” Sospirai. “Io... non so come spiegare...” partii.
“Non c'è bisogno che tu lo faccia, Tom” mi interruppe. “La situazione è chiara. Ma non è successo nulla di irreparabile, per fortuna, anzi, mi pare che si sia risolta brillantemente. Hai solo commesso un errore, amico mio...” Indicò la mia mano. “Ora non riesci a toglierlo, vero?”
Alzai la sinistra, dove l'onice dell'anello spiccava sul candore della mia pelle.
“Infatti.”
“Dovrai tenerlo, ora. Agrippa vi incarcerò un demone di quarto livello, ma solo ponendo una maledizione sull'anello. Chiunque lo avesse indossato sarebbe divenuto custode e guardiano dell'anello, rischiando purtroppo di venirne posseduto e trasformato in demone a sua volta. Quello che hai affrontato e sconfitto era l'ultimo ad averlo indossato, con una mente troppo debole per reggere il confronto con ciò che era incarcerato nel gioiello.”
Guardai Caleb sbalordito.
“Vuoi dire che quel coso era umano, una volta? E che rischio di fare la stessa fine?”
Mi passai la destra sul volto, osservando la sinistra ingioiellata.
“Esatto Tom... ma tu sei molto più potente di quel custode, per cui il rischio è doppio, così come è doppia la tua possibilità di salvezza. Se lascerai che esso prevalga su di te, diverrai un demone molto peggiore di quello che hai sconfitto, mentre se riuscirai a dominarlo, potresti persino trovare il modo di levarti l'anello. Solo, da ora in poi dovrai stare molto più attento a quello che fai. Hai avuto un assaggio di quanto aumenti i tuoi poteri, e di quanto si alimenti della tua rabbia, quando hai torturato e dominato i paesani che vi hanno aggrediti, ma hai anche visto quanto tu sia in grado di dominarti, quando hai deciso di non ucciderli tutti.”
Mi sedetti, cadendo quasi di schianto su una poltrona. Harlan, silenziosamente, mi mise in mano un bicchiere di whiskey, che ingollai senza nemmeno sentirne il sapore.
“Mio Dio...” mormorai. Alzai lo sguardo sui miei amici, smarrito. “Non è possibile, ci deve essere un modo per levarmi questa cosa.”
“Sicuramente c'è, Tom.” disse Harlan, sedendosi accanto a me e posandomi una mano su una spalla. “Non sarai solo, la cercheremo insieme.”
Lo fissai, commosso dalla fiducia che mi riservava. Nei suoi occhi lessi la certezza che non avrei permesso al mio lato oscuro di prevalere su di me, certezza che nemmeno io avevo su me stesso. Tornai a fissar Caleb, incerto.
“Harlan ha ragione, Tom. Ti aiuteremo, stanne certo, e non temere. So quali dubbi ti rodono, ma saprai portare questo fardello senza lasciartene divorare.”
Annuii, come potevo ribattere alle parole di un essere di luce?
Passammo la serata a parlarne, e mi fermai ancora una settimana per approfondire la situazione, leggendo con Harlan e Caleb tutto quello che la biblioteca del Teatro custodiva sull'anello, ma senza trovare nulla che ci aiutasse nell'immediato. Le informazioni sul demone custodito in esso erano scarne, e pochi erano gli indizi sulla sua natura e sull'incantesimo usato da Agrippa per incarcerarvelo, ma Caleb era fiducioso, si diceva sicuro che prima o poi avremmo trovato il modo di levarmelo.
Infine decisi di partire, tanto ci saremmo sicuramente tenuti in contatto ed io dovevo ormai tornare alle mie solite incombenze, tra il faro e la libreria. Tuttavia quando misi di nuovo piede al faro, mi resi conto che qualcosa era cambiato in me, forse per sempre.
Quello che avevo fatto ai babbani che ci avevano aggredito non era stato dettato dal demone che ormai mi portavo dietro, era stata la mia reazione spontanea agli avvenimenti della serata. Sapevo perfettamente che lo avrei fatto anche senza l'anello. Il mio lato oscuro, che pensavo ormai assopito, se non addirittura morto da tempo, era più vivo che mai, e bastava solo la situazione giusta per risvegliarlo. Ma ora più che mai dovevo stare attento.....