lunedì 21 dicembre 2009

Love will tear us apart

L'amore certo... è con quello che dicono di avermi sconfitto. L'ho letto in tutti i libri, i saggi, i romanzi, gli articoli che hanno scritto sulla mia sconfitta. Io ancora ne dubito, onestamente. Io so bene com'è andata la battaglia finale, e non ho visto esplosioni d'affetto, ma errori tattici e tradimenti. E non basati sull'amore ma sull'opportunità del momento. Anche quello di Narcissa Malfoy, che mi ha taciuto la sopravvivenza di Potter, era un modo per schierarsi dalla parte del vincitore. Se quel ragazzino mi era sopravvissuto di nuovo allora non avevo speranze di vittoria. Tutto qua, ha pensato solo questo. E non crediate che non sappia che amava suo figlio, ma io so di quale amore si trattava, ero lì, li ho visto i Malfoy insieme. Draco era un possesso, un bene da gestire correttamente. Non un figlio. Non una persona da amare. Lo nutrivano di abiti e galeoni e senso di superiorità, ma non c'entrava un accidente l'amore. Come faccio a saperlo? Sono stato infelice tutta la mia infanzia ed adolescenza, so riconoscerne le tracce sul viso delle persone, tutto qua. Mi è bastato guardare Draco in faccia un paio di volte, quando pensava che nessuno lo guardasse per capirlo, osservare come guardava i genitori, per comprendere. Le ho già viste quelle facce, ad Hogwarts. Serpeverde è piena di gente con quello sguardo negli occhi. Sono riuscito ad irretirli perché nel mio desiderio di dominio c'era la vendetta verso genitori che chiedevano troppo. Quest'orfano rabbioso offriva più potere, più autostima di tutti i discorsi di quei padri aridi e boriosi che si aspettavano troppo da figli inetti o banalmente nella media. Altro che amor familiare... quante palle che raccontano sotto questo nome. E vogliono far credere al mondo che io sia stato battuto dal fatto di non saper amare. Ma che ne sanno. Che ne sanno del fatto che io non abbia mai amato. Anche prima, certo.
Una volta ho amato, nella mia adolescenza. Mi sono innamorato di... ah, chi lo sa se lei ha mai avuto il coraggio di confessarlo, di aver amato niente meno che Tom Orvoloson Riddle, da ragazzina. Non ci credo, no, non avrebbero scritto tutte quelle stronzate se lo avessero saputo.
Di chi parlo? Di Minerva McGrannitt, naturalmente. Me ne sono innamorato a tredici anni, ma voi non immaginate che bella era a quell'età.
Aveva un anno più di me, e non mi guardava di striscio, ovviamente. Ma l'anno successivo si accorse di me... ero cresciuto di 15 centimetri, non avevo ancora ucciso i miei parenti e cominciavo a sperimentare il potere della seduzione... la incantai. Non letteralmente, non sarebbe stato facile nemmeno allora, con una strega della sua bravura. Era eccezionale, veramente. Ed aveva uno sguardo dolcissimo, molto lontano dalla severità che ebbe per il resto della sua vita adulta. La sedussi, e me ne innamorai ancora di più. Ma non glielo dissi mai, questo fu il problema. Non ebbi mai il coraggio di farlo, sapevo di amarla ma non volevo darle il potere di ricattarmi con questo. E la feci soffrire orribilmente, soffrendone a mia volta. Decisi io di lasciarla. Le avevo imposto la segretezza sul nostro rapporto, non era il caso di far sapere che il più bravo dei serpeverde stava con la miglior grifondoro.
Ci spezzammo il cuore a vicenda, ed io non lo risanai mai più. Me lo impedii. Volevo ricordare quanto faceva male amare, per non ricaderci mai più. Ci riuscii. Ebbi molte amanti, ma non ne amai nessuna.
Finché... con il mio terzo ritorno tutto è cambiato, mio malgrado.
Mi sono ritrovato a chiedermi che avevano così ostinatamente da straparlare dell'amore, coloro che mi avevano vinto. Li ho letti, li ho studiati nelle foto delle loro opere, nelle interviste che hanno dato ai giornali, alla mia morte.... e li ho trovati affranti, feriti, devastati da tutte quelle morti. Il loro amore era la capacità di soffrire per coloro che avevano perduto? Per quello mi avevano battuto? Ma che senso aveva? Sapevano combattere e soffrire per coloro che amavano.. che senso ha? Io ho combattuto strenuamente per ambizione, rabbia, desiderio di vendetta, e se sono stato sconfitto è stato per una serie di errori di valutazione, non per mancanza d'amore. O perché non fossi capace di soffrire. Quello lo so fare splendidamente bene da quando ho memoria. Non esiste giorno nella mia mente in cui questa consapevolezza non sia presente.

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Amore... ho provato a cercarlo, lo confesso. Quando ero in giro per il mondo con Cletus mi sono accorto che le donne mi notavano per il mio aspetto, e la cosa non smetteva di sembrarmi buffa. Non ho mai badato al mio aspetto, accorgermi di esser considerato attraente mi fa ridere a crepapalle, per quanto sia vero. Assomiglio a mio padre, che era universalmente considerato un bell'uomo. Molte donne mi hanno fatto capire che gli assomiglio molto, in questo. Ma mi sono sempre tenuto a distanza, fino a quella volta in Messico...
Ero in cerca di ricordi, seguivo distrattamente una compagnia di turisti new age, guidati da una svitata che parlava di energie della terra e intonava mantra inneggianti all'amore universale, con la compagnia che la seguiva estasiata. Una delle donne che la seguiva mi guardava già da tempo, da quando avevo incrociato la loro strada due giorni prima, nella capitale. Eravamo alle piramidi a gradoni dei Maya, a Chichen Itza, e mi osservava, mentre cercavo di tenermi in disparte ed osservavo il paesaggio... ero già stato lì decenni prima, avevo trovato un vecchio scrigno contenente polvere magica 800 anni prima, ormai del tutto priva di potere e di valore. La loro maestra mistica sosteneva di sentire immense energie, ed io sorridevo, pensando che la sola fonte di energia magica presente ero io, ormai. La guardavo, carica di braccialetti, vestita come una vecchia hippy, che guardava tutto con occhi luccicanti, mentre lei invece osservava me, che me ne stavo in un angolo, a guardare altrove. Mi si avvicinò, chiedendomi se avevo un accendino. Si chiamava.... no, che senso ha dirvelo? Era Lei, semplicemente. Mi infilai una mano in tasca, materializzai un accendino e glielo porsi. Chiacchierammo del più e del meno, e risi, mentre mi spiegava che era al seguito del gruppetto per via di un'amica con fibrillazioni mistiche, che lei assolutamente non condivideva. Era bellissima. Mora, occhi neri, una risata contagiosa. Finimmo a letto la sera stessa, mentre la comitiva andava a percepire le energie delle stelle. Abbandonò il gruppo e l'amica la settimana dopo, venendo a cercarmi nello stesso albergo, dove mi ero fermato per pura pigrizia.
Ero a corto di stimoli e ritrovarmela davanti fu una bella sorpresa. Non mi accorsi nemmeno di quello che mi stava succedendo, lo ammetto. Era passato talmente tanto tempo da quando mi ero innamorato di Minerva che non mi ricordavo nemmeno che sensazioni dava. Mi lasciai andare, curioso, eccitato, persino felice... era come una bambina, per me.. lei non lo sapeva, ma la differenza di età era enorme, lei era appena trentenne, io ne ho più di ottanta, anche se non li dimostro affatto. I suoi entusiasmi, la sua gioia di vivere era contagiosa, esaltante, e talvolta faticosa. Cominciò a chiedermi del mio passato e dovevo fare i salti mortali per inventarmi un passato ragionevole.. inventai di essere un giornalista free lance, di viaggiare per cercare storie, di essere in crisi creativa, per cui non scrivevo... e la difficoltà maggiore era nasconderle la mia magia. Finché...
Pensavo davvero mi amasse per quello che le dicevo di essere. Una sera mi beccò ad usare la bacchetta per prendere un libro dal tavolo. Un semplice, banale incantesimo di appello. Mi guardò con occhi che brillavano.
“Lo sapevo che eri un mago. Lo avevo capito da subito.”
Restai di sasso. La guardai sbalordito. Cercai di spiegare, ma troncò ogni spiegazione con una frase che non avrei mai voluto sentirle dire.
“So chi sei, ne avevo il dubbio, ma ora l'ho capito. Sei Lord Voldemort. Non puoi essere che lui.”
Aveva un'espressione febbricitante, fanatica.
“Come puoi saperlo? Voldemort è morto, io non sono...”
“Sei tu. Lo so. Mio padre era un tuo seguace, mi fece vedere delle tue foto da ragazzo... e non mi posso sbagliare, sopratutto perché ho riconosciuto la tua magia... il tuo potere è inequivocabile...”
La guardai... e qualcosa mi si spezzò dentro, quella notte, qualcosa che non è ancora guarito.
“Sei una strega...” mormorai....
Annuì, sorridendomi.
“Si. Mio signore... sei tornato.. aspettavo ti rivelassi a me, ma non lo hai fatto ed ho pensato avessi qualche piano, per quello ho atteso e non ho detto nulla... poi ho capito che non volevi altro che una compagna... ed io ora posso essere la compagna del Signore Oscuro!”
Mi sedetti... e compresi. Non mi aveva mai amato realmente. Era innamorata della mia fama. Del mio nome. Di chi ero stato, ma di me? Non sapeva nulla, non voleva accettare nulla.
Sentii qualcosa stringermisi dentro, come in una morsa. Scossi la testa, incredulo. Mi venne accanto, convinta che io fossi sollevato che avesse scoperto chi ero.
“Io voglio stare con te, voglio che mi insegni le arti oscure... sii il mio maestro...”
La fissai... le carezzai il viso, mi persi negli occhi che credevo avessero così spesso ricambiato il mio amore.... e vi vidi solo il mio riflesso. Compresi che non avevo visto altro che quello, nei suoi occhi, quello che volevo assolutamente trovarci, ma che non c'era mai stato. Ero io ad averci proiettato qualcosa che desideravo, che bramavo. Che non sapevo di star cercando.... e che ero pronto a dare. Lei mi fissava, bramosa, ed io le carezzai il viso... senza pronunciare una parola l'ipnotizzai, e mentre le lacrime cominciavano a scorrermi sul viso, le feci dimenticare tutti i mesi che avevamo passato insieme.... il suo sguardo si svuotò, ed io fissai per l'ultima volta il mio riflesso nelle sue iridi spente. La condussi a letto, e di nuovo fuggii nella notte, verso il primo treno disponibile. Per la prima volta da quando ero tornato, accarezzai l'idea di riabbracciare la vita di prima, di tornare ad essere solo un mezzo demone, incapace di provare altro che odio, perché mi faceva sentire protetto, sicuro... non fragile ed inutile come mi sentivo su quel treno, come non facevo che sentirmi da un anno e mezzo, da quando ero tornato mio malgrado alla vita. Ma non ci riuscivo, stavolta qualcosa mi tratteneva, e mi lasciai trasportare dal treno verso la destinazione successiva.
Portava a Portland, nel Maine. Fu sul vagone che trovai una copia sdrucita di Moby Dick... e la storia di Ismaele mi fece venir voglia di vedere da dove era partito, Nantucket... avevo voglia di perdermi anche io, avrei tanto voluto potermi smarrire in mare, per sempre... quando vidi il faro ne rimasi colpito. Pensai che in mancanza di navi su cui potermi imbarcare potevo passare il tempo a guardare il mare, sperando che la ferita che mi sentivo in petto si rimarginasse con il tempo.
Lo ha fatto. La cicatrice non si vede, ma io la sento, come una scorza sul mio cuore. Mi ha corazzato, forse... perché non mi guardo più attorno con lo stesso bisogno di prima, la ricerca disperata ed inconsapevole di qualcuno che mi ami.... non ho più cercato gli occhi di una donna. Ho lasciato che mi cercassero, ma non mi sono fatto trovare, per così dire. Ho paura, si è vero. Sono terrorizzato all'idea di reinnamorarmi... e scoprire che sono solo proiezioni. Che quello che cerco non sono capace di trovarlo, perché non so che aspetto abbia.
Alla fine qualcosa di quello che dicevano i miei nemici l'ho capito... amare è qualcosa che ti rende più forte, meglio dell'odio. Ti rende capace di accettare la sofferenza, ti rende resistente in una maniera che l'odio non sa fare. Quando odi cerchi vendetta, quando ami vorresti solo poter amare. Ma non sono più capace di cercarlo, non so che faccia abbia... mi sono corazzato contro il rischio di soffrire di nuovo inutilmente..... ma non riesco a smettere di sperare di trovare quello che non cerco.

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L'amore mi ha fatto a pezzi...
Pensavo di aver smesso persino di sperare. Di non volerci più ricadere... che la mia corazza fosse abbastanza salda da non rischiare più ferite, ma non è così. Le ferite si rimarginano, le cicatrici ti ispessiscono l'anima... ma poi si ammorbidiscono e tu ti abitui a sentire di nuovo... e riscopri il desiderio, senza accorgerti di provarlo, finché non incroci di nuovo uno sguardo gentile, una donna che ti guarda senza altro che dolcezza negli occhi. Ha gli occhi verdi, i capelli rossi... sa che sono un mago, ma non immagina chi io sia e mi crede, se le dico che semplicemente non voglio aver a che fare con le arti magiche se non lo stretto indispensabile. È una strega anche lei, ma la miglior magia che sa fare è quella di farmi sentire bene, quando vado al suo negozio a comprare le scorte di erbe magiche per Cletus... è lui che me l'ha fatta conoscere e sospetto che sperasse di vederci insieme... non so ancora che succederà. Non ci sono altro che sguardi, sorrisi e serate a guardare le stelle, al faro... e la gioia di una compagnia che non mi chiede nulla. Sa chi era Voldemort, e ne ha la stessa repulsione che provo io... se sapesse chi sono... non voglio pensarci. Ma non lo saprà mai. Quella vita è finita... ed il faro, il mare di fronte ad esso, mi hanno ridato la speranza di poter ricominciare. Forse.

martedì 1 dicembre 2009

Fenrir Greyback

Arrivo nel mio locale preferito che è quasi deserto... come di solito, vista l'ora in cui arrivo. Si tratta di un semplice pub per marinai, sul porto. Mi siedo al mio posto favorito, in fondo, un po' riparato. Da lì posso guardare tutto il locale senza esser troppo notato. Mi faccio portare la cena, patate, hamburger, una media scura.. la prima della serata. Ho il mio migliore amico, con me. Un libro. Uno a caso, estratto dalla mia fin troppo fornita biblioteca. Passo la serata a leggere ed a guardare la gente.
è il mio modo per esorcizzare la solitudine che mi sono autoimposto.
I soliti ragazzini. Hanno faccende losche di droghe e ragazze, credono di sembrare dei duri, ma sono solo ridicoli... quando i veri duri del quartiere entrano nel locale e li guardano ridacchiano si azzittiscono e dopo poco scappano a casa, dalla mamma che gli stira le magliette ed i jeans a vita bassissima.
I duri del quartiere sono tre, hanno accumulato insieme un paio di ergastoli, tra piccole rapine, minacce, furti, qualche scazzottata... hanno tutti facce uguali, piene di solchi. Si fingono amici, fino a quando uno di loro non ammazzerà l'altro.. ed allora le loro strade si separeranno, cercando altri temporanei alleati. Guardano le coppie che entrano, con un misto di invidia e desiderio.
Come me... osservo da settimane quella coppietta. Vengono tutti i venerdì, mangiano insieme le patatine, poi vanno al cinema e poi tornano qua a commentare il film. Non smettono mai di guardarsi negli occhi. Avranno 23/25 anni, al massimo. Stanno progettando la casa, il matrimonio.. o la convivenza, visto che non sembrano aver molti soldi. Lei ha le unghie rifatte, ma non va dal parrucchiere da parecchio. Lui ha le mani rosicate dall'olio motore e la faccia troppo abbronzata, per esser novembre.
Due settimane fa avevano litigato... li ho guardati tenersi il broncio tutta la serata, finché lui non ha ceduto. L'ha guardata con un mezzo sorrisetto, le ha fatto una strana smorfia, un segnale nel codice segreto delle coppie, sicuramente, lei è scoppiata a ridere e si sono baciati. Hanno passato il resto della serata a sbaciucchiarsi, dimenticandosi del cinema, delle patatine... di noi che li guardavamo, chi con affetto, chi con invidia.
È arrivato il solito gruppetto... tutti ben vestiti, vengono ad ostentare i loro soldi ai vicini di casa che qua passano le serate, mentre loro si limitano a radunarsi per andare a ballare. Non ordinano mai nulla, occupano solo spazio, urlano nei loro cellulari, si guardano attorno come se vedessero quello che credono di non poter diventare mai. Restano qua un'oretta, e poi fuggono a far vedere che la vita vera è altrove, sulle loro macchine prese a prestito da genitori troppo assenti per accorgersi di loro. Almeno finché qualcuno di loro non ci morirà o ci ammazzerà un amico, un passante, con quella macchina... ed allora paparino risolverà tutto sganciando la sola cosa che non gli costa nulla, tanti bei soldoni...
Un paio di vecchi giocano a carte, come sempre... a volte sospetto che sia la stessa partita, da anni, tanto giocano al rallentatore, e mi coglie il timore che se dovessero finirla, spariremmo tutti in uno sbuffo di fumo...
un mendicante passa più volte davanti al vetro.. almeno, sembra un mendicante, vestito di stracci, malconcio, pieno di cicatrici...
ha un'aria vagamente familiare. Stasera entra nel locale, mi si siede davanti e mi scruta, sogghignando.
Ne sono certo, ho già visto quegli occhi, ma è lui a svelarmi il mistero.
“Guarda guarda...” mormora con voce roca, osservandomi. “Sei cambiato...” annuisce, osservandomi per bene. Lo guardo senza capire.
“Ci conosciamo?”
Annuisce, lentamente,
“Eccome se ci conosciamo... hai ritrovato la tua faccia, vesti da babbano, frequenti i babbani... ma certe cose non cambiano, come l'odore, caro il mio Lord Voldemort... “
Pronuncia il mio nome con un ghigno, quasi con soddisfazione. Resto di ghiaccio a guardarlo ed in un lampo lo riconosco,
“Fenrir Greyback...” mormoro. “Sei invecchiato... “ sogghigno.
“Tu invece sembri ringiovanito.” afferma e mi guarda, sbilenco e strafottente. “Strano, visto che dovresti esser morto.”
“Già... gli strani effetti della resurrezione, immagino.” rispondo.
“E sei tornato per passare le serate al pub come un babbano qualsiasi?” mi chiede, dubbioso.
“A quanto pare... sempre meglio che farmi ammazzare stupidamente da una torma di ragazzini in una scuola, mi pare.”
Ridacchia. Si guarda attorno, guarda con desiderio il mio piatto semivuoto. Glielo allungo e ne ordino un altro. Li divora entrambi, avidamente, continuando a guardarmi e scolandosi la birra scura che gli ho fatto portare. Lo osservo a mia volta: è invecchiato parecchio e male, è addirittura incredibile che un licantropo sia sopravvissuto tanto a lungo... di solito muoiono prima dei 50, divorati dalla maledizione o uccisi da qualche umano, quando non dai loro stessi compagni. Ma Fenrir è il più feroce e combattivo lycan d'Inghilterra... ed è bravissimo a sopravvivere, anche se non in perfetta forma, si vede.. Ha almeno 60 anni e ne dimostra 75, è magro come uno stecco, stempiato, malconcio. Ha talmente tante cicatrici in viso che sembra attraversato da una ragnatela. Qualcosa di ferino gli è rimasto attaccato anche nella sua versione umana. Mangia voracemente, beve e poi soddisfatto si ferma a guardarmi.
“E così ora fai finta di esser babbano?”
Lo guardo a lungo, prima di rispondergli.
“A quanto pare” dico. “La cosa ti disturba?”
“Proprio non me ne potrebbe fottere di meno... potrei ricattarti, per non svelare chi sei... ma probabilmente troverebbero il mio cadavere in un fosso, domattina... senza segni addosso. E visto come vivo, sarei solo il solito accattone morto di freddo.”
Annuisco, senza dir nulla.
“Già... le vecchie abitudino sono dure a morire, eh, Tom?”
Ridacchia, si passa una mano sulla faccia devastata.
“Nah.. non voglio niente da te, mago. Volevo solo un pasto caldo, per una sera... e vedere di chi era st'odore familiare che sentivo per Nantucket, ultimamente.”
Si guarda attorno, come se non lo interessassi più. Ma lo sento che ha ancora qualcosa da chiedere... attendo e dopo qualche minuto, puntuale, la domanda.
La stessa che mi pongo io da anni a questa parte, da quando mi hanno riportato in vita.
“Che sei tornato a fare?”
Sorrido, prima di rispondergli... e rispondo a me stesso, sostanzialmente.
“Sono tornato a fare il guardiano del faro.” ed è la sola risposta che so darmi.
Il licantropo ride, prima sommessamente, poi sgangheratamente. Lo lascio ridere. Fino a che si placa, con gli sguardi di tutti gli altri avventori addosso. Arriva anche Sam, il barista a guardarci storto.
“Tom.. questo accattone ti infastidisce?” chiede sospettoso.
“No, Sam... è una vecchia conoscenza.... ed è solo di passaggio, vero?”
“Si si... sono solo di passaggio.” risponde Fenrir smettendo di ridere ed asciugandosi le lacrime che gli scorrono lungo il viso. “Ho visto il mio amico nel pub e sono entrato a scroccargli una cena, vero, Tom?”
Sam ci scruta dubbioso e poi se ne va... e torniamo a guardarci negli occhi, io ed il licantropo. A lungo, come se dovessimo decidere cosa fare l'uno dell'altro. Il suo sguardo va al mio polso sinistro, più volte.. lo capisco, cerca di capire se si vede l'impugnatura della bacchetta.. se ce l'ho vuol dire che sono ancora lo stesso mago che gira armato, come un tempo.. se non ce l'ho, magari ha la possibilità di uscire vivo da quell'incontro. Lo lascio nel dubbio. A dire il vero, ormai la mia bacchetta staziona più spesso sul mio comodino che addosso a me.... anche per la semplice ragione che spesso non mi serve, per fare le magie più semplici. E stasera è a casa.. ma non ne ho bisogno.
Guardandolo mi rendo conto che non ha intenzione di tradirmi. Cerca solo un rifugio per la notte e qualche pasto caldo, come un tempo. È un reietto e lo sarà per sempre, peggio di me... perché la sua maledizione non ha redenzione, purtroppo per lui.
“Andiamocene.” dico dopo un tempo interminabile.
Usciamo dal locale e camminiamo in silenzio verso il faro. Gli offro una stanza, ma la rifiuta, orgoglioso come sempre. Accetta solo i soldi, e la parola che gli do che se andrà a nome mio nel locale dove ci siamo trovati un pasto caldo lo troverà sempre. Sono certo che non ci tornerà mai più in mia assenza. Lo conosco troppo bene, il più selvaggio ed orgoglioso capobranco lycan dell'Inghilterra.
Mi accenna che ha dovuto scappare per non farsi uccidere, dopo la mia caduta... ma non mi dice nient'altro... e quando arriviamo allo svincolo, che da una parte porta al faro e dall'altra alla foresta, mi saluta...
Lo rivedo il giorno dopo. Sul traghetto che porta la gente in continente. Mi saluta con la mano, per l'ultima volta.

Potter...

Il guaio di Nantucket è che si tratta di un porto turistico, in certi periodi dell'anno... ed oltre agli americani, ogni tanto arrivano turisti anche dall'Inghilterra. Sono quasi sempre babbani, i maghi non fanno turismo negli stessi posti dei babbani.. non per particolare razzismo, no, malgrado quello che si potrebbe pensare, detto da me.. Semplicemente perchè molti non sanno vivere tra i babbani, non sanno smettere di usare la magia o anche semplicemente vestirsi da babbani. Io sono cresciuto diviso a metà tra l'orfanotrofio e la scuola magica di Hogwarts, per cui in effetti conosco entrambi i mondi... li ho frequentati entrambi, anche se ora mi sto isolando da essi. Ed è per questo che tornare a vivere da babbano non mi è stato granchè difficile. Ci sono tantissime cose babbane che conosco, dalla radio, al cinema, all'elettricità, alla televisione, perfino.. e poi ho viaggiato abbastanza da aver imparato ad adattarmi in tutte le situazioni, a mimetizzarmi... per questa ragione qua a Nantucket nessun babbano ha mai notato in me particolari stranezze magiche, ed i pochissimi maghi che ci abitano non hanno mai notato in me particolarità troppo bizzarramente babbane, a parte la mia attitudine a vivere maggiormente da babbano che da mago..
In America si nota di meno, devo dire, di quanto verrebbe notata in Inghilterra. Qua non esiste una sola grande scuola come Hogwarts, ci sono piccole scuole, e non sono collegi, i ragazzini tornano a casa negli week end, ed in alcune semplicemente ci vanno quotidianamente con la metropolvere... molti maghi vivono alla babbana e qui i purosangue quasi non esistono, sono un vezzo del vecchio continente... per cui non c'è poi una divisione così netta tra i due mondi. Addirittura a scuola i ragazzini usano penne e stilografiche invece delle piume, ed è raro che usino pergamena, preferendo la carta.... insomma, vivono in modo molto più ibrido, i due mondi... e stranamente mi ci sono mimetizzato meglio. Mi ci trovo meglio, posso continuare ad oscillare tra i due confini, senza venir troppo notato dai babbani e nemmeno dai maghi. Frequento il pub babbano sul porto, ed anche quello magico a Lantern Square. E da nessuna parte mi guardano come se fossi strano, se ci vado vestito sempre allo stesso modo, con i jeans, la camicia a scacchi ed il giaccone da marinaio.
Ho fatto amicizia sia con Sam, al porto, che con Jones e Peggy, i proprietari del piccolo pub magico, proprietari tra l'altro di un'elfa che pare molto interessata a Cletus.. Cletus stesso è diventato molto celebre, a Lantern Square, decisamente più di me, visto che ci va a far la spesa magica al posto mio. Sopratutto è celebre il suo terrore dei temporali, visto che è sua abitudine, allo scoppio del primo tuono, saltare in braccio al primo umano che gli capita a tiro, preferibilmente il sottoscritto, ma il primo mago di passaggio va altrettanto bene, se io non sono raggiungibile.
Una sera questa sua abitudine mi ha quasi salvato la vita..
Nantucket è un porto turistico, dicevo. E ben pochi maghi ci vengono... ma alcuni, certamente. È stato così che mi sono trovato davanti Harry Potter e famigliola, l'anno scorso. Lo avevo già reincontrato... feci un piccolo test, prima di venire negli States, andai a Diagon Alley, mi feci una camminata tra i maghi.. volevo vedere se ero davvero tornato così anonimo. Nessuno mi riconobbe, nessuno mi notava... girai per i negozi, senza che nessuno facesse caso a me. Arrivò l'ora di pranzo e lui venne a mangiare proprio a due passi da me, al bar. Ci guardammo un paio di volte negli occhi, mi chiese il posacenere e glielo misi in mano, sfiorandolo. Non diede cenno di interesse, nei miei confronti, non mi riconobbe.
Ma trovarmelo così, sul molo davanti a casa mi diede un sincero colpo al cuore... era con la moglie, in cui riconobbi la piccola Weasley, dai capelli rossi. Avevano un pupetto di un anno in braccio e Ginny era palesemente incinta di un altro. Si stringevano, per scaldarsi contro il vento che arrivava freddo dal mare, e guardavano il faro, sorridendo. Ero al molo, con Homer, il vecchio pescatore che viene tutte le mattine a pescare da queste parti, a tirare su le nasse delle aragoste, impigliate come al solito, e non mi notarono.
Mi calcai il berretto in testa, la visiera sugli occhi, e salii al faro, portandomi dietro una rete piena di pesce, cercando di non farmi notare... ma mi vide e venne a chiedermi se il faro era visitabile.
"No, mi spiace... c'è il museo al porto, se desidera." risposi, accentuando la cadenza nantuckettese.
Mi ringraziò, mi degnò a mala pena di uno sguardo, e se ne andò.
Tirai un sospiro di sollievo.. sapevo che non poteva riconoscermi, ma mi irritava che fosse casualmente arrivato fin lì.
Cletus venne a salutarmi e quando vide il giovane mago andarsene, mi guardò significativamente.
"Nessuno sa chi sei, Signore... nemmeno lui può indovinarlo." mi disse, indovinando i miei pensieri, come sempre.
Avevo un appuntamento con un amico a Lantern Square, la sera, ma rimandai... non volevo rischiare di trovarlo, di nuovo. Me ne rimasi rintanato al faro un paio di giorni, aspettando che da bravo turista se ne andasse verso posti più caratteristici, finchè il mio amico tornò a reclamare la nostra serata di backgammon... e mi feci convincere ad andare a trovare Jones, pensando che fossero ormai ripartiti.
Eravamo intenti a giocare da un'oretta, quando entrò Potter, con la moglie. Si misero a poca distanza da noi, proprio di fronte a me... mantenni il sangue freddo e feci finta di nulla, continuando a giocare.... ma lui sentendomi parlare si girò a guardarmi, e mi riconobbe come il guardiano del faro. Mi sorrise e mi fece un cenno, a cui risposi appena.
Il mio accento non è più riconoscibile come un tempo.. sono cresciuto all'ombra del Big Ben, e per tutta l'infanzia ho parlato con profondo accento cockney, con il tempo l'ho ripulito fino a parlare Atlantic English, quell'inglese colto e senza accenti che si parla tra una sponda e l'altra dell'atlantico, ma vivendo da anni a Nantucket avevo finito con lo sporcare volontariamente l'accento con i toni dei locali... e lo accentuai, quella sera, parlando pochissimo, temendo riconoscesse la mia voce, assurdamente... mi trovai più spesso del dovuto a guardarlo, cercando la cicatrice sulla fronte, combattuto da mille emozioni diverse. Persi parecchie partite di seguito, per l'ilarità del mio compagno, che raramente riusciva a battermi per più di un paio di volte di fila, perchè ero palesemente sovrappensiero... alla fine si girò anche Potter a guardarmi, incuriosito e perplesso. Smisi di osservarlo, ma mi resi conto che mi studiava... si toccò la fronte perplesso e mi sentii gelare. Per fortuna venne riconosciuto da parecchi avventori, che lo distrassero per un pò, salutandolo e facendogli i complimeti per avermi sconfitto, con un'assurda ilarità che mi montava in corpo e che facevo fatica a trattenere, finchè non tornò a guardarmi, perplesso, chiedendosi probabilmente perchè gli sembrassi tanto familiare... lo vidi che stava per avvicinarsi a parlarmi, quando in cielo esplose un tuono fortissimo.
Fu allora che accaddero due cose che probabilmente salvarono più di ogni altro la mia nuova identità. Dalla cucina uscì a precipizio Cletus, terrorizzato, e mi si aggrappò al collo con tutta la forza che aveva, squittendo.
"Tuoni!" gridava "Paura, Signore! Paura!" cercando di infilarsi con la testa dentro la mia giacca. Mi sbattè quasi per terra, con tutta la sedia e mentre ritrovavo l'equilibrio e lo abbracciavo mi misi a ridere, involontariamente.
"Cletus!" esclamai "è solo il solito temporale, dai!" dissi, mentre lo stringevo e lo coccolavo, come se fosse un bambino di otto anni, di cui ha effettivamente le dimensioni. Lo sentivo aggrapparsi al mio corpo, strettamente, con le braccia e le gambe, tra l'ilarità generale che accompagnava di solito queste scene. Peggy si girò a guardarmi, ridendo.
"Tom, non hai fatto un favore al tuo elfo, venendo ad abitare a Nantucket, decisamente!" rise.
Sentendo quel nome Potter si girò a guardarmi, stupito. Ma io mi trovai a ridere più forte, dando pacche rassicuranti sulla schiena del piccolo elfo, mormorando sciocchezze per consolarlo... ed allora sentii la voce di Cletus, bassissima nel mio orecchio.
"Ora non può pensare che sei tu, Signore... tu non avresti mai consolato Cletus, se eri come prima... e non ridevi, prima." Ridacchiava, facendo finta di singhiozzare forte... me lo strinsi al collo, meravigliato. La sagacia di quell'elfo non smetteva mai di stupirmi.
Potter guardò la scena sogghignando e poi si girò, richiamato dalla moglie. E non mi rivolse più uno sguardo per tutta la serata. Cletus mi rimase abbracciato, mentre il temporale si scatenava e mi ritrovai a portarlo a casa in braccio, come fosse un bambino. Arrivati al faro scese dalle mie braccia, mi guardò sorridendo e disse:"Visto? Nemmeno lui può capire chi sei, Signore!" giusto un attimo prima che esplodesse un altro tuono in cielo, mandandolo a rintanarsi tra le mie gambe, sospirando e mormorando quelli che sicuramente erano improperi nella lingua degli elfi.
Andammo a dormire, io sul letto e lui sotto, come sempre quando c'erano temporali.... ed io guardai il soffitto a lungo, sentendomi stranamente al sicuro. Era la seconda volta che incrociavo la strada di Potter e in un angolo della mia mente era esistito ancora il timore di esser riconosciuto, ma quella era la prova definitiva.
Mi sentivo strano, comunque. Trovarmi davanti colui che mi aveva ucciso ben due volte di fila mi aveva riportato a galla infiniti ricordi... sopratutto della battaglia di Hogwarts. Quel giorno era molto confuso nella mia memoria, me ne tornavano sprazzi angosciosi solo in sogno, la notte... sopratutto la sfida finale tra me e lui era celata da un'ombra che preferivo non dissipare. Non amavo rivedermi in quella situazione, consapevole della quantità di errori e stupidaggini assurde che avevo commesso... e sopratutto non amavo rivedere l'uomo che ero stato, da quando avevo ritrovato il mio corpo deformato e contorto, fino all'epilogo. Ero stato ancora meno umano di quanto lo fossi prima della distruzione davanti alla culla di Harry...
Riflettevo, cercando di capire che cosa provavo.. ma a parte una sorta di distacco, come se fosse successo a qualcun'altro, non sentivo nulla. Avevo avuto timore che potesse riconoscermi, solo perchè avrebbe significato far sapere al mondo che ero tornato, fuggire, quando la sola cosa che volevo era l'oblio, l'anonimato. Niente altro che quello. Non sentivo sensi di colpa, per quello che ero stato, mi prendevo la piena responsabilità delle mie scelte.. e non cercavo alcuna forma di redenzione, o di perdono. Volevo solo lasciarmi tutto alle spalle, anche se piccoli sprazzi tornavano a cercarmi, come quella volta che incontrai Fenrir.. o quando andai ad affrontare Lucius. Ma non volevo più aver a che fare con il mio passato. Ero stato sconfitto, battuto, ucciso... e con quella vita era morto tutto quello che ero stato.
Me ne resi conto quella notte. Ero un uomo nuovo, con un destino nuovo. Ero libero da me stesso e dal mio passato.
Forse non ero ancora completamente in pace con me stesso, forse non lo sarò mai. Ma non ha importanza. La mia strada è nuova, è solo mia. Posso percorrerla liberamente, almeno questo.

ritornato...

Erano sette, coloro che malaccortamente mi riportarono in vita. Quattro uomini e tre donne. Li ho uccisi tutti. Non avevo altra scelta, se volevo andarmene da lì vivo, senza il fardello della loro missione da realizzare sulle spalle.

Erano fanatici, tutti più giovani dei mangiamorte che avevano combattuto con me l'ultima volta. Avevano creato il mio mito a Durmstrang, dicendosi che gli inglesi erano stati dei deboli e degli inetti e che se fossero stati loro a seguirmi avrei vinto sicuramente.

Erano animati dal sacro fuoco della devozione cieca, del fanatismo alla causa, più che a me, e diventavano sempre più inquieti e minacciosi nel vedermi temporeggiare, esitare.

Una di loro in particolare, Anjanka. La padrona di casa, colei che aveva voluto fortemente il mio ritorno, che aveva convinto gli altri ad esumare di nascosto il mio cadavere e far la fatica di provare a riportarmi in vita, rintracciando i frammenti di Horcrux distrutti, sperimentando rituali magici che nemmeno io avrei osato tentare, evocando demoni e spiriti per riportarmi indietro e riprovare a conquistare il potere con me alla guida. Che bisogno avevano poi di me, mi sono chiesto, se erano tanto determinati? Ma tant'è, guidati da lei ce la fecero.

Una grandissima strega, bisogna riconoscerglielo. Capace, potente. Completamente pazza. E molto bella. Alta, dai lineamenti nobili, alteri, lunghissimi capelli neri, occhi di ghiaccio, un corpo molto sensuale. Dopo qualche settimana dal mio ritorno, quando avevo recuperato le forze e la memoria, s'infilò nel mio letto, una notte. La prima di tante. Non me ne stupii.... mi succedeva di frequente che qualche mia seguace mi seducesse, anche nel passato. Ai tempi del mio primo ritorno, pur con il viso deforme, Bellatrix si era infilata spesso nel mio letto, lasciando il marito consapevole del tradimento a soffrire, senza potersi ribellare. Il fascino del potere va spesso oltre l'aspetto esteriore. Le ho sempre accolte, praticando con loro non mero sesso ma magia sessuale, volta ad accumulare potere.

Non lo feci con Anjanka, non ci riuscii. In realtà bramavo un contatto umano più intenso della devozione timorosa degli altri, sentivo la necessità di qualcosa di più, anche se non ero in grado di definire che cosa. Avevo bisogno di rassicurazione, di calore umano, di una forma di affetto, in qualche modo.

Quando quella notte la sentii svegliarmi, le labbra calde che baciavano il mio viso, le mie labbra, le sue mani impazienti che esploravano il mio corpo, che carezzavano la mia pelle, non ci pensai nemmeno un istante. La ricambia con gratitudine, con una passione bruciante, presi possesso delle sue labbra e del suo corpo con vorace bisogno, senza pensare a nulla, furiosamente, gridando di passione, trascinato dalla lussuria più cieca, guidato solo dall'istinto, più e più volte. Fu una cosa incredibile. Non so se fosse per il bisogno disperato che avevo di un contatto umano o perché il mio corpo rinnovato reagiva meglio e più intensamente agli stimoli, ma ciò che provai quella notte non lo avevo mai provato prima. Orgasmi brucianti, devastanti, in grado di annichilirmi totalmente.

Mi persi nel suo corpo, nelle sue braccia, fino a svenire sfinito con il viso posato sul suo seno, lei che mi carezzava i capelli mormorando parole dolci che nemmeno sentivo.

Fu la prima di molte notti, in quel modo, anche se la forza dei sensi non fu mai più così devastante. Anche perché cominciava ad inquietarmi.

Parlava costantemente, facendo progetti per il futuro, per quando avremmo riconquistato il potere, per quello che avremmo fatto ai babbani per asservirli, alle altre razze magiche, progettava di farmi da compagna, di darmi persino un figlio per iniziare una stirpe di dominatori del mondo magico... io la ascoltavo senza commentare, maturando la consapevolezza che non me ne importava più nulla. Non ero interessato a quei deliri di onnipotenza. Li riconoscevo come parte del mio passato, ma non mi coinvolgevano più. Non mi riguardavano. Non volevo più provarci, a ritornare al potere. Tutto il mio odio verso i babbani, tutta la mia ambizione sembravano appartenere ad un'altra persona, non a me.

Fu a causa sua che cominciai a rendermi conto che se volevo andarmene vivo dal suo castello, senza di loro e senza seguire il progetto che avevano per me, dovevo ucciderli tutti. Esitavo, prendevo tempo, rispondevo evasivamente alle continue domande di lei, ma vedevo i loro sguardi farsi sempre più inquieti, preoccupati. Li sentivo mormorare, chiedersi se non avevano sbagliato qualcosa nell'incantesimo che mi aveva riportato in vita. Percepii l'idea di uccidermi e riprovare... per vedere se riuscivano meglio, stavolta. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Li riunii tutti, come se volessi finalmente partire con il loro progetto. Mi guardavano sospettosi, inizialmente, finché non cominciai a parlare. Delirai sulla stirpe, sulla tradizione, finché non si rilassarono. Ed allora li uccisi. Quattro con un incantesimo deflagrante, gli altri con l'Avada, prima che potessero reagire. Hanno a mala pena avuto il tempo di reagire, tentando maldestramente di disarmarmi. Solo Anjanka ha tentato di rispondere al mio Avada con un altro Avada. Lo sguardo di puro odio che aveva negli occhi, un attimo prima che la uccidessi, mi tolse ogni rimorso.

Ho ucciso decine di persone, ho ucciso mio padre ed i suoi genitori che non ero nemmeno maggiorenne. Un tempo lo facevo freddamente, senza emozioni particolari. Ma quando spensi la luce negli occhi di Anjanka, l'ultima del gruppo, restai immobile a guardarmi attorno, a fissare tutti quei cadaveri con il cuore in gola, sconvolto dalla mia stessa ferocia. Li avevo uccisi senza dar loro possibilità di scampo, rendendomi conto della determinazione con cui lo facevo, del mio potere non solo intatto ma persino più forte. Avevo sentito una parte antica di me gioire del potere, della capacità di uccidere con un solo gesto tutte quelle persone ed uscirne indenne. Ma un'altra parte ne fu orripilata. Quella più recente.

Mi accucciai, sconvolto, a guardare quello che avevo fatto. Pur avendolo maturato per giorni, avendo progettato tutto nei dettagli, cosa fare, dove andare, mi ritrovai a fissare tutti i morti che avevo fatto chiedendomi perché. Per cosa? Ne valeva la pena? Non sarebbe stato meglio lasciarmi uccidere.... magari avrebbero fallito ed io avrei potuto riposare tranquillo. Ma il mio istinto di sopravvivenza, sempre più forte di qualunque mio ragionamento, mi fece rialzare e seguire il piano, roboticamente, senza un pensiero logico a parte la volontà cieca di fuggire da lì.

Radunai pochi abiti da babbano, qualche strumento magico indispensabile, la bacchetta nuova che avevano fatto fare per me, visto che la mia era stata spezzata al mio funerale, tutti i soldi che riuscii a trovare e me ne andai via, dando fuoco al castello, per cancellare ogni traccia. Girai le spalle a quel rogo e mi inoltrai nella foresta.

Arrivai ad un villaggio babbano, nel cuore della Russia occidentale. Presi il primo treno che trovai, scoprendo solo sopra che avevo preso la transiberiana diretta in Cina

In viaggio

Sul treno verso la Cina mi ritrovai ad avere un deja vù.... avevo gia viaggiato, su quel treno, più di cinquant'anni prima

Ho sempre amato viaggiare. Il primo viaggio lo feci un paio d'anni dopo aver finito Hogwarts... girai il mondo, letteralmente. Sparii dall'Inghilterra per una decina d'anni, andai in cerca di adepti, di potere, di magia oscura ovunque la trovassi. Viaggiai tra i babbani e tra i maghi, pieno di rabbia, di ambizione.

Ma vi furono luoghi che mi conquistarono.

La Cina, il Giappone, con le loro tradizioni antichissime, con maghi di incredibile potere e scuole di magia come non mi immaginavo nemmeno esistessero. Mi fermai un paio d'anni in Cina, imparando la lingua e gli incantesimi più potenti.

Andai in India, e rimasi freddo di fronte ad una spiritualità tanto aperta e tollerante... ma trovai anche là tracce di magia oscura e dimenticata, di cui feci presto ad appropriarmi.

Imparai la magia nera dagli sciamani africani, esplorai l'Egitto in cerca di vecchie pergamene, scesi in tombe etrusche e greche a caccia di saperi antichi e dimenticati.

Girai l'America dal Sud al Nord, esplorando le foreste, inseguendo spiriti e demoni ancestrali. Conobbi sciamani di tutti i popoli, dal polo sud al polo nord.

Credo che nessun mago prima e dopo di me abbia girato e cercato tanto. Cercavo qualcosa che mi rendesse immortale, lo confesso. E la sola magia che mi soddisfacesse rimase quella degli Horcrux. Ma non perché non ce ne fossero di migliori. In realtà trovai in tutte le culture modi per diventare immortali, più o meno efficaci. Pensai addirittura di farmi vampirizzare, per un po', ma conclusi che l'immortalità post mortem ed il rischio di esser battuto tanto facilmente da una croce e da un raggio di sole non mi attirava.

Gli Horcrux.. soddisfacevano la mia sete di crudeltà. L'idea che gli omicidi che commettevo potevano servire a farmi diventare immortale appagava la mia sete di vendetta verso il mondo, il mio odio, la rabbia che mi portavo dentro. Tornare in Inghilterra carico di quel potere, di quell'odio, di quelle conoscenze, accrebbe il mio desiderio di prendere il potere su coloro che più di tutti mi avevano umiliato. Volevo prendere il sopravvento sul mondo magico inglese per potermi manifestare ai babbani e sottometterli, tutti, per punirli di avermi trattato come un reietto, come un rifiuto della società. Perché ero orfano, e perché ero diverso.

La società degli anni trenta e quaranta in cui ero cresciuto era ferocissima verso gli emarginati... ed esser mago e orfano significava non esser altro che un diverso da lasciarsi dietro, senza possibilità di redenzione. Ed io non la volevo, non volevo redenzione, volevo affossarli tutti, volevo vendicarmi, sterminare tutti quelli che mi avevano sottovalutato e dimostrare a loro chi ero veramente, quale errore avevano fatto a credermi solo un reietto, un inutile rifiuto della società, un mostro. Fu così che divenni un mostro anche peggiore. Un demone, nemmeno più umano.

Ed ora mi ritrovavo sullo stesso treno del mio primo viaggio, a cinquant'anni e più di distanza, a guardare il mondo con occhi totalmente nuovi. Nessun odio a mordermi, a muovermi, nessuna rabbia. Ero vuoto, totalmente. Nessuna emozione, completamente apatico, emotivamente azzerato dalla rinascita e da quello che avevo dovuto fare per fuggire e riguadagnarmi la libertà. Non mi era poi difficile far pace con tutti i morti che avevo lasciato dietro di me, ci ero abituato, in qualche modo... era come un dazio da pagare per lasciarmi alle spalle la mia vita precedente. Uccidere da assuefazione, dopo un po' non ti rendi più conto di quanto sia devastante, per cui non mi sentivo particolarmente appesantito dalla colpa.

Ad annichilirmi era la sensazione di vuoto che provavo verso me stesso. Non sentivo più nulla, ambizioni, desideri, emozioni. Nulla. Quando scoprii di essermi guadagnato anche un compagno di viaggio restai freddo... eppure fu determinante, per il resto della mia nuova vita.

Un elfo. Cletus, si chiamava, era di servizio al castello di Anyanka. Quando avevo dato fuoco alla villa, la famiglia di elfi era fuggita, tradizione vuole che quando i membri di una famiglia magica muovono tutti, gli elfi che li servono tornano liberi, per cui Cletus era libero, di fatto... ma scelse di seguirmi.

Era quello cui Anyanka aveva deputato le mie cure. Mi portava la colazione, mi serviva, mi seguiva... ed era uno strano elfo, me ne ero già accorto. Mi guardava con una sorta di ironica benevolenza, quando lasciavo in giro la roba, mi decorava il cibo con ghirigori a forma di serpente, mi lasciava biglietti per informarsi dei miei gusti in fatto di cibo e mi chiedeva piccole cose. Pensavo lo facesse per diventare semplicemente un servitore migliore, ma scoprii dopo che mi stava studiando più attentamente dei suoi padroni e mi aveva capito meglio di loro. I ghirigori che scambiavo per serpenti erano punti interrogativi. Aveva intuito i miei dubbi e cercava di farmelo sapere. Mi aveva sentito piangere, quelle prime notti, e non capiva che avessi da piangere se ero come dicevano il più grande e pericoloso mago oscuro del mondo. Come gli animali, aveva interpretato correttamente il mio linguaggio corporale, ed aveva capito che non ero affatto felice di esser tornato... e non volevo farlo capire agli altri.

Non rimase per nulla scosso quando uccisi i suoi padroni, e quando si fece vedere, in treno, mi ringraziò per aver liberato lui e la sua famiglia da padroni così cattivi. Cercai di cacciarlo, ma lui si mise a ridere.

“Cletus è un elfo libero, Signore.. non potete ordinarmi nulla.” disse. “Voglio seguirvi nel vostro viaggio perché mi va di farlo.. e non potete impedirmelo.” concluse incrociando le braccia e guardandomi con aria di sfida.

Restai a guardarlo, stupito. Riflettei.. ricordavo il ruolo che avevano avuto gli elfi nella battaglia finale di Hogwarts... e dai racconti dei nuovi seguaci avevo compreso di avere molto sottovalutato la magia e le caratteristiche di questa razza magica.. pensai che potevo capire meglio i miei errori del passato se me lo portavo dietro e decisi che tutto sommato non mi cambiava nulla, se questo elfo voleva seguirmi a tutti i costi.

Quanto mi sbagliavo...

Cominciò a prendersi cura di me a modo suo, lanciandomi occhiate ironiche, commentando la mia attitudine al disordine, permettendosi spiritosaggini che non si sarebbe mai permesso se fosse stato il mio servo. Trattandomi come un suo pari. Anzi, pretendendo che io lo trattassi come un mio pari.

Pian piano all'irritazione subentrò il divertimento. Era come avere un grillo parlante, una scimmia curiosa e dispettosa, capace di parlare e di indispettirsi. Era capace di sparire per giorni, se rispondevo male, per poi farsi vedere con aria offesa e facendomi dispetti. Non sono mai riuscito a capire completamente perché si sia attaccato tanto a me, se non pensando che mi trovava tutto sommato divertente.. aveva una strana indole avventuriera, quell'elfo. Si spaventava per i botti, i tuoni, i rumori forti, ma era capace di affrontare le bestie feroci come fossero gattoni. Quando arrivammo in Cina, scoprendo che parlavo mandarino, mi guardò ammirato, annuendo come se avesse avuto conferma di essersi scelto davvero il compagno di viaggio giusto.

Scendemmo dal treno in Mongolia. Volevo rivedere la steppa, bermi i cieli infiniti, il deserto silenzioso, la solitudine del nomadismo... avevo una vecchissima conoscenza da andare a trovare, uno sciamano di 200 anni.. e scoprii che era morto, lasciando il suo posto ad un giovanotto che mi guardò con sospetto, quando gli dissi di averlo conosciuto tanti anni prima. Mi resi conto che il mio aspetto era troppo giovanile, per poter esser credibile.. e compresi che non avrei mai più potuto entrare direttamente in contatto con persone del mio passato. Da una parte non mi avrebbero riconosciuto, dall'altra non avrei potuto spiegare il mio aspetto, ancora così tanto giovanile.. e tutto sommato era una buona cosa. Avevo la possibilità di guardarmi da lontano, ripercorrere la stessa strada e vedere le stesse cose con occhi nuovi.

Ripartii quasi subito, diretto in India. E stavolta il buddismo mi toccò profondamente. Mi trovai a pregare in un tempio, inondando il mio volto di lacrime di fronte a mille altri in preghiera, tanti in lacrime come me... e pregai, fino a quando la preghiera stessa non mi consolò, in qualche modo, non so come.

Uscii da quel tempio antichissimo respirando aria nuova. Una fiammella di emozione mi si era riaccesa dentro, e me la tenni stretta, riscaldandomi come potevo ad essa, senza sapere che cosa fosse.

Forse fu quella sera che risi per la prima volta, trovando il piatto decorato da Cletus. Aveva preparato un semplice piatto di riso al curry e con la salsa ci aveva disegnato sopra un OHM. Mi fece ridere, non so perché. Il piccolo elfo apparve con la faccia sbalordita di fronte a me, mi guardò esterrefatto e poi rise anche lui.

“Cletus non credeva che eri capace di ridere, Signore!” mi disse. Batté le mani, soddisfatto, e da allora l'OHM è diventato una strana specie di codice, tra me e lui.. me lo lascia disegnato sul piatto, in un angolo, quando mi vede triste, e riesce sempre a strapparmi un sorriso. Da allora il piccolo elfo si prese come compito supplementare quello di farmi ridere, il più spesso possibile.

Non so quante volte gli ho visto fare giochetti e piccoli dispetti ai babbani, nelle situazioni più strane, solo per farmi ridere nei momenti meno opportuni. Senza capire come, senza sapere perché, quella creatura è diventata il mio primo amico, da quando era morto il mio compagno di orfanotrofio in poi.

Abbiamo rifatto insieme il giro del mondo.. sono tornato con lui nei luoghi che avevo visitato decine di anni prima, riguardando tutto con occhi totalmente diversi.. e quella fiammella che avevo acceso in quel tempio ha continuato ad ardermi dentro, a crescere, fino a diventare un fuoco capace di scaldarmi.

Quando arrivammo a Nantucket e vidi il faro... non fu difficile decidere di fermarmi. Era perfetto. La solitudine del mare, un impegno semplice ed ordinario, l'anonimato babbano.. e la lontananza dall'Inghilterra, a cui non riuscivo a pensare di tornare.

Ma fu Cletus a farmi decidere. Quando salimmo sul faro fece una cosa che non dimenticherò mai. Si mise a guardare il mare, ridendo come un matto. Indicava qualcosa di lontano, che ancora non vedevo. La vista degli elfi è più acuta di quella umana, e dovetti aspettare qualche minuto, prima di vederle. Le balene. Non so quante, un branco intero, che nuotavano e spruzzavano alti soffi di acqua, e si tuffavano a ripetizione, come se stessero giocando. Restammo a guardarle, per ore, con il piccolo elfo che schiamazzava ammirato. Non aveva mai visto dei cetacei, in vita sua, e ne fu estasiato, per qualche misteriosa ragione. Quando presi accordi per fermarmi, convincendo con mezzi magici il responsabile del faro che ero la persona più adatta, per la prima volta da che ci conoscevamo, il piccolo elfo mi buttò le braccia al collo e mi ringraziò, come se avessi fatto un favore a lui, a fermarmi lì. Ebbe modo di cambiare idea alla prima tempesta, quando le onde ed i tuoni si scatenarono in una furia mai vista attorno al faro, ma credo che le giornate di luce e di grandi cieli che si trasformano davanti ai nostri occhi lo ripaghino abbondantemente delle notti passate rifugiato a tremare sotto il mio letto.

Spesso, quando per calmarmi mi siedo in veranda a guardare il cielo ed il mare, lasciandomi annichilire dalla loro immensità, permettendo allo spazio che essi rappresentano di dare nuove e minori proporzioni a tutti i sentimenti fin troppo dirompenti che ho reimparato a provare, lo scopro accanto a me, seduto per terra, che guarda il panorama sognante. Quando si accorge che lo sto guardando, mi ricambia lo sguardo, si ricompone e mi guarda un po' meravigliato es un po' offeso, come se non mi rendessi conto che è là fuori, lo spettacolo migliore, non certo lui. Ma io non ho il coraggio di spiegargli che lo guardo perché mi fa tenerezza. Perché quel piccolo elfo è stato il primo vero affetto che ho trovato in vita mia, e poter condividere con lui quei panorami è la cosa più bella che conosco.

Lucius Malfoy

Lord Voldemort guardò il libro bruciare nel camino, furente. Lucius Malfoy.... se lo ricordava bene, fin dai primi loro incontri. Altero, sprezzante, affascinante. Strano a dirsi, ma lo aveva sedotto, in qualche modo, con i suoi modi da vecchia nobiltà inglese, il tono sempre basso e calmo di parlare, gli sguardi carichi di sottintesi, il senso di superiorità che emanava. Lo invidiava, in una certa misura. Lucius aveva per nascita ciò che Voldemort non aveva ed era convinto gli spettasse in misura anche maggiore, visto il suo potere, viste le sue ascendenze. Adorava intimorirlo, i primi tempi. Dimostrargli quanto potere detenesse era un modo per vendicarsi per la palese differenza di casta tra loro due. Quando aveva visto finalmente la giusta misura di timore e rispetto negli occhi del mago, aveva smesso di infierire, ma lo aveva sempre tenuto d'occhio.
Non riusciva a fidarsi. Non solo di lui, non si fidava di nessuno di loro.
Forse solo di Severus, per qualche momento. L'odio che percepiva nel mago verso il mondo era troppo spiccato, troppo tenace per non esser vero. Un velenoso misantropo, con pochissima compassione verso il resto dell'umanità, questo era Severus, e lo capiva meglio.
Lucius era invece una specie di enigma. Adorava essere al centro dell'attenzione, sapeva sedurre, essere amabile... se lo ricordava nelle riunioni dei mangiamorte, mettersi in mostra per dimostrargli che era meglio degli altri, sorridere con superiorità agli altri mangiamorte, sorridere amabile e fasullo a lui.
Sapeva che gli mentiva il più delle volte, lo sapeva benissimo.
Non c'era un solo pensiero, una sola emozione di quegli uomini e quelle donne che gli sfuggisse, e quanto aveva adorato giocarci. Nessun marito osava opporsi al fatto che lui ne seducesse le mogli. E le donne si contendevano i suoi sguardi gelidi, il suo tocco indifferente, i suoi rari favori sessuali. Non era interessato al sesso, all'epoca, se non come mezzo magico, per evocare ancora più potere quando era necessario. Manipolava le menti e le emozioni di quel gruppo di seguaci per il solo piacere di farlo.
Sia la prima volta che era tornato, che la seconda, era rimasto freddo di fronte ai propri seguaci, nessuna emozione lo aveva toccato. La prima volta solo la rabbia, perché nessuno di loro lo aveva cercato, pur avendo loro detto che non sarebbe stato battuto nemmeno dalla morte. La seconda volta, leggere la storia di Potter, farsi raccontare cos'era successo da coloro che incautamente lo avevano riportato in vita, non lo aveva toccato. Scoprire il tradimento di Severus lo aveva lasciato freddo, in un certo modo se lo aspettava, lo aveva messo in conto, che ci potevano esser traditori tra i suoi seguaci. Aveva solo sempre pensato che lo temessero troppo per osare veramente farlo, ma non che non lo avrebbero pensato o desiderato.
Ma il tradimento postumo di Malfoy era troppo. Troppo subdolo, troppo infame per perdonarlo. La decisione era già presa.
Si vestì, preparò di nuovo una borsa da viaggio, creò una passaporta e si materializzò poco lontano da Diagon Alley.
Prese alloggio in un albergo babbano, dove poteva passare maggiormente inosservato, poi andò alla libreria magica, a cercare se vi fossero altri libri dello stesso “autore” che non fossero giunti al di là dell'oceano. Non ve n'erano altri, per la fortuna di Malfoy.
Il passo successivo fu attendere la notte. Si materializzò poco lontano dalla Malfoy Manor, dal lato sud, dove era celato l'accesso segreto, da cui entrava ed usciva ai tempi della guerra magica. Le misure di sicurezza rinnovate non potevano fermarlo e rise quando vide il nuovo guardiano della porta. Un serpente, un cobra velenosissimo, incantato per sembrare una decorazione, ma vivo e vegeto. Doveva davvero esser convinto di non correre più alcun pericolo da parte sua, se aveva osato mettere semplicemente un serpente a guardia di quell'entrata. Mormorò alcune parole in serpentese, allungò la mano verso l'animale e questo scivolò sul suo braccio, docile, salutandolo con piccoli tocchi della lingua che lo saggiava, e gli rispose ringraziandolo per averlo liberato. Lord Voldemort lasciò che il serpente gli si arrotolasse dolcemente attorno al collo, quindi aprì la porta e si nascose in uno dei corridoi segreti della Manor, sbirciando al suo interno attraverso i numerosi spioncini che la traforavano. Vide infine la famiglia riunita per una cena, a quanto pareva Draco aveva avuto un nuovo rampollo per proseguire la stirpe...
Li guardò con irritazione crescente inorgoglirsi per la loro razza, la loro famiglia che cresceva, il nome che proseguiva... e la tentazione di entrare ed ucciderli tutti era sempre più forte, sempre più pressante, ma non era quello che voleva veramente.
Non era lì per il resto della famiglia, era lì per lui, per Lucius.
Attese, tenendo faticosamente a bada l'impazienza, la rabbia, carezzando distrattamente il cobra che si scaldava contro il suo corpo, avvolto al collo, finchè la giovane coppia non si decise a tornare a casa e Narcissa andò a dormire, lasciando Lucius, come al solito, nello studio, a leggere e bere l'ultimo bicchiere di vino elfico, come d'abitudine.
Si materializzò davanti all'amico di un tempo, godendosi lo sgomento che lo colse a vederlo. Era come se vedesse un fantasma e non era tanto lontano dalla realtà.
"T-tu..."
Biascicò. dopo un tempo infinito, artigliando i braccioli della poltrona, pallidissimo.
"Io, si. In carne ed ossa, nel caso avessi il dubbio" rispose asciutto.
"Ma non... non è possibile.... sei morto... morto!"
"No." Si sedette di fronte all'altro, fece apparire un bicchiere e si versò un sorso di vino. "Non più. Sono vivo e vegeto."
"M-mio signore..." cominciò a dire, con il sudore che imperlava la fronte pallida, scorrendo anche lungo i capelli ormai quasi più bianchi che biondi.
Lord Voldemort alzò uno sguardo feroce sull'uomo, interrompendo qualunque cosa che potesse dire.
"Non mi chiamare così, Lucius. Non sono più il Signore Oscuro a cui hai giurato fedeltà, visto sopratutto quanto poco conta la tua fedeltà..."
"Sig... io... " il mago si passò una mano sul volto, guardandosi attorno, come in cerca di aiuto. Era convinto di dover morire, e si vedeva chiaramente. "La mia f... io credevo foste morto per sempre..."
"Lo pensavo anche io, Lucius..." disse assaporando il vino "Non sono tornato di mia spontanea volontà in vita, questa volta"
"I russi..." disse il mago, alzando lo sguardo timoroso sul Signore Oscuro, in quel momento più tenebroso che mai. "Ma so che sono morti, tempo fa..." restò senza fiato, a guardare Voldemort, con un lampo di comprensione negli occhi.
Voldemort annuì, senza aggiungere altro. Lo fissava, gelido, lasciandolo torturarsi dalla paura, dal dubbio, godendosi il suo disagio. Quanto era familiare e piacevole quella sensazione di potere, di dominio, su un mago così potente ed un uomo così arrogante come Lucius.... fin troppo, decise.
"Non sono tornato per riprovarci, Lucius." disse, osservando l'altro respirare profondamente alle sue parole. "Non sono più interessato a quello, no." Tacque, pensieroso. "Non sarei nemmeno venuto a cercarti, se non fosse stato per questo."
Estrasse la copia del libro che aveva ricomprato nel pomeriggio, prima di andare alla Manor, e la posò sulla scrivania presso la quale sedeva l'amico, che impallidì ancora di più. I suoi occhi saettavano dalla copertina al mago oscuro seduto di fronte a lui, e le mani cominciarono a tremargli.
"Io.. non volevo offenderti.. pensavo fossi morto..."
"Lo hai già detto, Lucius... cosa pensavi, dimmi, allora? Di farti i soldi sbertucciandomi? E senza nemmeno rimetterci la faccia, visto che non hai nemmeno avuto il coraggio di metterci il tuo nome."
Il mago biondo pareva respirare a fatica, si guardava attorno smarrito, senza sapere che dire.
Guardandolo Voldemort sentì sbollire la propria rabbia omicida. Bastava la sua sola presenza a far morire di paura quell'uomo, e ne provava talmente tanto orrore che la voglia di ucciderlo lentamente si assopì. Poteva quasi capirlo. Aveva vissuto nella paura, e quando lui era morto, aveva cercato di liberarsi del passato, raccontandolo.. e cercando una giustificazione per essersi asservito ad un uomo così crudele, così tirannico come era stato lui stesso. Ora lo capiva. Portò una mano al collo, a carezzare ancora il serpente, che si mosse sotto la sua mano per incontrarla e scaldarsi ad essa.
Il silenzio si protrasse a lungo, finchè Lucius ebbe il coraggio di fare la sola domanda che gli stava a cuore.
"Mi vuoi uccidere?"
Voldemort lo guardò intensamente, prima di rispondere.
"No. Non più. Non sono tornato per riprovarci.. e nemmeno per cercare vendetta. Altrimenti sarei tornato da te prima."
Il mago sospirò, accasciandosi sulla sedia. Sembrava così vecchio... molto più vecchio di lui, cui la seconda resurrezione aveva dato un aspetto ingannevolmente giovanile.
"Da quando..."
"Da un paio d'anni, circa." rispose, senza lasciargli terminare la domanda.
Malfoy allungò una mano, a prendere il bicchiere, ma tremava ancora tanto che quasi lo lasciò cadere.
"Ma non stai in Inghilterra... " chiese, dopo esser riuscito a bere un sorso.
"No. E non ho intenzione di dirti dove sto. Voglio solo avvertirti, Lucius. Non incrociare mai più la mia strada, nemmeno sotto falso nome." Lo fissò, glaciale. "Sei rimasto solo tu a poter riconoscere la mia faccia, gli altri sono morti. Vedi di sopravvivere a questa informazione. Se dovessimo mai incrociarci di nuovo, non ci siamo mai conosciuti, prima." Alzò la bacchetta, pronunciando a mente un incantesimo.
Una Traccia. Se il vecchio mangiamorte avesse mai osato pronunciare il suo nome, o scriverlo o altro, lo avrebbe saputo immediatamente. Il mago impallidì, senza sapere che cosa aveva fatto, ma comprese immediatamente.
"Non temere... nessuno saprà mai nulla di questo incontro. O che sei vivo. Nessuno, puoi credermi."
Lord Voldemort annuì, alzandosi.
"Non ho bisogno di crederti, Lucius. Lo so."
Pronunciò alcune parole in serpentese, mentre si toglieva il serpente dal collo, dicendogli di uccidere il mago, se lo avesse sentito pronunciare il proprio nome.... e lo posò sulla poltrona su cui era seduto.
Tornò a dare un'altra occhiata al mago, ancora seduto e tremante, quindi sparì in uno sbuffo di fumo, con un sonoro pop.

Riapparve in strada, guardò un'ultima volta nella sua vita Malfoy Manor, e non ci tornò mai più.
Tornato in albergo, a tarda notte, osservò a lungo le strade che si svuotavano, ripensando all'incontro. Aveva davvero pensato di ucciderlo... e non lo aveva fatto. Una volta lo avrebbe fatto senza nemneno pensarci, senza lasciare il tempo all'altro di parlare, a parte le urla che avrebbe emesso sotto i suoi Cruciatus. Era davvero cambiato, e stava diventando qualcos'altro. Non sapeva ancora cosa, ma la strada era ancora lunga, per saperlo. Ed ora voleva solo tornare a casa.
Al faro.

In giro per la città

Girava per casa, senza meta, finché non si decise a fare un giro a Lantern Square, così si chiamava l'omologo locale di Diagon Alley, per distrarsi un po'.
Il quartiere dei maghi di Nantucket era diverso da quello londinese: più ampio, per cominciare, ed aveva un aspetto più selvaggio, più marinaresco. Stranamente i maghi erano meno pittoreschi, in qualche modo assomigliano di più ai babbani del luogo.
Voldemort aveva già notato diverse volte di quanto fossero diversi i maghi americani rispetto a quelli inglesi, sono meno tradizionalisti, e la cosa un tempo lo infastidiva, ma ora non più. Anzi, quasi lo rilassava.
I negozi avevano comunque le stranezze tipiche del mondo magico: il mago si fermò a lungo davanti alla vetrina di un rigattiere che vende roba vecchia i cui incantesimi stavano cominciando a impazzire: teiere autoriscaldanti che rifiutavano l'acqua, tazzine che litigano con i cucchiaini, cravatte che si annodavano da sole ma solo a fiocco, scatole portagioielli che facevano sparire i gioielli per rimpiazzarli con sassi di fiume, portacappelli che trasformavano i cappelli in parrucche... il mago guardò a lungo divertito un baule che si apriva e si richiudeva, mostrando sempre un contenuto diverso, bagagli appartenuti a maghi di diverse epoche e di diversi luoghi del mondo, prima di decidere di comprarlo e vedere che cosa riusciva a tirarne fuori.
Girò ancora per il quartiere, ammirando il negozio di animali dove vendevano puffole colorate, barbagianni, creature magiche di ogni genere, meditando se comprarsi un gufo o un barbagianni, ed optando per quest'ultimo dopo averne visto uno particolarmente maestoso.
La libreria ovviamente attirò più di tutti la sua attenzione. I libri sugli scaffali erano tantissimi, era anche più fornita dell'omologa inglese, fornita di libri che nell'altra non vengono venduti, di magia piuttosto oscura... ma il mago li ignorò. Si fermò d'un tratto davanti ad uno scaffale... pieno di sue biografie.
Restò di ghiaccio. Per quanto fosse ovvio che lo avrebbero fatto, mai avrebbe pensato che qualcuno potesse scrivere di lui, oltre alla storia, per altro molto malamente rimaneggiata, che ne ha scritto Potter con quella scrittrice babbana.
Contò i volumi, ben 14. Li sfogliò, molti dicevano solo sciocchezze che incensavano Potter, e vistose inesattezze su di lui. Li scartò con fastidio, ma un paio...
Li portò alla cassa, ed il commesso li commentò mentre glieli faceva pagare.
"Ottimi libri, sa? Descrivono bene che razza di uomo doveva essere... un pazzo maniaco, ma peccato, così tanto potere in mano ad un tizio così fuori di testa!"
Voldemort guardò il commesso, con la tentazione di fargli rimangiare le parole a suon di crucio... ma qualcosa si mosse in lui e si trovò a sorridere.
"Già... chissà che sarebbe diventato, se non avesse voluto conquistare il mondo, eh?"
"Veramente! dicono fosse potentissimo! ma lei che è inglese, ne sa magari anche più di me... "
"Io? No, ero in giro per il mondo sia la prima volta che salì al potere che quando è tornato... ne so solo per sentito dire."
Sorrise, guardando la propria foto in copertina di uno dei libri. Era sorprendente come non lo riconoscesse più nessuno, da quando il suo volto era tornato integro.
"Meno male, buon per lei! buona lettura allora, signor.. signor?" chiese il commesso.
Lord Voldemort alza lo sguardo. "Crowley! Tom Crowley!" rispose, senza nemmeno pensarci.

Tornato a casa, si mise in veranda a leggere, con un tazzone di te accanto, la vista piena sul mare ed il pacchetto di erba pipa accanto.
Cominciò a leggere il primo, che praticamente conteneva le stesse cose raccontate da Potter, ma con un tono più giornalistico. Niente di speciale. Fu il secondo a lasciarlo di stucco. Scritto evidentemente da un mangiamorte che doveva conoscerlo anche piuttosto bene, da come ne parlava e da cosa raccontava. Particolari inediti, che nessuno a parte pochissime persone potevano sapere. L'autore si firmava Larry Williams, ma non ci sono mai stati mangiamorte con quel nome... era evidentemente uno pseudonimo. Lesse avidamente, fino ad un episodio che lo folgorò. Perché coloro che vi avevano assistito erano tutti morti, alla battaglia finale di Hogwarts o pochissimo dopo. Il solo sopravvissuto era il solito, infingardo, viscido Lucius Malfoy.
Folgorato, Voldemort rilesse dei passaggi, riconoscendo lo stile di scrittura, l'intercalare, la punteggiatura... sì, non poteva che esser lui, l'amico di un tempo. il traditore. Forse il peggiore, anche più di Piton, di cui aveva scoperto il tradimento al suo ritorno in vita. Ma almeno era stato un nemico all'altezza, un traditore di razza. Malfoy si era solo dimostrato un subdolo opportunista, pronto a stare sempre e solo dalla parte dei vincitori...
Voldemort restò di sasso, e poi si senti invadere da una furia omicida. Quel bastardo aveva raccontato la sua infanzia, la sua vita... tutto quello che sapeva di lui. E ne sapeva veramente tanto, persino più di quanto Voldemort stesso sospettasse.
Si alzò furibondo, sbattendo il libro per terra, andò al balcone a guardare il mare, il cielo, cercando di calmarsi.
Non aveva cercato che pochissimi dei vecchi mangiamorte, da quando era tornato.
Dolohov, il vecchio, era morto. Il giovane era un fanatico nostalgico che era meglio evitare, si sarebbe aspettato anche lui che tornasse alla carica per conquistare il potere nel mondo magico, e non voleva più farlo. I Rookwood ancora vivi erano ad Azkaban, come molti altri.
Lucius Malfoy era sempre allo stesso posto, sorprendente. Arrogante, arroccato nella sua villa, ricchissimo, sempre immanicato come un mafioso. Voldemort lo aveva evitato di proposito, era uno dei pochissimi sopravvissuti tra i mangiamorte a poterlo riconoscere guardandolo in viso, visto che si erano conosciuti proprio quando il Signore Oscuro aveva ancora quella faccia. Ne aveva viste delle foto sulla Gazzetta del Profeta, identico, anche se palesemente invecchiato. Aveva deciso di non andarlo a cercare, sotto sotto pensava che avrebbe persino potuto venderlo al ministero, per salvaguardare la propria posizione... visto che la moglie lo aveva tradito per salvare il figlio. Quel ragazzetto, che ora occupava un posto al ministero, sempre obbediente ai voleri del padre, sposato per interesse ad una fanciulla di origini nobilissime, come lui.
Voldemort si era stupito di provare un enorme fastidio a leggere la notizia del matrimonio del ragazzo, della loro perpetua arroganza legata alla stirpe, alla tradizione. Un tempo lontano ci credeva, era la sola cosa che contasse, per lui, ora, proiettata su quel viscido opportunista, lo disgustava. Si rese conto, leggendo articoli su quello che riteneva un amico, che non era mai stato altro che un laido voltagabbana, pronto a stare dalla parte del potere, e non un vero seguace della causa.
Ma quale causa, poi?
Ogni volta che ci ripensava, Voldemort si sentiva svuotato. Niente pareva avere più senso, nulla.
Ma ora... vedersi mettere così in piazza da quel figlio di puttana lo faceva ribollire. Che diritto aveva di farlo?
Si girò nuovamente a guardare il libro, accartocciato per terra. Lo risollevò, lo rilesse, cercando di andare oltre le notizie, interpretando il tono, la volontà con cui era stato scritto. Quello che trovò era anche peggio, c'era un tono quasi di pietà, commiserativo. Come dire, poveretto, era tanto cattivo perché lo avevano maltrattato da piccolo. Era uno sfigato che cercava un posto nel mondo che non aveva, e pensava di poterselo guadagnare con la sopraffazione, mentre la nobiltà è altro.
Scagliò nuovamente il libro lontano, direttamente nel camino acceso, stavolta. Lo guardò bruciare, pensando di andare a far fare la stessa fine anche a quel pezzente arrogante del suo ex amico.
Se lo ricordava, le prime volte che lo aveva conosciuto. Pieno di adulazione, ossequiente... erano diventati amici, quanto poteva esserlo all'epoca Lord Voldemort con un qualunque essere umano, visto che non riusciva più a provare altro che disprezzo per l'umanità, da lungo tempo, da quando si era visto dividere l'esistenza tra il rispetto dei maghi a Hogwarts, per le sue indiscutibili capacità magiche, ed il disprezzo ancora più evidente dei suoi compagni di orfanotrofio, che anno dopo anno lo vedevano tornare sempre più diverso da loro.