lunedì 21 dicembre 2009

Love will tear us apart

L'amore certo... è con quello che dicono di avermi sconfitto. L'ho letto in tutti i libri, i saggi, i romanzi, gli articoli che hanno scritto sulla mia sconfitta. Io ancora ne dubito, onestamente. Io so bene com'è andata la battaglia finale, e non ho visto esplosioni d'affetto, ma errori tattici e tradimenti. E non basati sull'amore ma sull'opportunità del momento. Anche quello di Narcissa Malfoy, che mi ha taciuto la sopravvivenza di Potter, era un modo per schierarsi dalla parte del vincitore. Se quel ragazzino mi era sopravvissuto di nuovo allora non avevo speranze di vittoria. Tutto qua, ha pensato solo questo. E non crediate che non sappia che amava suo figlio, ma io so di quale amore si trattava, ero lì, li ho visto i Malfoy insieme. Draco era un possesso, un bene da gestire correttamente. Non un figlio. Non una persona da amare. Lo nutrivano di abiti e galeoni e senso di superiorità, ma non c'entrava un accidente l'amore. Come faccio a saperlo? Sono stato infelice tutta la mia infanzia ed adolescenza, so riconoscerne le tracce sul viso delle persone, tutto qua. Mi è bastato guardare Draco in faccia un paio di volte, quando pensava che nessuno lo guardasse per capirlo, osservare come guardava i genitori, per comprendere. Le ho già viste quelle facce, ad Hogwarts. Serpeverde è piena di gente con quello sguardo negli occhi. Sono riuscito ad irretirli perché nel mio desiderio di dominio c'era la vendetta verso genitori che chiedevano troppo. Quest'orfano rabbioso offriva più potere, più autostima di tutti i discorsi di quei padri aridi e boriosi che si aspettavano troppo da figli inetti o banalmente nella media. Altro che amor familiare... quante palle che raccontano sotto questo nome. E vogliono far credere al mondo che io sia stato battuto dal fatto di non saper amare. Ma che ne sanno. Che ne sanno del fatto che io non abbia mai amato. Anche prima, certo.
Una volta ho amato, nella mia adolescenza. Mi sono innamorato di... ah, chi lo sa se lei ha mai avuto il coraggio di confessarlo, di aver amato niente meno che Tom Orvoloson Riddle, da ragazzina. Non ci credo, no, non avrebbero scritto tutte quelle stronzate se lo avessero saputo.
Di chi parlo? Di Minerva McGrannitt, naturalmente. Me ne sono innamorato a tredici anni, ma voi non immaginate che bella era a quell'età.
Aveva un anno più di me, e non mi guardava di striscio, ovviamente. Ma l'anno successivo si accorse di me... ero cresciuto di 15 centimetri, non avevo ancora ucciso i miei parenti e cominciavo a sperimentare il potere della seduzione... la incantai. Non letteralmente, non sarebbe stato facile nemmeno allora, con una strega della sua bravura. Era eccezionale, veramente. Ed aveva uno sguardo dolcissimo, molto lontano dalla severità che ebbe per il resto della sua vita adulta. La sedussi, e me ne innamorai ancora di più. Ma non glielo dissi mai, questo fu il problema. Non ebbi mai il coraggio di farlo, sapevo di amarla ma non volevo darle il potere di ricattarmi con questo. E la feci soffrire orribilmente, soffrendone a mia volta. Decisi io di lasciarla. Le avevo imposto la segretezza sul nostro rapporto, non era il caso di far sapere che il più bravo dei serpeverde stava con la miglior grifondoro.
Ci spezzammo il cuore a vicenda, ed io non lo risanai mai più. Me lo impedii. Volevo ricordare quanto faceva male amare, per non ricaderci mai più. Ci riuscii. Ebbi molte amanti, ma non ne amai nessuna.
Finché... con il mio terzo ritorno tutto è cambiato, mio malgrado.
Mi sono ritrovato a chiedermi che avevano così ostinatamente da straparlare dell'amore, coloro che mi avevano vinto. Li ho letti, li ho studiati nelle foto delle loro opere, nelle interviste che hanno dato ai giornali, alla mia morte.... e li ho trovati affranti, feriti, devastati da tutte quelle morti. Il loro amore era la capacità di soffrire per coloro che avevano perduto? Per quello mi avevano battuto? Ma che senso aveva? Sapevano combattere e soffrire per coloro che amavano.. che senso ha? Io ho combattuto strenuamente per ambizione, rabbia, desiderio di vendetta, e se sono stato sconfitto è stato per una serie di errori di valutazione, non per mancanza d'amore. O perché non fossi capace di soffrire. Quello lo so fare splendidamente bene da quando ho memoria. Non esiste giorno nella mia mente in cui questa consapevolezza non sia presente.

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Amore... ho provato a cercarlo, lo confesso. Quando ero in giro per il mondo con Cletus mi sono accorto che le donne mi notavano per il mio aspetto, e la cosa non smetteva di sembrarmi buffa. Non ho mai badato al mio aspetto, accorgermi di esser considerato attraente mi fa ridere a crepapalle, per quanto sia vero. Assomiglio a mio padre, che era universalmente considerato un bell'uomo. Molte donne mi hanno fatto capire che gli assomiglio molto, in questo. Ma mi sono sempre tenuto a distanza, fino a quella volta in Messico...
Ero in cerca di ricordi, seguivo distrattamente una compagnia di turisti new age, guidati da una svitata che parlava di energie della terra e intonava mantra inneggianti all'amore universale, con la compagnia che la seguiva estasiata. Una delle donne che la seguiva mi guardava già da tempo, da quando avevo incrociato la loro strada due giorni prima, nella capitale. Eravamo alle piramidi a gradoni dei Maya, a Chichen Itza, e mi osservava, mentre cercavo di tenermi in disparte ed osservavo il paesaggio... ero già stato lì decenni prima, avevo trovato un vecchio scrigno contenente polvere magica 800 anni prima, ormai del tutto priva di potere e di valore. La loro maestra mistica sosteneva di sentire immense energie, ed io sorridevo, pensando che la sola fonte di energia magica presente ero io, ormai. La guardavo, carica di braccialetti, vestita come una vecchia hippy, che guardava tutto con occhi luccicanti, mentre lei invece osservava me, che me ne stavo in un angolo, a guardare altrove. Mi si avvicinò, chiedendomi se avevo un accendino. Si chiamava.... no, che senso ha dirvelo? Era Lei, semplicemente. Mi infilai una mano in tasca, materializzai un accendino e glielo porsi. Chiacchierammo del più e del meno, e risi, mentre mi spiegava che era al seguito del gruppetto per via di un'amica con fibrillazioni mistiche, che lei assolutamente non condivideva. Era bellissima. Mora, occhi neri, una risata contagiosa. Finimmo a letto la sera stessa, mentre la comitiva andava a percepire le energie delle stelle. Abbandonò il gruppo e l'amica la settimana dopo, venendo a cercarmi nello stesso albergo, dove mi ero fermato per pura pigrizia.
Ero a corto di stimoli e ritrovarmela davanti fu una bella sorpresa. Non mi accorsi nemmeno di quello che mi stava succedendo, lo ammetto. Era passato talmente tanto tempo da quando mi ero innamorato di Minerva che non mi ricordavo nemmeno che sensazioni dava. Mi lasciai andare, curioso, eccitato, persino felice... era come una bambina, per me.. lei non lo sapeva, ma la differenza di età era enorme, lei era appena trentenne, io ne ho più di ottanta, anche se non li dimostro affatto. I suoi entusiasmi, la sua gioia di vivere era contagiosa, esaltante, e talvolta faticosa. Cominciò a chiedermi del mio passato e dovevo fare i salti mortali per inventarmi un passato ragionevole.. inventai di essere un giornalista free lance, di viaggiare per cercare storie, di essere in crisi creativa, per cui non scrivevo... e la difficoltà maggiore era nasconderle la mia magia. Finché...
Pensavo davvero mi amasse per quello che le dicevo di essere. Una sera mi beccò ad usare la bacchetta per prendere un libro dal tavolo. Un semplice, banale incantesimo di appello. Mi guardò con occhi che brillavano.
“Lo sapevo che eri un mago. Lo avevo capito da subito.”
Restai di sasso. La guardai sbalordito. Cercai di spiegare, ma troncò ogni spiegazione con una frase che non avrei mai voluto sentirle dire.
“So chi sei, ne avevo il dubbio, ma ora l'ho capito. Sei Lord Voldemort. Non puoi essere che lui.”
Aveva un'espressione febbricitante, fanatica.
“Come puoi saperlo? Voldemort è morto, io non sono...”
“Sei tu. Lo so. Mio padre era un tuo seguace, mi fece vedere delle tue foto da ragazzo... e non mi posso sbagliare, sopratutto perché ho riconosciuto la tua magia... il tuo potere è inequivocabile...”
La guardai... e qualcosa mi si spezzò dentro, quella notte, qualcosa che non è ancora guarito.
“Sei una strega...” mormorai....
Annuì, sorridendomi.
“Si. Mio signore... sei tornato.. aspettavo ti rivelassi a me, ma non lo hai fatto ed ho pensato avessi qualche piano, per quello ho atteso e non ho detto nulla... poi ho capito che non volevi altro che una compagna... ed io ora posso essere la compagna del Signore Oscuro!”
Mi sedetti... e compresi. Non mi aveva mai amato realmente. Era innamorata della mia fama. Del mio nome. Di chi ero stato, ma di me? Non sapeva nulla, non voleva accettare nulla.
Sentii qualcosa stringermisi dentro, come in una morsa. Scossi la testa, incredulo. Mi venne accanto, convinta che io fossi sollevato che avesse scoperto chi ero.
“Io voglio stare con te, voglio che mi insegni le arti oscure... sii il mio maestro...”
La fissai... le carezzai il viso, mi persi negli occhi che credevo avessero così spesso ricambiato il mio amore.... e vi vidi solo il mio riflesso. Compresi che non avevo visto altro che quello, nei suoi occhi, quello che volevo assolutamente trovarci, ma che non c'era mai stato. Ero io ad averci proiettato qualcosa che desideravo, che bramavo. Che non sapevo di star cercando.... e che ero pronto a dare. Lei mi fissava, bramosa, ed io le carezzai il viso... senza pronunciare una parola l'ipnotizzai, e mentre le lacrime cominciavano a scorrermi sul viso, le feci dimenticare tutti i mesi che avevamo passato insieme.... il suo sguardo si svuotò, ed io fissai per l'ultima volta il mio riflesso nelle sue iridi spente. La condussi a letto, e di nuovo fuggii nella notte, verso il primo treno disponibile. Per la prima volta da quando ero tornato, accarezzai l'idea di riabbracciare la vita di prima, di tornare ad essere solo un mezzo demone, incapace di provare altro che odio, perché mi faceva sentire protetto, sicuro... non fragile ed inutile come mi sentivo su quel treno, come non facevo che sentirmi da un anno e mezzo, da quando ero tornato mio malgrado alla vita. Ma non ci riuscivo, stavolta qualcosa mi tratteneva, e mi lasciai trasportare dal treno verso la destinazione successiva.
Portava a Portland, nel Maine. Fu sul vagone che trovai una copia sdrucita di Moby Dick... e la storia di Ismaele mi fece venir voglia di vedere da dove era partito, Nantucket... avevo voglia di perdermi anche io, avrei tanto voluto potermi smarrire in mare, per sempre... quando vidi il faro ne rimasi colpito. Pensai che in mancanza di navi su cui potermi imbarcare potevo passare il tempo a guardare il mare, sperando che la ferita che mi sentivo in petto si rimarginasse con il tempo.
Lo ha fatto. La cicatrice non si vede, ma io la sento, come una scorza sul mio cuore. Mi ha corazzato, forse... perché non mi guardo più attorno con lo stesso bisogno di prima, la ricerca disperata ed inconsapevole di qualcuno che mi ami.... non ho più cercato gli occhi di una donna. Ho lasciato che mi cercassero, ma non mi sono fatto trovare, per così dire. Ho paura, si è vero. Sono terrorizzato all'idea di reinnamorarmi... e scoprire che sono solo proiezioni. Che quello che cerco non sono capace di trovarlo, perché non so che aspetto abbia.
Alla fine qualcosa di quello che dicevano i miei nemici l'ho capito... amare è qualcosa che ti rende più forte, meglio dell'odio. Ti rende capace di accettare la sofferenza, ti rende resistente in una maniera che l'odio non sa fare. Quando odi cerchi vendetta, quando ami vorresti solo poter amare. Ma non sono più capace di cercarlo, non so che faccia abbia... mi sono corazzato contro il rischio di soffrire di nuovo inutilmente..... ma non riesco a smettere di sperare di trovare quello che non cerco.

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L'amore mi ha fatto a pezzi...
Pensavo di aver smesso persino di sperare. Di non volerci più ricadere... che la mia corazza fosse abbastanza salda da non rischiare più ferite, ma non è così. Le ferite si rimarginano, le cicatrici ti ispessiscono l'anima... ma poi si ammorbidiscono e tu ti abitui a sentire di nuovo... e riscopri il desiderio, senza accorgerti di provarlo, finché non incroci di nuovo uno sguardo gentile, una donna che ti guarda senza altro che dolcezza negli occhi. Ha gli occhi verdi, i capelli rossi... sa che sono un mago, ma non immagina chi io sia e mi crede, se le dico che semplicemente non voglio aver a che fare con le arti magiche se non lo stretto indispensabile. È una strega anche lei, ma la miglior magia che sa fare è quella di farmi sentire bene, quando vado al suo negozio a comprare le scorte di erbe magiche per Cletus... è lui che me l'ha fatta conoscere e sospetto che sperasse di vederci insieme... non so ancora che succederà. Non ci sono altro che sguardi, sorrisi e serate a guardare le stelle, al faro... e la gioia di una compagnia che non mi chiede nulla. Sa chi era Voldemort, e ne ha la stessa repulsione che provo io... se sapesse chi sono... non voglio pensarci. Ma non lo saprà mai. Quella vita è finita... ed il faro, il mare di fronte ad esso, mi hanno ridato la speranza di poter ricominciare. Forse.

martedì 1 dicembre 2009

Fenrir Greyback

Arrivo nel mio locale preferito che è quasi deserto... come di solito, vista l'ora in cui arrivo. Si tratta di un semplice pub per marinai, sul porto. Mi siedo al mio posto favorito, in fondo, un po' riparato. Da lì posso guardare tutto il locale senza esser troppo notato. Mi faccio portare la cena, patate, hamburger, una media scura.. la prima della serata. Ho il mio migliore amico, con me. Un libro. Uno a caso, estratto dalla mia fin troppo fornita biblioteca. Passo la serata a leggere ed a guardare la gente.
è il mio modo per esorcizzare la solitudine che mi sono autoimposto.
I soliti ragazzini. Hanno faccende losche di droghe e ragazze, credono di sembrare dei duri, ma sono solo ridicoli... quando i veri duri del quartiere entrano nel locale e li guardano ridacchiano si azzittiscono e dopo poco scappano a casa, dalla mamma che gli stira le magliette ed i jeans a vita bassissima.
I duri del quartiere sono tre, hanno accumulato insieme un paio di ergastoli, tra piccole rapine, minacce, furti, qualche scazzottata... hanno tutti facce uguali, piene di solchi. Si fingono amici, fino a quando uno di loro non ammazzerà l'altro.. ed allora le loro strade si separeranno, cercando altri temporanei alleati. Guardano le coppie che entrano, con un misto di invidia e desiderio.
Come me... osservo da settimane quella coppietta. Vengono tutti i venerdì, mangiano insieme le patatine, poi vanno al cinema e poi tornano qua a commentare il film. Non smettono mai di guardarsi negli occhi. Avranno 23/25 anni, al massimo. Stanno progettando la casa, il matrimonio.. o la convivenza, visto che non sembrano aver molti soldi. Lei ha le unghie rifatte, ma non va dal parrucchiere da parecchio. Lui ha le mani rosicate dall'olio motore e la faccia troppo abbronzata, per esser novembre.
Due settimane fa avevano litigato... li ho guardati tenersi il broncio tutta la serata, finché lui non ha ceduto. L'ha guardata con un mezzo sorrisetto, le ha fatto una strana smorfia, un segnale nel codice segreto delle coppie, sicuramente, lei è scoppiata a ridere e si sono baciati. Hanno passato il resto della serata a sbaciucchiarsi, dimenticandosi del cinema, delle patatine... di noi che li guardavamo, chi con affetto, chi con invidia.
È arrivato il solito gruppetto... tutti ben vestiti, vengono ad ostentare i loro soldi ai vicini di casa che qua passano le serate, mentre loro si limitano a radunarsi per andare a ballare. Non ordinano mai nulla, occupano solo spazio, urlano nei loro cellulari, si guardano attorno come se vedessero quello che credono di non poter diventare mai. Restano qua un'oretta, e poi fuggono a far vedere che la vita vera è altrove, sulle loro macchine prese a prestito da genitori troppo assenti per accorgersi di loro. Almeno finché qualcuno di loro non ci morirà o ci ammazzerà un amico, un passante, con quella macchina... ed allora paparino risolverà tutto sganciando la sola cosa che non gli costa nulla, tanti bei soldoni...
Un paio di vecchi giocano a carte, come sempre... a volte sospetto che sia la stessa partita, da anni, tanto giocano al rallentatore, e mi coglie il timore che se dovessero finirla, spariremmo tutti in uno sbuffo di fumo...
un mendicante passa più volte davanti al vetro.. almeno, sembra un mendicante, vestito di stracci, malconcio, pieno di cicatrici...
ha un'aria vagamente familiare. Stasera entra nel locale, mi si siede davanti e mi scruta, sogghignando.
Ne sono certo, ho già visto quegli occhi, ma è lui a svelarmi il mistero.
“Guarda guarda...” mormora con voce roca, osservandomi. “Sei cambiato...” annuisce, osservandomi per bene. Lo guardo senza capire.
“Ci conosciamo?”
Annuisce, lentamente,
“Eccome se ci conosciamo... hai ritrovato la tua faccia, vesti da babbano, frequenti i babbani... ma certe cose non cambiano, come l'odore, caro il mio Lord Voldemort... “
Pronuncia il mio nome con un ghigno, quasi con soddisfazione. Resto di ghiaccio a guardarlo ed in un lampo lo riconosco,
“Fenrir Greyback...” mormoro. “Sei invecchiato... “ sogghigno.
“Tu invece sembri ringiovanito.” afferma e mi guarda, sbilenco e strafottente. “Strano, visto che dovresti esser morto.”
“Già... gli strani effetti della resurrezione, immagino.” rispondo.
“E sei tornato per passare le serate al pub come un babbano qualsiasi?” mi chiede, dubbioso.
“A quanto pare... sempre meglio che farmi ammazzare stupidamente da una torma di ragazzini in una scuola, mi pare.”
Ridacchia. Si guarda attorno, guarda con desiderio il mio piatto semivuoto. Glielo allungo e ne ordino un altro. Li divora entrambi, avidamente, continuando a guardarmi e scolandosi la birra scura che gli ho fatto portare. Lo osservo a mia volta: è invecchiato parecchio e male, è addirittura incredibile che un licantropo sia sopravvissuto tanto a lungo... di solito muoiono prima dei 50, divorati dalla maledizione o uccisi da qualche umano, quando non dai loro stessi compagni. Ma Fenrir è il più feroce e combattivo lycan d'Inghilterra... ed è bravissimo a sopravvivere, anche se non in perfetta forma, si vede.. Ha almeno 60 anni e ne dimostra 75, è magro come uno stecco, stempiato, malconcio. Ha talmente tante cicatrici in viso che sembra attraversato da una ragnatela. Qualcosa di ferino gli è rimasto attaccato anche nella sua versione umana. Mangia voracemente, beve e poi soddisfatto si ferma a guardarmi.
“E così ora fai finta di esser babbano?”
Lo guardo a lungo, prima di rispondergli.
“A quanto pare” dico. “La cosa ti disturba?”
“Proprio non me ne potrebbe fottere di meno... potrei ricattarti, per non svelare chi sei... ma probabilmente troverebbero il mio cadavere in un fosso, domattina... senza segni addosso. E visto come vivo, sarei solo il solito accattone morto di freddo.”
Annuisco, senza dir nulla.
“Già... le vecchie abitudino sono dure a morire, eh, Tom?”
Ridacchia, si passa una mano sulla faccia devastata.
“Nah.. non voglio niente da te, mago. Volevo solo un pasto caldo, per una sera... e vedere di chi era st'odore familiare che sentivo per Nantucket, ultimamente.”
Si guarda attorno, come se non lo interessassi più. Ma lo sento che ha ancora qualcosa da chiedere... attendo e dopo qualche minuto, puntuale, la domanda.
La stessa che mi pongo io da anni a questa parte, da quando mi hanno riportato in vita.
“Che sei tornato a fare?”
Sorrido, prima di rispondergli... e rispondo a me stesso, sostanzialmente.
“Sono tornato a fare il guardiano del faro.” ed è la sola risposta che so darmi.
Il licantropo ride, prima sommessamente, poi sgangheratamente. Lo lascio ridere. Fino a che si placa, con gli sguardi di tutti gli altri avventori addosso. Arriva anche Sam, il barista a guardarci storto.
“Tom.. questo accattone ti infastidisce?” chiede sospettoso.
“No, Sam... è una vecchia conoscenza.... ed è solo di passaggio, vero?”
“Si si... sono solo di passaggio.” risponde Fenrir smettendo di ridere ed asciugandosi le lacrime che gli scorrono lungo il viso. “Ho visto il mio amico nel pub e sono entrato a scroccargli una cena, vero, Tom?”
Sam ci scruta dubbioso e poi se ne va... e torniamo a guardarci negli occhi, io ed il licantropo. A lungo, come se dovessimo decidere cosa fare l'uno dell'altro. Il suo sguardo va al mio polso sinistro, più volte.. lo capisco, cerca di capire se si vede l'impugnatura della bacchetta.. se ce l'ho vuol dire che sono ancora lo stesso mago che gira armato, come un tempo.. se non ce l'ho, magari ha la possibilità di uscire vivo da quell'incontro. Lo lascio nel dubbio. A dire il vero, ormai la mia bacchetta staziona più spesso sul mio comodino che addosso a me.... anche per la semplice ragione che spesso non mi serve, per fare le magie più semplici. E stasera è a casa.. ma non ne ho bisogno.
Guardandolo mi rendo conto che non ha intenzione di tradirmi. Cerca solo un rifugio per la notte e qualche pasto caldo, come un tempo. È un reietto e lo sarà per sempre, peggio di me... perché la sua maledizione non ha redenzione, purtroppo per lui.
“Andiamocene.” dico dopo un tempo interminabile.
Usciamo dal locale e camminiamo in silenzio verso il faro. Gli offro una stanza, ma la rifiuta, orgoglioso come sempre. Accetta solo i soldi, e la parola che gli do che se andrà a nome mio nel locale dove ci siamo trovati un pasto caldo lo troverà sempre. Sono certo che non ci tornerà mai più in mia assenza. Lo conosco troppo bene, il più selvaggio ed orgoglioso capobranco lycan dell'Inghilterra.
Mi accenna che ha dovuto scappare per non farsi uccidere, dopo la mia caduta... ma non mi dice nient'altro... e quando arriviamo allo svincolo, che da una parte porta al faro e dall'altra alla foresta, mi saluta...
Lo rivedo il giorno dopo. Sul traghetto che porta la gente in continente. Mi saluta con la mano, per l'ultima volta.

Potter...

Il guaio di Nantucket è che si tratta di un porto turistico, in certi periodi dell'anno... ed oltre agli americani, ogni tanto arrivano turisti anche dall'Inghilterra. Sono quasi sempre babbani, i maghi non fanno turismo negli stessi posti dei babbani.. non per particolare razzismo, no, malgrado quello che si potrebbe pensare, detto da me.. Semplicemente perchè molti non sanno vivere tra i babbani, non sanno smettere di usare la magia o anche semplicemente vestirsi da babbani. Io sono cresciuto diviso a metà tra l'orfanotrofio e la scuola magica di Hogwarts, per cui in effetti conosco entrambi i mondi... li ho frequentati entrambi, anche se ora mi sto isolando da essi. Ed è per questo che tornare a vivere da babbano non mi è stato granchè difficile. Ci sono tantissime cose babbane che conosco, dalla radio, al cinema, all'elettricità, alla televisione, perfino.. e poi ho viaggiato abbastanza da aver imparato ad adattarmi in tutte le situazioni, a mimetizzarmi... per questa ragione qua a Nantucket nessun babbano ha mai notato in me particolari stranezze magiche, ed i pochissimi maghi che ci abitano non hanno mai notato in me particolarità troppo bizzarramente babbane, a parte la mia attitudine a vivere maggiormente da babbano che da mago..
In America si nota di meno, devo dire, di quanto verrebbe notata in Inghilterra. Qua non esiste una sola grande scuola come Hogwarts, ci sono piccole scuole, e non sono collegi, i ragazzini tornano a casa negli week end, ed in alcune semplicemente ci vanno quotidianamente con la metropolvere... molti maghi vivono alla babbana e qui i purosangue quasi non esistono, sono un vezzo del vecchio continente... per cui non c'è poi una divisione così netta tra i due mondi. Addirittura a scuola i ragazzini usano penne e stilografiche invece delle piume, ed è raro che usino pergamena, preferendo la carta.... insomma, vivono in modo molto più ibrido, i due mondi... e stranamente mi ci sono mimetizzato meglio. Mi ci trovo meglio, posso continuare ad oscillare tra i due confini, senza venir troppo notato dai babbani e nemmeno dai maghi. Frequento il pub babbano sul porto, ed anche quello magico a Lantern Square. E da nessuna parte mi guardano come se fossi strano, se ci vado vestito sempre allo stesso modo, con i jeans, la camicia a scacchi ed il giaccone da marinaio.
Ho fatto amicizia sia con Sam, al porto, che con Jones e Peggy, i proprietari del piccolo pub magico, proprietari tra l'altro di un'elfa che pare molto interessata a Cletus.. Cletus stesso è diventato molto celebre, a Lantern Square, decisamente più di me, visto che ci va a far la spesa magica al posto mio. Sopratutto è celebre il suo terrore dei temporali, visto che è sua abitudine, allo scoppio del primo tuono, saltare in braccio al primo umano che gli capita a tiro, preferibilmente il sottoscritto, ma il primo mago di passaggio va altrettanto bene, se io non sono raggiungibile.
Una sera questa sua abitudine mi ha quasi salvato la vita..
Nantucket è un porto turistico, dicevo. E ben pochi maghi ci vengono... ma alcuni, certamente. È stato così che mi sono trovato davanti Harry Potter e famigliola, l'anno scorso. Lo avevo già reincontrato... feci un piccolo test, prima di venire negli States, andai a Diagon Alley, mi feci una camminata tra i maghi.. volevo vedere se ero davvero tornato così anonimo. Nessuno mi riconobbe, nessuno mi notava... girai per i negozi, senza che nessuno facesse caso a me. Arrivò l'ora di pranzo e lui venne a mangiare proprio a due passi da me, al bar. Ci guardammo un paio di volte negli occhi, mi chiese il posacenere e glielo misi in mano, sfiorandolo. Non diede cenno di interesse, nei miei confronti, non mi riconobbe.
Ma trovarmelo così, sul molo davanti a casa mi diede un sincero colpo al cuore... era con la moglie, in cui riconobbi la piccola Weasley, dai capelli rossi. Avevano un pupetto di un anno in braccio e Ginny era palesemente incinta di un altro. Si stringevano, per scaldarsi contro il vento che arrivava freddo dal mare, e guardavano il faro, sorridendo. Ero al molo, con Homer, il vecchio pescatore che viene tutte le mattine a pescare da queste parti, a tirare su le nasse delle aragoste, impigliate come al solito, e non mi notarono.
Mi calcai il berretto in testa, la visiera sugli occhi, e salii al faro, portandomi dietro una rete piena di pesce, cercando di non farmi notare... ma mi vide e venne a chiedermi se il faro era visitabile.
"No, mi spiace... c'è il museo al porto, se desidera." risposi, accentuando la cadenza nantuckettese.
Mi ringraziò, mi degnò a mala pena di uno sguardo, e se ne andò.
Tirai un sospiro di sollievo.. sapevo che non poteva riconoscermi, ma mi irritava che fosse casualmente arrivato fin lì.
Cletus venne a salutarmi e quando vide il giovane mago andarsene, mi guardò significativamente.
"Nessuno sa chi sei, Signore... nemmeno lui può indovinarlo." mi disse, indovinando i miei pensieri, come sempre.
Avevo un appuntamento con un amico a Lantern Square, la sera, ma rimandai... non volevo rischiare di trovarlo, di nuovo. Me ne rimasi rintanato al faro un paio di giorni, aspettando che da bravo turista se ne andasse verso posti più caratteristici, finchè il mio amico tornò a reclamare la nostra serata di backgammon... e mi feci convincere ad andare a trovare Jones, pensando che fossero ormai ripartiti.
Eravamo intenti a giocare da un'oretta, quando entrò Potter, con la moglie. Si misero a poca distanza da noi, proprio di fronte a me... mantenni il sangue freddo e feci finta di nulla, continuando a giocare.... ma lui sentendomi parlare si girò a guardarmi, e mi riconobbe come il guardiano del faro. Mi sorrise e mi fece un cenno, a cui risposi appena.
Il mio accento non è più riconoscibile come un tempo.. sono cresciuto all'ombra del Big Ben, e per tutta l'infanzia ho parlato con profondo accento cockney, con il tempo l'ho ripulito fino a parlare Atlantic English, quell'inglese colto e senza accenti che si parla tra una sponda e l'altra dell'atlantico, ma vivendo da anni a Nantucket avevo finito con lo sporcare volontariamente l'accento con i toni dei locali... e lo accentuai, quella sera, parlando pochissimo, temendo riconoscesse la mia voce, assurdamente... mi trovai più spesso del dovuto a guardarlo, cercando la cicatrice sulla fronte, combattuto da mille emozioni diverse. Persi parecchie partite di seguito, per l'ilarità del mio compagno, che raramente riusciva a battermi per più di un paio di volte di fila, perchè ero palesemente sovrappensiero... alla fine si girò anche Potter a guardarmi, incuriosito e perplesso. Smisi di osservarlo, ma mi resi conto che mi studiava... si toccò la fronte perplesso e mi sentii gelare. Per fortuna venne riconosciuto da parecchi avventori, che lo distrassero per un pò, salutandolo e facendogli i complimeti per avermi sconfitto, con un'assurda ilarità che mi montava in corpo e che facevo fatica a trattenere, finchè non tornò a guardarmi, perplesso, chiedendosi probabilmente perchè gli sembrassi tanto familiare... lo vidi che stava per avvicinarsi a parlarmi, quando in cielo esplose un tuono fortissimo.
Fu allora che accaddero due cose che probabilmente salvarono più di ogni altro la mia nuova identità. Dalla cucina uscì a precipizio Cletus, terrorizzato, e mi si aggrappò al collo con tutta la forza che aveva, squittendo.
"Tuoni!" gridava "Paura, Signore! Paura!" cercando di infilarsi con la testa dentro la mia giacca. Mi sbattè quasi per terra, con tutta la sedia e mentre ritrovavo l'equilibrio e lo abbracciavo mi misi a ridere, involontariamente.
"Cletus!" esclamai "è solo il solito temporale, dai!" dissi, mentre lo stringevo e lo coccolavo, come se fosse un bambino di otto anni, di cui ha effettivamente le dimensioni. Lo sentivo aggrapparsi al mio corpo, strettamente, con le braccia e le gambe, tra l'ilarità generale che accompagnava di solito queste scene. Peggy si girò a guardarmi, ridendo.
"Tom, non hai fatto un favore al tuo elfo, venendo ad abitare a Nantucket, decisamente!" rise.
Sentendo quel nome Potter si girò a guardarmi, stupito. Ma io mi trovai a ridere più forte, dando pacche rassicuranti sulla schiena del piccolo elfo, mormorando sciocchezze per consolarlo... ed allora sentii la voce di Cletus, bassissima nel mio orecchio.
"Ora non può pensare che sei tu, Signore... tu non avresti mai consolato Cletus, se eri come prima... e non ridevi, prima." Ridacchiava, facendo finta di singhiozzare forte... me lo strinsi al collo, meravigliato. La sagacia di quell'elfo non smetteva mai di stupirmi.
Potter guardò la scena sogghignando e poi si girò, richiamato dalla moglie. E non mi rivolse più uno sguardo per tutta la serata. Cletus mi rimase abbracciato, mentre il temporale si scatenava e mi ritrovai a portarlo a casa in braccio, come fosse un bambino. Arrivati al faro scese dalle mie braccia, mi guardò sorridendo e disse:"Visto? Nemmeno lui può capire chi sei, Signore!" giusto un attimo prima che esplodesse un altro tuono in cielo, mandandolo a rintanarsi tra le mie gambe, sospirando e mormorando quelli che sicuramente erano improperi nella lingua degli elfi.
Andammo a dormire, io sul letto e lui sotto, come sempre quando c'erano temporali.... ed io guardai il soffitto a lungo, sentendomi stranamente al sicuro. Era la seconda volta che incrociavo la strada di Potter e in un angolo della mia mente era esistito ancora il timore di esser riconosciuto, ma quella era la prova definitiva.
Mi sentivo strano, comunque. Trovarmi davanti colui che mi aveva ucciso ben due volte di fila mi aveva riportato a galla infiniti ricordi... sopratutto della battaglia di Hogwarts. Quel giorno era molto confuso nella mia memoria, me ne tornavano sprazzi angosciosi solo in sogno, la notte... sopratutto la sfida finale tra me e lui era celata da un'ombra che preferivo non dissipare. Non amavo rivedermi in quella situazione, consapevole della quantità di errori e stupidaggini assurde che avevo commesso... e sopratutto non amavo rivedere l'uomo che ero stato, da quando avevo ritrovato il mio corpo deformato e contorto, fino all'epilogo. Ero stato ancora meno umano di quanto lo fossi prima della distruzione davanti alla culla di Harry...
Riflettevo, cercando di capire che cosa provavo.. ma a parte una sorta di distacco, come se fosse successo a qualcun'altro, non sentivo nulla. Avevo avuto timore che potesse riconoscermi, solo perchè avrebbe significato far sapere al mondo che ero tornato, fuggire, quando la sola cosa che volevo era l'oblio, l'anonimato. Niente altro che quello. Non sentivo sensi di colpa, per quello che ero stato, mi prendevo la piena responsabilità delle mie scelte.. e non cercavo alcuna forma di redenzione, o di perdono. Volevo solo lasciarmi tutto alle spalle, anche se piccoli sprazzi tornavano a cercarmi, come quella volta che incontrai Fenrir.. o quando andai ad affrontare Lucius. Ma non volevo più aver a che fare con il mio passato. Ero stato sconfitto, battuto, ucciso... e con quella vita era morto tutto quello che ero stato.
Me ne resi conto quella notte. Ero un uomo nuovo, con un destino nuovo. Ero libero da me stesso e dal mio passato.
Forse non ero ancora completamente in pace con me stesso, forse non lo sarò mai. Ma non ha importanza. La mia strada è nuova, è solo mia. Posso percorrerla liberamente, almeno questo.

ritornato...

Erano sette, coloro che malaccortamente mi riportarono in vita. Quattro uomini e tre donne. Li ho uccisi tutti. Non avevo altra scelta, se volevo andarmene da lì vivo, senza il fardello della loro missione da realizzare sulle spalle.

Erano fanatici, tutti più giovani dei mangiamorte che avevano combattuto con me l'ultima volta. Avevano creato il mio mito a Durmstrang, dicendosi che gli inglesi erano stati dei deboli e degli inetti e che se fossero stati loro a seguirmi avrei vinto sicuramente.

Erano animati dal sacro fuoco della devozione cieca, del fanatismo alla causa, più che a me, e diventavano sempre più inquieti e minacciosi nel vedermi temporeggiare, esitare.

Una di loro in particolare, Anjanka. La padrona di casa, colei che aveva voluto fortemente il mio ritorno, che aveva convinto gli altri ad esumare di nascosto il mio cadavere e far la fatica di provare a riportarmi in vita, rintracciando i frammenti di Horcrux distrutti, sperimentando rituali magici che nemmeno io avrei osato tentare, evocando demoni e spiriti per riportarmi indietro e riprovare a conquistare il potere con me alla guida. Che bisogno avevano poi di me, mi sono chiesto, se erano tanto determinati? Ma tant'è, guidati da lei ce la fecero.

Una grandissima strega, bisogna riconoscerglielo. Capace, potente. Completamente pazza. E molto bella. Alta, dai lineamenti nobili, alteri, lunghissimi capelli neri, occhi di ghiaccio, un corpo molto sensuale. Dopo qualche settimana dal mio ritorno, quando avevo recuperato le forze e la memoria, s'infilò nel mio letto, una notte. La prima di tante. Non me ne stupii.... mi succedeva di frequente che qualche mia seguace mi seducesse, anche nel passato. Ai tempi del mio primo ritorno, pur con il viso deforme, Bellatrix si era infilata spesso nel mio letto, lasciando il marito consapevole del tradimento a soffrire, senza potersi ribellare. Il fascino del potere va spesso oltre l'aspetto esteriore. Le ho sempre accolte, praticando con loro non mero sesso ma magia sessuale, volta ad accumulare potere.

Non lo feci con Anjanka, non ci riuscii. In realtà bramavo un contatto umano più intenso della devozione timorosa degli altri, sentivo la necessità di qualcosa di più, anche se non ero in grado di definire che cosa. Avevo bisogno di rassicurazione, di calore umano, di una forma di affetto, in qualche modo.

Quando quella notte la sentii svegliarmi, le labbra calde che baciavano il mio viso, le mie labbra, le sue mani impazienti che esploravano il mio corpo, che carezzavano la mia pelle, non ci pensai nemmeno un istante. La ricambia con gratitudine, con una passione bruciante, presi possesso delle sue labbra e del suo corpo con vorace bisogno, senza pensare a nulla, furiosamente, gridando di passione, trascinato dalla lussuria più cieca, guidato solo dall'istinto, più e più volte. Fu una cosa incredibile. Non so se fosse per il bisogno disperato che avevo di un contatto umano o perché il mio corpo rinnovato reagiva meglio e più intensamente agli stimoli, ma ciò che provai quella notte non lo avevo mai provato prima. Orgasmi brucianti, devastanti, in grado di annichilirmi totalmente.

Mi persi nel suo corpo, nelle sue braccia, fino a svenire sfinito con il viso posato sul suo seno, lei che mi carezzava i capelli mormorando parole dolci che nemmeno sentivo.

Fu la prima di molte notti, in quel modo, anche se la forza dei sensi non fu mai più così devastante. Anche perché cominciava ad inquietarmi.

Parlava costantemente, facendo progetti per il futuro, per quando avremmo riconquistato il potere, per quello che avremmo fatto ai babbani per asservirli, alle altre razze magiche, progettava di farmi da compagna, di darmi persino un figlio per iniziare una stirpe di dominatori del mondo magico... io la ascoltavo senza commentare, maturando la consapevolezza che non me ne importava più nulla. Non ero interessato a quei deliri di onnipotenza. Li riconoscevo come parte del mio passato, ma non mi coinvolgevano più. Non mi riguardavano. Non volevo più provarci, a ritornare al potere. Tutto il mio odio verso i babbani, tutta la mia ambizione sembravano appartenere ad un'altra persona, non a me.

Fu a causa sua che cominciai a rendermi conto che se volevo andarmene vivo dal suo castello, senza di loro e senza seguire il progetto che avevano per me, dovevo ucciderli tutti. Esitavo, prendevo tempo, rispondevo evasivamente alle continue domande di lei, ma vedevo i loro sguardi farsi sempre più inquieti, preoccupati. Li sentivo mormorare, chiedersi se non avevano sbagliato qualcosa nell'incantesimo che mi aveva riportato in vita. Percepii l'idea di uccidermi e riprovare... per vedere se riuscivano meglio, stavolta. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Li riunii tutti, come se volessi finalmente partire con il loro progetto. Mi guardavano sospettosi, inizialmente, finché non cominciai a parlare. Delirai sulla stirpe, sulla tradizione, finché non si rilassarono. Ed allora li uccisi. Quattro con un incantesimo deflagrante, gli altri con l'Avada, prima che potessero reagire. Hanno a mala pena avuto il tempo di reagire, tentando maldestramente di disarmarmi. Solo Anjanka ha tentato di rispondere al mio Avada con un altro Avada. Lo sguardo di puro odio che aveva negli occhi, un attimo prima che la uccidessi, mi tolse ogni rimorso.

Ho ucciso decine di persone, ho ucciso mio padre ed i suoi genitori che non ero nemmeno maggiorenne. Un tempo lo facevo freddamente, senza emozioni particolari. Ma quando spensi la luce negli occhi di Anjanka, l'ultima del gruppo, restai immobile a guardarmi attorno, a fissare tutti quei cadaveri con il cuore in gola, sconvolto dalla mia stessa ferocia. Li avevo uccisi senza dar loro possibilità di scampo, rendendomi conto della determinazione con cui lo facevo, del mio potere non solo intatto ma persino più forte. Avevo sentito una parte antica di me gioire del potere, della capacità di uccidere con un solo gesto tutte quelle persone ed uscirne indenne. Ma un'altra parte ne fu orripilata. Quella più recente.

Mi accucciai, sconvolto, a guardare quello che avevo fatto. Pur avendolo maturato per giorni, avendo progettato tutto nei dettagli, cosa fare, dove andare, mi ritrovai a fissare tutti i morti che avevo fatto chiedendomi perché. Per cosa? Ne valeva la pena? Non sarebbe stato meglio lasciarmi uccidere.... magari avrebbero fallito ed io avrei potuto riposare tranquillo. Ma il mio istinto di sopravvivenza, sempre più forte di qualunque mio ragionamento, mi fece rialzare e seguire il piano, roboticamente, senza un pensiero logico a parte la volontà cieca di fuggire da lì.

Radunai pochi abiti da babbano, qualche strumento magico indispensabile, la bacchetta nuova che avevano fatto fare per me, visto che la mia era stata spezzata al mio funerale, tutti i soldi che riuscii a trovare e me ne andai via, dando fuoco al castello, per cancellare ogni traccia. Girai le spalle a quel rogo e mi inoltrai nella foresta.

Arrivai ad un villaggio babbano, nel cuore della Russia occidentale. Presi il primo treno che trovai, scoprendo solo sopra che avevo preso la transiberiana diretta in Cina

In viaggio

Sul treno verso la Cina mi ritrovai ad avere un deja vù.... avevo gia viaggiato, su quel treno, più di cinquant'anni prima

Ho sempre amato viaggiare. Il primo viaggio lo feci un paio d'anni dopo aver finito Hogwarts... girai il mondo, letteralmente. Sparii dall'Inghilterra per una decina d'anni, andai in cerca di adepti, di potere, di magia oscura ovunque la trovassi. Viaggiai tra i babbani e tra i maghi, pieno di rabbia, di ambizione.

Ma vi furono luoghi che mi conquistarono.

La Cina, il Giappone, con le loro tradizioni antichissime, con maghi di incredibile potere e scuole di magia come non mi immaginavo nemmeno esistessero. Mi fermai un paio d'anni in Cina, imparando la lingua e gli incantesimi più potenti.

Andai in India, e rimasi freddo di fronte ad una spiritualità tanto aperta e tollerante... ma trovai anche là tracce di magia oscura e dimenticata, di cui feci presto ad appropriarmi.

Imparai la magia nera dagli sciamani africani, esplorai l'Egitto in cerca di vecchie pergamene, scesi in tombe etrusche e greche a caccia di saperi antichi e dimenticati.

Girai l'America dal Sud al Nord, esplorando le foreste, inseguendo spiriti e demoni ancestrali. Conobbi sciamani di tutti i popoli, dal polo sud al polo nord.

Credo che nessun mago prima e dopo di me abbia girato e cercato tanto. Cercavo qualcosa che mi rendesse immortale, lo confesso. E la sola magia che mi soddisfacesse rimase quella degli Horcrux. Ma non perché non ce ne fossero di migliori. In realtà trovai in tutte le culture modi per diventare immortali, più o meno efficaci. Pensai addirittura di farmi vampirizzare, per un po', ma conclusi che l'immortalità post mortem ed il rischio di esser battuto tanto facilmente da una croce e da un raggio di sole non mi attirava.

Gli Horcrux.. soddisfacevano la mia sete di crudeltà. L'idea che gli omicidi che commettevo potevano servire a farmi diventare immortale appagava la mia sete di vendetta verso il mondo, il mio odio, la rabbia che mi portavo dentro. Tornare in Inghilterra carico di quel potere, di quell'odio, di quelle conoscenze, accrebbe il mio desiderio di prendere il potere su coloro che più di tutti mi avevano umiliato. Volevo prendere il sopravvento sul mondo magico inglese per potermi manifestare ai babbani e sottometterli, tutti, per punirli di avermi trattato come un reietto, come un rifiuto della società. Perché ero orfano, e perché ero diverso.

La società degli anni trenta e quaranta in cui ero cresciuto era ferocissima verso gli emarginati... ed esser mago e orfano significava non esser altro che un diverso da lasciarsi dietro, senza possibilità di redenzione. Ed io non la volevo, non volevo redenzione, volevo affossarli tutti, volevo vendicarmi, sterminare tutti quelli che mi avevano sottovalutato e dimostrare a loro chi ero veramente, quale errore avevano fatto a credermi solo un reietto, un inutile rifiuto della società, un mostro. Fu così che divenni un mostro anche peggiore. Un demone, nemmeno più umano.

Ed ora mi ritrovavo sullo stesso treno del mio primo viaggio, a cinquant'anni e più di distanza, a guardare il mondo con occhi totalmente nuovi. Nessun odio a mordermi, a muovermi, nessuna rabbia. Ero vuoto, totalmente. Nessuna emozione, completamente apatico, emotivamente azzerato dalla rinascita e da quello che avevo dovuto fare per fuggire e riguadagnarmi la libertà. Non mi era poi difficile far pace con tutti i morti che avevo lasciato dietro di me, ci ero abituato, in qualche modo... era come un dazio da pagare per lasciarmi alle spalle la mia vita precedente. Uccidere da assuefazione, dopo un po' non ti rendi più conto di quanto sia devastante, per cui non mi sentivo particolarmente appesantito dalla colpa.

Ad annichilirmi era la sensazione di vuoto che provavo verso me stesso. Non sentivo più nulla, ambizioni, desideri, emozioni. Nulla. Quando scoprii di essermi guadagnato anche un compagno di viaggio restai freddo... eppure fu determinante, per il resto della mia nuova vita.

Un elfo. Cletus, si chiamava, era di servizio al castello di Anyanka. Quando avevo dato fuoco alla villa, la famiglia di elfi era fuggita, tradizione vuole che quando i membri di una famiglia magica muovono tutti, gli elfi che li servono tornano liberi, per cui Cletus era libero, di fatto... ma scelse di seguirmi.

Era quello cui Anyanka aveva deputato le mie cure. Mi portava la colazione, mi serviva, mi seguiva... ed era uno strano elfo, me ne ero già accorto. Mi guardava con una sorta di ironica benevolenza, quando lasciavo in giro la roba, mi decorava il cibo con ghirigori a forma di serpente, mi lasciava biglietti per informarsi dei miei gusti in fatto di cibo e mi chiedeva piccole cose. Pensavo lo facesse per diventare semplicemente un servitore migliore, ma scoprii dopo che mi stava studiando più attentamente dei suoi padroni e mi aveva capito meglio di loro. I ghirigori che scambiavo per serpenti erano punti interrogativi. Aveva intuito i miei dubbi e cercava di farmelo sapere. Mi aveva sentito piangere, quelle prime notti, e non capiva che avessi da piangere se ero come dicevano il più grande e pericoloso mago oscuro del mondo. Come gli animali, aveva interpretato correttamente il mio linguaggio corporale, ed aveva capito che non ero affatto felice di esser tornato... e non volevo farlo capire agli altri.

Non rimase per nulla scosso quando uccisi i suoi padroni, e quando si fece vedere, in treno, mi ringraziò per aver liberato lui e la sua famiglia da padroni così cattivi. Cercai di cacciarlo, ma lui si mise a ridere.

“Cletus è un elfo libero, Signore.. non potete ordinarmi nulla.” disse. “Voglio seguirvi nel vostro viaggio perché mi va di farlo.. e non potete impedirmelo.” concluse incrociando le braccia e guardandomi con aria di sfida.

Restai a guardarlo, stupito. Riflettei.. ricordavo il ruolo che avevano avuto gli elfi nella battaglia finale di Hogwarts... e dai racconti dei nuovi seguaci avevo compreso di avere molto sottovalutato la magia e le caratteristiche di questa razza magica.. pensai che potevo capire meglio i miei errori del passato se me lo portavo dietro e decisi che tutto sommato non mi cambiava nulla, se questo elfo voleva seguirmi a tutti i costi.

Quanto mi sbagliavo...

Cominciò a prendersi cura di me a modo suo, lanciandomi occhiate ironiche, commentando la mia attitudine al disordine, permettendosi spiritosaggini che non si sarebbe mai permesso se fosse stato il mio servo. Trattandomi come un suo pari. Anzi, pretendendo che io lo trattassi come un mio pari.

Pian piano all'irritazione subentrò il divertimento. Era come avere un grillo parlante, una scimmia curiosa e dispettosa, capace di parlare e di indispettirsi. Era capace di sparire per giorni, se rispondevo male, per poi farsi vedere con aria offesa e facendomi dispetti. Non sono mai riuscito a capire completamente perché si sia attaccato tanto a me, se non pensando che mi trovava tutto sommato divertente.. aveva una strana indole avventuriera, quell'elfo. Si spaventava per i botti, i tuoni, i rumori forti, ma era capace di affrontare le bestie feroci come fossero gattoni. Quando arrivammo in Cina, scoprendo che parlavo mandarino, mi guardò ammirato, annuendo come se avesse avuto conferma di essersi scelto davvero il compagno di viaggio giusto.

Scendemmo dal treno in Mongolia. Volevo rivedere la steppa, bermi i cieli infiniti, il deserto silenzioso, la solitudine del nomadismo... avevo una vecchissima conoscenza da andare a trovare, uno sciamano di 200 anni.. e scoprii che era morto, lasciando il suo posto ad un giovanotto che mi guardò con sospetto, quando gli dissi di averlo conosciuto tanti anni prima. Mi resi conto che il mio aspetto era troppo giovanile, per poter esser credibile.. e compresi che non avrei mai più potuto entrare direttamente in contatto con persone del mio passato. Da una parte non mi avrebbero riconosciuto, dall'altra non avrei potuto spiegare il mio aspetto, ancora così tanto giovanile.. e tutto sommato era una buona cosa. Avevo la possibilità di guardarmi da lontano, ripercorrere la stessa strada e vedere le stesse cose con occhi nuovi.

Ripartii quasi subito, diretto in India. E stavolta il buddismo mi toccò profondamente. Mi trovai a pregare in un tempio, inondando il mio volto di lacrime di fronte a mille altri in preghiera, tanti in lacrime come me... e pregai, fino a quando la preghiera stessa non mi consolò, in qualche modo, non so come.

Uscii da quel tempio antichissimo respirando aria nuova. Una fiammella di emozione mi si era riaccesa dentro, e me la tenni stretta, riscaldandomi come potevo ad essa, senza sapere che cosa fosse.

Forse fu quella sera che risi per la prima volta, trovando il piatto decorato da Cletus. Aveva preparato un semplice piatto di riso al curry e con la salsa ci aveva disegnato sopra un OHM. Mi fece ridere, non so perché. Il piccolo elfo apparve con la faccia sbalordita di fronte a me, mi guardò esterrefatto e poi rise anche lui.

“Cletus non credeva che eri capace di ridere, Signore!” mi disse. Batté le mani, soddisfatto, e da allora l'OHM è diventato una strana specie di codice, tra me e lui.. me lo lascia disegnato sul piatto, in un angolo, quando mi vede triste, e riesce sempre a strapparmi un sorriso. Da allora il piccolo elfo si prese come compito supplementare quello di farmi ridere, il più spesso possibile.

Non so quante volte gli ho visto fare giochetti e piccoli dispetti ai babbani, nelle situazioni più strane, solo per farmi ridere nei momenti meno opportuni. Senza capire come, senza sapere perché, quella creatura è diventata il mio primo amico, da quando era morto il mio compagno di orfanotrofio in poi.

Abbiamo rifatto insieme il giro del mondo.. sono tornato con lui nei luoghi che avevo visitato decine di anni prima, riguardando tutto con occhi totalmente diversi.. e quella fiammella che avevo acceso in quel tempio ha continuato ad ardermi dentro, a crescere, fino a diventare un fuoco capace di scaldarmi.

Quando arrivammo a Nantucket e vidi il faro... non fu difficile decidere di fermarmi. Era perfetto. La solitudine del mare, un impegno semplice ed ordinario, l'anonimato babbano.. e la lontananza dall'Inghilterra, a cui non riuscivo a pensare di tornare.

Ma fu Cletus a farmi decidere. Quando salimmo sul faro fece una cosa che non dimenticherò mai. Si mise a guardare il mare, ridendo come un matto. Indicava qualcosa di lontano, che ancora non vedevo. La vista degli elfi è più acuta di quella umana, e dovetti aspettare qualche minuto, prima di vederle. Le balene. Non so quante, un branco intero, che nuotavano e spruzzavano alti soffi di acqua, e si tuffavano a ripetizione, come se stessero giocando. Restammo a guardarle, per ore, con il piccolo elfo che schiamazzava ammirato. Non aveva mai visto dei cetacei, in vita sua, e ne fu estasiato, per qualche misteriosa ragione. Quando presi accordi per fermarmi, convincendo con mezzi magici il responsabile del faro che ero la persona più adatta, per la prima volta da che ci conoscevamo, il piccolo elfo mi buttò le braccia al collo e mi ringraziò, come se avessi fatto un favore a lui, a fermarmi lì. Ebbe modo di cambiare idea alla prima tempesta, quando le onde ed i tuoni si scatenarono in una furia mai vista attorno al faro, ma credo che le giornate di luce e di grandi cieli che si trasformano davanti ai nostri occhi lo ripaghino abbondantemente delle notti passate rifugiato a tremare sotto il mio letto.

Spesso, quando per calmarmi mi siedo in veranda a guardare il cielo ed il mare, lasciandomi annichilire dalla loro immensità, permettendo allo spazio che essi rappresentano di dare nuove e minori proporzioni a tutti i sentimenti fin troppo dirompenti che ho reimparato a provare, lo scopro accanto a me, seduto per terra, che guarda il panorama sognante. Quando si accorge che lo sto guardando, mi ricambia lo sguardo, si ricompone e mi guarda un po' meravigliato es un po' offeso, come se non mi rendessi conto che è là fuori, lo spettacolo migliore, non certo lui. Ma io non ho il coraggio di spiegargli che lo guardo perché mi fa tenerezza. Perché quel piccolo elfo è stato il primo vero affetto che ho trovato in vita mia, e poter condividere con lui quei panorami è la cosa più bella che conosco.

Lucius Malfoy

Lord Voldemort guardò il libro bruciare nel camino, furente. Lucius Malfoy.... se lo ricordava bene, fin dai primi loro incontri. Altero, sprezzante, affascinante. Strano a dirsi, ma lo aveva sedotto, in qualche modo, con i suoi modi da vecchia nobiltà inglese, il tono sempre basso e calmo di parlare, gli sguardi carichi di sottintesi, il senso di superiorità che emanava. Lo invidiava, in una certa misura. Lucius aveva per nascita ciò che Voldemort non aveva ed era convinto gli spettasse in misura anche maggiore, visto il suo potere, viste le sue ascendenze. Adorava intimorirlo, i primi tempi. Dimostrargli quanto potere detenesse era un modo per vendicarsi per la palese differenza di casta tra loro due. Quando aveva visto finalmente la giusta misura di timore e rispetto negli occhi del mago, aveva smesso di infierire, ma lo aveva sempre tenuto d'occhio.
Non riusciva a fidarsi. Non solo di lui, non si fidava di nessuno di loro.
Forse solo di Severus, per qualche momento. L'odio che percepiva nel mago verso il mondo era troppo spiccato, troppo tenace per non esser vero. Un velenoso misantropo, con pochissima compassione verso il resto dell'umanità, questo era Severus, e lo capiva meglio.
Lucius era invece una specie di enigma. Adorava essere al centro dell'attenzione, sapeva sedurre, essere amabile... se lo ricordava nelle riunioni dei mangiamorte, mettersi in mostra per dimostrargli che era meglio degli altri, sorridere con superiorità agli altri mangiamorte, sorridere amabile e fasullo a lui.
Sapeva che gli mentiva il più delle volte, lo sapeva benissimo.
Non c'era un solo pensiero, una sola emozione di quegli uomini e quelle donne che gli sfuggisse, e quanto aveva adorato giocarci. Nessun marito osava opporsi al fatto che lui ne seducesse le mogli. E le donne si contendevano i suoi sguardi gelidi, il suo tocco indifferente, i suoi rari favori sessuali. Non era interessato al sesso, all'epoca, se non come mezzo magico, per evocare ancora più potere quando era necessario. Manipolava le menti e le emozioni di quel gruppo di seguaci per il solo piacere di farlo.
Sia la prima volta che era tornato, che la seconda, era rimasto freddo di fronte ai propri seguaci, nessuna emozione lo aveva toccato. La prima volta solo la rabbia, perché nessuno di loro lo aveva cercato, pur avendo loro detto che non sarebbe stato battuto nemmeno dalla morte. La seconda volta, leggere la storia di Potter, farsi raccontare cos'era successo da coloro che incautamente lo avevano riportato in vita, non lo aveva toccato. Scoprire il tradimento di Severus lo aveva lasciato freddo, in un certo modo se lo aspettava, lo aveva messo in conto, che ci potevano esser traditori tra i suoi seguaci. Aveva solo sempre pensato che lo temessero troppo per osare veramente farlo, ma non che non lo avrebbero pensato o desiderato.
Ma il tradimento postumo di Malfoy era troppo. Troppo subdolo, troppo infame per perdonarlo. La decisione era già presa.
Si vestì, preparò di nuovo una borsa da viaggio, creò una passaporta e si materializzò poco lontano da Diagon Alley.
Prese alloggio in un albergo babbano, dove poteva passare maggiormente inosservato, poi andò alla libreria magica, a cercare se vi fossero altri libri dello stesso “autore” che non fossero giunti al di là dell'oceano. Non ve n'erano altri, per la fortuna di Malfoy.
Il passo successivo fu attendere la notte. Si materializzò poco lontano dalla Malfoy Manor, dal lato sud, dove era celato l'accesso segreto, da cui entrava ed usciva ai tempi della guerra magica. Le misure di sicurezza rinnovate non potevano fermarlo e rise quando vide il nuovo guardiano della porta. Un serpente, un cobra velenosissimo, incantato per sembrare una decorazione, ma vivo e vegeto. Doveva davvero esser convinto di non correre più alcun pericolo da parte sua, se aveva osato mettere semplicemente un serpente a guardia di quell'entrata. Mormorò alcune parole in serpentese, allungò la mano verso l'animale e questo scivolò sul suo braccio, docile, salutandolo con piccoli tocchi della lingua che lo saggiava, e gli rispose ringraziandolo per averlo liberato. Lord Voldemort lasciò che il serpente gli si arrotolasse dolcemente attorno al collo, quindi aprì la porta e si nascose in uno dei corridoi segreti della Manor, sbirciando al suo interno attraverso i numerosi spioncini che la traforavano. Vide infine la famiglia riunita per una cena, a quanto pareva Draco aveva avuto un nuovo rampollo per proseguire la stirpe...
Li guardò con irritazione crescente inorgoglirsi per la loro razza, la loro famiglia che cresceva, il nome che proseguiva... e la tentazione di entrare ed ucciderli tutti era sempre più forte, sempre più pressante, ma non era quello che voleva veramente.
Non era lì per il resto della famiglia, era lì per lui, per Lucius.
Attese, tenendo faticosamente a bada l'impazienza, la rabbia, carezzando distrattamente il cobra che si scaldava contro il suo corpo, avvolto al collo, finchè la giovane coppia non si decise a tornare a casa e Narcissa andò a dormire, lasciando Lucius, come al solito, nello studio, a leggere e bere l'ultimo bicchiere di vino elfico, come d'abitudine.
Si materializzò davanti all'amico di un tempo, godendosi lo sgomento che lo colse a vederlo. Era come se vedesse un fantasma e non era tanto lontano dalla realtà.
"T-tu..."
Biascicò. dopo un tempo infinito, artigliando i braccioli della poltrona, pallidissimo.
"Io, si. In carne ed ossa, nel caso avessi il dubbio" rispose asciutto.
"Ma non... non è possibile.... sei morto... morto!"
"No." Si sedette di fronte all'altro, fece apparire un bicchiere e si versò un sorso di vino. "Non più. Sono vivo e vegeto."
"M-mio signore..." cominciò a dire, con il sudore che imperlava la fronte pallida, scorrendo anche lungo i capelli ormai quasi più bianchi che biondi.
Lord Voldemort alzò uno sguardo feroce sull'uomo, interrompendo qualunque cosa che potesse dire.
"Non mi chiamare così, Lucius. Non sono più il Signore Oscuro a cui hai giurato fedeltà, visto sopratutto quanto poco conta la tua fedeltà..."
"Sig... io... " il mago si passò una mano sul volto, guardandosi attorno, come in cerca di aiuto. Era convinto di dover morire, e si vedeva chiaramente. "La mia f... io credevo foste morto per sempre..."
"Lo pensavo anche io, Lucius..." disse assaporando il vino "Non sono tornato di mia spontanea volontà in vita, questa volta"
"I russi..." disse il mago, alzando lo sguardo timoroso sul Signore Oscuro, in quel momento più tenebroso che mai. "Ma so che sono morti, tempo fa..." restò senza fiato, a guardare Voldemort, con un lampo di comprensione negli occhi.
Voldemort annuì, senza aggiungere altro. Lo fissava, gelido, lasciandolo torturarsi dalla paura, dal dubbio, godendosi il suo disagio. Quanto era familiare e piacevole quella sensazione di potere, di dominio, su un mago così potente ed un uomo così arrogante come Lucius.... fin troppo, decise.
"Non sono tornato per riprovarci, Lucius." disse, osservando l'altro respirare profondamente alle sue parole. "Non sono più interessato a quello, no." Tacque, pensieroso. "Non sarei nemmeno venuto a cercarti, se non fosse stato per questo."
Estrasse la copia del libro che aveva ricomprato nel pomeriggio, prima di andare alla Manor, e la posò sulla scrivania presso la quale sedeva l'amico, che impallidì ancora di più. I suoi occhi saettavano dalla copertina al mago oscuro seduto di fronte a lui, e le mani cominciarono a tremargli.
"Io.. non volevo offenderti.. pensavo fossi morto..."
"Lo hai già detto, Lucius... cosa pensavi, dimmi, allora? Di farti i soldi sbertucciandomi? E senza nemmeno rimetterci la faccia, visto che non hai nemmeno avuto il coraggio di metterci il tuo nome."
Il mago biondo pareva respirare a fatica, si guardava attorno smarrito, senza sapere che dire.
Guardandolo Voldemort sentì sbollire la propria rabbia omicida. Bastava la sua sola presenza a far morire di paura quell'uomo, e ne provava talmente tanto orrore che la voglia di ucciderlo lentamente si assopì. Poteva quasi capirlo. Aveva vissuto nella paura, e quando lui era morto, aveva cercato di liberarsi del passato, raccontandolo.. e cercando una giustificazione per essersi asservito ad un uomo così crudele, così tirannico come era stato lui stesso. Ora lo capiva. Portò una mano al collo, a carezzare ancora il serpente, che si mosse sotto la sua mano per incontrarla e scaldarsi ad essa.
Il silenzio si protrasse a lungo, finchè Lucius ebbe il coraggio di fare la sola domanda che gli stava a cuore.
"Mi vuoi uccidere?"
Voldemort lo guardò intensamente, prima di rispondere.
"No. Non più. Non sono tornato per riprovarci.. e nemmeno per cercare vendetta. Altrimenti sarei tornato da te prima."
Il mago sospirò, accasciandosi sulla sedia. Sembrava così vecchio... molto più vecchio di lui, cui la seconda resurrezione aveva dato un aspetto ingannevolmente giovanile.
"Da quando..."
"Da un paio d'anni, circa." rispose, senza lasciargli terminare la domanda.
Malfoy allungò una mano, a prendere il bicchiere, ma tremava ancora tanto che quasi lo lasciò cadere.
"Ma non stai in Inghilterra... " chiese, dopo esser riuscito a bere un sorso.
"No. E non ho intenzione di dirti dove sto. Voglio solo avvertirti, Lucius. Non incrociare mai più la mia strada, nemmeno sotto falso nome." Lo fissò, glaciale. "Sei rimasto solo tu a poter riconoscere la mia faccia, gli altri sono morti. Vedi di sopravvivere a questa informazione. Se dovessimo mai incrociarci di nuovo, non ci siamo mai conosciuti, prima." Alzò la bacchetta, pronunciando a mente un incantesimo.
Una Traccia. Se il vecchio mangiamorte avesse mai osato pronunciare il suo nome, o scriverlo o altro, lo avrebbe saputo immediatamente. Il mago impallidì, senza sapere che cosa aveva fatto, ma comprese immediatamente.
"Non temere... nessuno saprà mai nulla di questo incontro. O che sei vivo. Nessuno, puoi credermi."
Lord Voldemort annuì, alzandosi.
"Non ho bisogno di crederti, Lucius. Lo so."
Pronunciò alcune parole in serpentese, mentre si toglieva il serpente dal collo, dicendogli di uccidere il mago, se lo avesse sentito pronunciare il proprio nome.... e lo posò sulla poltrona su cui era seduto.
Tornò a dare un'altra occhiata al mago, ancora seduto e tremante, quindi sparì in uno sbuffo di fumo, con un sonoro pop.

Riapparve in strada, guardò un'ultima volta nella sua vita Malfoy Manor, e non ci tornò mai più.
Tornato in albergo, a tarda notte, osservò a lungo le strade che si svuotavano, ripensando all'incontro. Aveva davvero pensato di ucciderlo... e non lo aveva fatto. Una volta lo avrebbe fatto senza nemneno pensarci, senza lasciare il tempo all'altro di parlare, a parte le urla che avrebbe emesso sotto i suoi Cruciatus. Era davvero cambiato, e stava diventando qualcos'altro. Non sapeva ancora cosa, ma la strada era ancora lunga, per saperlo. Ed ora voleva solo tornare a casa.
Al faro.

In giro per la città

Girava per casa, senza meta, finché non si decise a fare un giro a Lantern Square, così si chiamava l'omologo locale di Diagon Alley, per distrarsi un po'.
Il quartiere dei maghi di Nantucket era diverso da quello londinese: più ampio, per cominciare, ed aveva un aspetto più selvaggio, più marinaresco. Stranamente i maghi erano meno pittoreschi, in qualche modo assomigliano di più ai babbani del luogo.
Voldemort aveva già notato diverse volte di quanto fossero diversi i maghi americani rispetto a quelli inglesi, sono meno tradizionalisti, e la cosa un tempo lo infastidiva, ma ora non più. Anzi, quasi lo rilassava.
I negozi avevano comunque le stranezze tipiche del mondo magico: il mago si fermò a lungo davanti alla vetrina di un rigattiere che vende roba vecchia i cui incantesimi stavano cominciando a impazzire: teiere autoriscaldanti che rifiutavano l'acqua, tazzine che litigano con i cucchiaini, cravatte che si annodavano da sole ma solo a fiocco, scatole portagioielli che facevano sparire i gioielli per rimpiazzarli con sassi di fiume, portacappelli che trasformavano i cappelli in parrucche... il mago guardò a lungo divertito un baule che si apriva e si richiudeva, mostrando sempre un contenuto diverso, bagagli appartenuti a maghi di diverse epoche e di diversi luoghi del mondo, prima di decidere di comprarlo e vedere che cosa riusciva a tirarne fuori.
Girò ancora per il quartiere, ammirando il negozio di animali dove vendevano puffole colorate, barbagianni, creature magiche di ogni genere, meditando se comprarsi un gufo o un barbagianni, ed optando per quest'ultimo dopo averne visto uno particolarmente maestoso.
La libreria ovviamente attirò più di tutti la sua attenzione. I libri sugli scaffali erano tantissimi, era anche più fornita dell'omologa inglese, fornita di libri che nell'altra non vengono venduti, di magia piuttosto oscura... ma il mago li ignorò. Si fermò d'un tratto davanti ad uno scaffale... pieno di sue biografie.
Restò di ghiaccio. Per quanto fosse ovvio che lo avrebbero fatto, mai avrebbe pensato che qualcuno potesse scrivere di lui, oltre alla storia, per altro molto malamente rimaneggiata, che ne ha scritto Potter con quella scrittrice babbana.
Contò i volumi, ben 14. Li sfogliò, molti dicevano solo sciocchezze che incensavano Potter, e vistose inesattezze su di lui. Li scartò con fastidio, ma un paio...
Li portò alla cassa, ed il commesso li commentò mentre glieli faceva pagare.
"Ottimi libri, sa? Descrivono bene che razza di uomo doveva essere... un pazzo maniaco, ma peccato, così tanto potere in mano ad un tizio così fuori di testa!"
Voldemort guardò il commesso, con la tentazione di fargli rimangiare le parole a suon di crucio... ma qualcosa si mosse in lui e si trovò a sorridere.
"Già... chissà che sarebbe diventato, se non avesse voluto conquistare il mondo, eh?"
"Veramente! dicono fosse potentissimo! ma lei che è inglese, ne sa magari anche più di me... "
"Io? No, ero in giro per il mondo sia la prima volta che salì al potere che quando è tornato... ne so solo per sentito dire."
Sorrise, guardando la propria foto in copertina di uno dei libri. Era sorprendente come non lo riconoscesse più nessuno, da quando il suo volto era tornato integro.
"Meno male, buon per lei! buona lettura allora, signor.. signor?" chiese il commesso.
Lord Voldemort alza lo sguardo. "Crowley! Tom Crowley!" rispose, senza nemmeno pensarci.

Tornato a casa, si mise in veranda a leggere, con un tazzone di te accanto, la vista piena sul mare ed il pacchetto di erba pipa accanto.
Cominciò a leggere il primo, che praticamente conteneva le stesse cose raccontate da Potter, ma con un tono più giornalistico. Niente di speciale. Fu il secondo a lasciarlo di stucco. Scritto evidentemente da un mangiamorte che doveva conoscerlo anche piuttosto bene, da come ne parlava e da cosa raccontava. Particolari inediti, che nessuno a parte pochissime persone potevano sapere. L'autore si firmava Larry Williams, ma non ci sono mai stati mangiamorte con quel nome... era evidentemente uno pseudonimo. Lesse avidamente, fino ad un episodio che lo folgorò. Perché coloro che vi avevano assistito erano tutti morti, alla battaglia finale di Hogwarts o pochissimo dopo. Il solo sopravvissuto era il solito, infingardo, viscido Lucius Malfoy.
Folgorato, Voldemort rilesse dei passaggi, riconoscendo lo stile di scrittura, l'intercalare, la punteggiatura... sì, non poteva che esser lui, l'amico di un tempo. il traditore. Forse il peggiore, anche più di Piton, di cui aveva scoperto il tradimento al suo ritorno in vita. Ma almeno era stato un nemico all'altezza, un traditore di razza. Malfoy si era solo dimostrato un subdolo opportunista, pronto a stare sempre e solo dalla parte dei vincitori...
Voldemort restò di sasso, e poi si senti invadere da una furia omicida. Quel bastardo aveva raccontato la sua infanzia, la sua vita... tutto quello che sapeva di lui. E ne sapeva veramente tanto, persino più di quanto Voldemort stesso sospettasse.
Si alzò furibondo, sbattendo il libro per terra, andò al balcone a guardare il mare, il cielo, cercando di calmarsi.
Non aveva cercato che pochissimi dei vecchi mangiamorte, da quando era tornato.
Dolohov, il vecchio, era morto. Il giovane era un fanatico nostalgico che era meglio evitare, si sarebbe aspettato anche lui che tornasse alla carica per conquistare il potere nel mondo magico, e non voleva più farlo. I Rookwood ancora vivi erano ad Azkaban, come molti altri.
Lucius Malfoy era sempre allo stesso posto, sorprendente. Arrogante, arroccato nella sua villa, ricchissimo, sempre immanicato come un mafioso. Voldemort lo aveva evitato di proposito, era uno dei pochissimi sopravvissuti tra i mangiamorte a poterlo riconoscere guardandolo in viso, visto che si erano conosciuti proprio quando il Signore Oscuro aveva ancora quella faccia. Ne aveva viste delle foto sulla Gazzetta del Profeta, identico, anche se palesemente invecchiato. Aveva deciso di non andarlo a cercare, sotto sotto pensava che avrebbe persino potuto venderlo al ministero, per salvaguardare la propria posizione... visto che la moglie lo aveva tradito per salvare il figlio. Quel ragazzetto, che ora occupava un posto al ministero, sempre obbediente ai voleri del padre, sposato per interesse ad una fanciulla di origini nobilissime, come lui.
Voldemort si era stupito di provare un enorme fastidio a leggere la notizia del matrimonio del ragazzo, della loro perpetua arroganza legata alla stirpe, alla tradizione. Un tempo lontano ci credeva, era la sola cosa che contasse, per lui, ora, proiettata su quel viscido opportunista, lo disgustava. Si rese conto, leggendo articoli su quello che riteneva un amico, che non era mai stato altro che un laido voltagabbana, pronto a stare dalla parte del potere, e non un vero seguace della causa.
Ma quale causa, poi?
Ogni volta che ci ripensava, Voldemort si sentiva svuotato. Niente pareva avere più senso, nulla.
Ma ora... vedersi mettere così in piazza da quel figlio di puttana lo faceva ribollire. Che diritto aveva di farlo?
Si girò nuovamente a guardare il libro, accartocciato per terra. Lo risollevò, lo rilesse, cercando di andare oltre le notizie, interpretando il tono, la volontà con cui era stato scritto. Quello che trovò era anche peggio, c'era un tono quasi di pietà, commiserativo. Come dire, poveretto, era tanto cattivo perché lo avevano maltrattato da piccolo. Era uno sfigato che cercava un posto nel mondo che non aveva, e pensava di poterselo guadagnare con la sopraffazione, mentre la nobiltà è altro.
Scagliò nuovamente il libro lontano, direttamente nel camino acceso, stavolta. Lo guardò bruciare, pensando di andare a far fare la stessa fine anche a quel pezzente arrogante del suo ex amico.
Se lo ricordava, le prime volte che lo aveva conosciuto. Pieno di adulazione, ossequiente... erano diventati amici, quanto poteva esserlo all'epoca Lord Voldemort con un qualunque essere umano, visto che non riusciva più a provare altro che disprezzo per l'umanità, da lungo tempo, da quando si era visto dividere l'esistenza tra il rispetto dei maghi a Hogwarts, per le sue indiscutibili capacità magiche, ed il disprezzo ancora più evidente dei suoi compagni di orfanotrofio, che anno dopo anno lo vedevano tornare sempre più diverso da loro.

martedì 3 novembre 2009

il ritorno del signore oscuro...


Una nota per spiegare perchè il signore oscuro è così diverso, su FFB.. perchè il lord voldemort che racconto è così diverso da quello che è narrato da JKR. decisamente OOC, certo, con molti più dubbi, ed in cerca ci un significato diverso della vita. forse mi somiglia fin troppo ma pazienza. stasera sono in vena di malinconiche riflessioni, beccatevele anche voi! XD


Sono tornato, si, per la seconda volta. Stavolta però non c'entro nulla. Mi hanno riportato in vita dei seguaci, e devo ammettere che hanno fatto un lavoro anche migliore del mio. Mi hanno ridato un volto umano, ho il mio naso, i miei capelli, i miei occhi. Ho l'aspetto che avrei avuto attorno ai quaranta, se non avessi spezzato la mia anima per farne Horcrux. Hanno esumato il mio cadavere dal cimitero dov'ero stato sepolto, vicino a mio padre, ironia del destino. Hanno tirato fuori quello che rimaneva di me, dopo 5 anni dalla battaglia finale di Hogwarts, ed inizialmente mi hanno trasformato in un Infero. Hanno rimpolpato le mie ossa, con calma, dedizione, pazienza, e quando il mio corpo era stato restaurato abbastanza hanno evocato la mia anima. Mi sono “risvegliato” su un altare, nudo, gridando di dolore, mentre un paio di maghi e di streghe brandivano i frammenti dei miei Horcrux e cantilenavano incantesimi... mi sono sentito invadere dal dolore e dal piacere, mentre rientravo nel mio corpo, e poi sono svenuto per giorni. Mi sono ripreso solo per la fame, praticamente, e mi sono trovato circondato in un istante da volti adoranti, pronti a soddisfare ogni mia esigenza... ma ricordo pochissimo di quei primi giorni, se non le cure della gente che mi circondava, mormorando un nome che ricordavo a mala pena. Quello che ricordo era il dolore che sentivo. Non fisico, no, piuttosto una terribile sensazione di nostalgia. Era come se mi avessero portato via da casa, per catapultarmi in un luogo lontano e pieno di dolore. Credo di aver pianto come mai prima di allora, in quelle prime notti, senza nessuno che ascoltava le mie lacrime, senza nessuno a battermi su una spalla. All'orfanotrofio c'era un ragazzino che mi consolava sempre, quando piangevo. Si chiamava Harry, che coincidenza. Se lo portò via la tisi, quando avevamo otto anni. La stessa estate cominciai ad usare i miei poteri per far male, tre mesi dopo che avevo perso il solo amico che ho mai avuto in vita mia. E quelle notti lo ricordai, per la prima volta da decenni, e lo piansi, come se fosse appena morto.

Lentamente cominciai a recuperare tutti i miei ricordi, ed anche una sensazione di tristezza che non avevo mai provato in vita mia... Credo che abbiano davvero fatto un lavoro anche migliore del mio, per la mia seconda resurrezione, ma non posso dire di esserne contento. Credo che abbiano recuperato la mia anima, nella sua integrità. Con tutto quello che ciò comporta, in termini di coscienza e consapevolezza. Un conto è essere un assassino senza che questo comporti grandi rimorsi. Un altro è esserlo con la piena consapevolezza del male compiuto, in tutti i dettagli. È da allora che non sono più sicuro di ciò che sto facendo, che vogliono che io compia. Ora che sono tornato, i miei seguaci sembrano anche più determinati di prima ad aiutarmi a riconquistare il potere, ma sono io a non esser più sicuro di volerlo. Mi è stata data un'altra occasione e non sono sicuro di voler ripercorrere la medesima strada. Ma se loro si accorgono dei miei dubbi, che mi faranno? Nessuno è più in pericolo di un comandante dubbioso davanti ad un esercito di fanatici...

Sono passate settimane, prima di scoprire quanti erano a conoscenza del mio ritorno. Poco più di mezza dozzina. Li ho uccisi tutti, senza alcuno scrupolo, come un tempo. Non volevo che ci fossero altri a conoscenza del mio ritorno, colmi di aspettativa su quello che avrei dovuto fare, secondo loro. Non voglio più tornare ad esser quello che ero prima. Il sogno è spezzato, l'ambizione è morta con la mia vita precedente.

Ho fatto un test. Sono stato a Diagon Alley, ho camminato tra i maghi che mi temevano. Nessuno mi ha riconosciuto. Sono tornato anonimo, con il mio vero volto. Mi sono scoperto persino attraente, a giudicare dalle occhiate ammirate delle streghe che incrociavano il mio sguardo, che cercavano il mio sorriso.
Ho anche pranzato a due passi dal mio nemico di un tempo, Potter, già. Mi ha guardato senza riconoscermi. Mi ha chiesto il posacenere, posato sul mio tavolo e lo ha preso tra le mie mani, mi ha guardato, senza immaginare nemmeno lontanamente chi aveva davanti. Avrei potuto ucciderlo in quell'istante, ma non aveva più alcun senso. Non mi importa più se vive o muore, l'ho compreso guardandolo. Mi ha persino fatto pena: lo guardavano tutti, sorridendogli, facendo complimenti, tutti che si ricordano che cosa ha fatto. E lui che si vergognava di tanta celebrità. Poveretto. Da bravo orfano non sa accettare di esser amato. Non riesce a far pace con il fatto di suscitare amore, gli sembra sempre superfluo, immeritato. Mi ha fatto pena, ed ho capito che stavo provando pena per il riflesso di me stesso nei suoi occhi. È stato più di quanto potessi sopportare, me ne sono andato. Lontano.
Ho attraversato l'oceano per trovarmi un posto nuovo, una vita nuova, un luogo dove il mio nome non avesse alcun significato.

Curioso. Ho cercato di farmi un nome temibile, al punto che nessuno osava più pronunciarlo. Ho cercato di dimenticare il mio nome vero. Ed ora voglio un nome che non dica più nulla a nessuno. Ho cercato l'amore, ed ho trovato il desiderio. Ho cercato di imparare ad amare, per vedere se aveva davvero un senso, ed ho scoperto dolori più grandi dell'incapacità di amare. Mi hanno battuto perché sapevano soffrire? O perché trovavano un senso nel soffrire per amore? Io non lo so. So solo che cercare la pace di fronte al mare del mio faro, mi sta dando un senso più profondo di quello che ho mai trovato nell'ambizione di potere che mi ha divorato per tanti anni. Cerco la pace. Aspetto che questa nuova vita che mi è stata data mi insegni a star bene con me stesso, più di quanto sia riuscita l'ambizione della mia vita precedente.

Che gli dei mi aiutino, visto che maghi ed uomini non sanno farlo.
Di fronte al mare in tempesta che cerca di abbattere il faro in cui abito, sull'altra sponda dell'oceano, mi ritrovo uguale a me stesso, eppure diverso. So che la mia strada è sgombra dalle aspettative di un tempo, ma non ho ancora scoperto cosa sto cercando. Aspetto che il mare plachi la tempesta che sento dentro, per trovare la risposta celata in piena vista, il bisogno che mi dica, ecco, questo è quello che voglio.

Lord Voldemort è morto e sepolto. Tom Orvoloson Riddle è dimenticato. Non sono più colui che non può esser nominato. Sono colui che ancora non ha nome, come una pietra, un albero, esisto. E questo basta, per ora. Forse.

domenica 11 ottobre 2009

Pensieri Sparsi


Un uomo Sacro ama il silenzio, ci si avvolge come in una coperta: un silenzio che parla, con una voce forte come il tuono, che gli insegna tante cose. Uno sciamano desidera essere in un luogo dove si senta solo il ronzio degli insetti. Se ne sta seduto, con il viso rivolto a ovest, e chiede aiuto. Parla con le piante, ed esse rispondono. Ascolta con attenzione le voci degli animali. Diventa uno di loro. Da ogni creatura affluisce qualcosa dentro di lui. Anche lui emana qualcosa: come e che cosa io non lo so, ma è così. Io l'ho vissuto. Uno sciamano deve appartenere alla terra: deve leggere la natura come un uomo bianco sa leggere un libro.
Cervo Zoppo
Sioux


Ho bisogno di silenzio, come di una coperta che mi avvolga... ho bisogno di guardarmi attorno e contemplare le cose dalla distanza fornita dal silenzio della mente, di vedere la solita realtà da una prospettiva diversa. Cammino per le strade della città, parlo con conoscenti, amici, colleghi, ma una parte di me sta cercando di sfuggire a questa sensazione di inutilità, di ritrovare la sensazione, la convinzione che tutto ha un significato, un valore... guardo il cielo, le strande, le facce delle persone, cercandolo... ma non lo trovo.
Temo che il solo posto dove trovare il senso sia quello dove sto cercando di non guardare, perchè temo che mi faccia ancora del male... il posto dove pulsa, dove batte.... dove duole... mi faccio coraggio e guardo. E non ci trovo nulla che dolga, se non la mia paura di farmi ancora male.
Chissà... ora gli orizzonti si allargano... la lunga strada verso casa diventa più luminosa e si accorcia... non ho fretta di percorrerla, so che casa può esser dietro l'angolo e riscopro la voglia di godermi il paesaggio, mentre ci vado. Chi lo sa, magari ci sono belle locande, sul percorso... e buone compagnie da trovare.

domenica 20 settembre 2009

L'equipaggiamento da mago

 Pozioni magiche di natura non meglio identificata per i babbani..


 
Athame o coltello magico. 

Bacchetta magica.


Grimorio, o libro delle ombre. Indispensabile ricettario magico, spesso scritto di proprio pugno dal mago.

domenica 23 agosto 2009

DOLORE - una Dramiome...


DOLORE
A volte mi sento come se andassi in giro con una nove millimetri in tasca, con troppi proiettili che aspettano di venire usati. Sento il furore che mi viaggia dentro come un demone ululante, la rabbia di essere qui e non aver nulla a che fare con tutta questa gente, che di me vede solo una maschera, ma non ha idea di cosa ci sia dietro.
Non mi riconosco nella massa, e nemmeno nella minoranza.
Io sono unico.
No, io sono solo.
Tutti vedono solo quello che vogliono vedere: il bastardo arrogante figlio di papà, da disprezzare senza ombra di dubbio, oppure l’aristocratico rampollo di antica casata Purosangue, da venerare senza conoscere veramente. Nessuno prova a guardarmi davvero negli occhi. Mi sembra di avere solo due dimensioni, a volte, due colori. Un fumetto in bianco e nero, una caricatura di uomo, messo a viaggiare su binari prestabiliti, senza che nessuno mi chieda che cosa voglio davvero. Questo io sono.
Draco Malfoy, l’inganno.
Per tutti, tranne che per… te.
Non avrei mai creduto che potesse succedere, avrei riso sino alle lacrime, se qualcuno me lo avesse detto solo tre mesi fa. Ma tre mesi fa non ti avevo mai guardato in quel modo, né tu avevi guardato me in quel modo.
Ma perché proprio TU?
Tra tutte, tu, Hermione Granger?
Leggo e rileggo il libretto che mi hai messo in mano giorni fa, passandomelo sotto il banco. Romeo e Giulietta. Quel dannato Babbano rinascimentale ha già scritto tutto di noi due, cinquecento anni prima che nascessimo.
Ma io non voglio finire come loro.
Il fatto è che non ho la più pallida idea di come andremo a finire, perché ho un segreto che tu non sai, mio impossibile amore.
Mi hanno marchiato, amore mio, mi hanno condannato. Ho il maledetto Marchio Nero sul braccio, ora, a bruciarmi di orrore e di colpa.
Devo uccidere Silente e non posso tirarmi indietro. Il tuo caro amico mi segue come un’ombra, temo cominci a capire, e mi bracca anche Piton, che farebbe di tutto per mostrare la sua fedeltà all’oscuro signore, ma Lui lo ha chiesto a me, minacciandomi di morte se fallirò. Minacciando la sola cosa alla quale abbia mai tenuto, finora. La mia famiglia, la mia adorata madre, mio padre.
Non sono nulla senza di loro, ed ora la loro vita dipende da me.
Ma io so già che non ce la farò. Ho paura, mio Dio, ho paura, Hermione, io non sono un assassino!
Vorrei che il furore che mi porto dentro, la rabbia per ciò che sono costretto a fare si scatenasse e mi trasformasse nell’omicida che il Signore Oscuro vorrebbe, ma la verità è che il solo cui avrei davvero il coraggio di far del male sono io stesso. Vorrei fuggire da tutto questo in qualunque modo possibile, ma il solo a cui riesco a pensare lo ha già scritto il Bardo, cinquecento anni fa, e sarebbe scontato ripeterlo, no?
Vorrei almeno poterti dire tutto, mio unico vero amore, ma non posso.
Come potrei? Sono sulla via della corruzione, della depravazione assoluta, non voglio corrompere anche te, ora che ho finalmente capito che cosa sia realmente la purezza. Ora che ho capito che non c’entra nulla con il sangue, amore mio. Ora che so che c’entra con il cuore. Mio candido amore, come posso dirti dove sto andando? Perché da giorni cerco di evitarti in tutti i modi?
Così ti scrivo infinite lettere, amore mio, come questa. Lettere che leggerai, forse, solo quando sarà troppo tardi. Quando ogni cosa avrà incontrato il suo destino, e noi, ed io, il nostro.

§§§

Hermione entrò nel bagno, sperando di trovare assorbenti nel distributore. Era pieno, per fortuna. Quella mattina aveva già messo un salvaslip, sospettando che le sarebbero arrivate le mestruazioni, così quando ebbe la conferma delle sue sensazioni, dovette solo cambiarsi e non salire al dormitorio a lavarsi, perdendo tempo prezioso tra una lezione e l’altra.
Mentre eseguiva il cambio, sentì entrare qualcuno. Due voci bisbiglianti, di cui una inequivocabilmente maschile. S’infilarono nel bagno vicino al suo e poté sentirli meglio.
Perderemo Storia…” disse lei a voce bassa.
Chi se ne frega… questo è più divertente” rispose lui, la voce strascicata carica di desiderio.
Hermione restò senza fiato. Lei non la riconobbe, ma su di lui non c’erano dubbi: Draco Malfoy. Li sentì baciarsi, ansimare, vestiti che frusciavano, poi il rumore di una zip che veniva abbassata.
Ah, sì…” gemette roco Malfoy, “Brava Pansy, così…”
Lo ascoltò ansimare profondamente e suo malgrado Hermione sentì l’eccitazione crescerle in corpo, una fiamma liquida che le saliva dal basso per attraversarla completamente. Voleva andarsene, ma non riusciva, era inchiodata ad ascoltarli, affascinata. La sua mente si riempiva d’immagini della coppia, li vide baciarsi, toccarsi, esplorarsi… lei non si sentiva più, mentre dalla gola di Draco uscivano sospiri rochi e gemiti di piacere.
A - Aspetta, Pansy, aspetta…” disse Draco col fiato corto, “Non ti voglio venire in bocca, stavolta,” continuò con voce rotta, “Vieni su dai, scopami per bene…”
Il calore, la sensualità, l’intimità nella voce di Draco eccitarono Hermione ancora di più. Si mise una mano sulla bocca per non farsi sentire e con l’altra si toccò, stringendosi attraverso l’assorbente, maledicendo le mestruazioni, imbarazzata ed eccitata allo stesso tempo.
Dall’altra parte del divisorio ci furono altri rumori di vestiti, ansiti, bisbigli troppo bassi per essere distinguibili, poi la voce di Draco, nuovamente: ”Dai, infilatelo dentro…”
Sì, Draco, sì!” la voce di Pansy Parkinson era carica di sensualità, conturbante.
Hermione li ascoltò baciarsi, gemere, respirare sempre più affannosamente. La sua mente si riempì di altre immagini, Draco seminudo, la camicia aperta su petto e ventre asciutti, modellati dal Quidditch, seduto sul water, i pantaloni calati, e Pansy sopra di lui a cavalcarlo con foga, la gonna attorno alla vita, la camicia sbottonata ed il reggiseno sollevato sopra i seni abbondanti, su cui le mani di Draco si stringevano prepotenti. Ed i loro sessi uniti a ballare la danza del fuoco. Hermione strinse la mano sull’assorbente, muovendolo contro la sua femminilità, sperando che non la sentissero mentre soffocava a stento i suoi sospiri.
Di nuovo fu Draco a rompere il silenzio.
Ferma… dai, alzati.” bisbigliò roco.
Ancora respiri mozzi.
Ora girati…”
E poi i sospiri di lei, quando Draco la penetrò da dietro. Hermione udì i colpi, carne contro carne, farsi sempre più forti, i loro respiri più affannosi e frequenti, i gemiti più rochi e profondi, finché stavolta fu lei a parlare per prima.
Ah, sì! Draco, sì! Sì!”
E Draco, pochissimi istanti dopo: ”Oh, sì, vengo! Vengo…” con un gemito finale più profondo e roco degli altri. Anche Hermione venne insieme con loro, dall’altra parte del divisorio.
Gli ansiti divennero respiri lunghi e profondi, baci che Hermione non faceva nessuna fatica ad immaginarsi più dolci ed intensi, poi sentì la coppia muoversi, rivestirsi, ridacchiare sommessamente.
Esci prima tu,” disse Draco sottovoce, “Io ti raggiungo tra un attimo”
Hermione udì lo schiocco di un bacio lieve, la porta che si apriva e la ragazza che usciva con passo leggero. Si rannicchiò in silenzio sul water, aspettando che anche Malfoy uscisse per sgattaiolare via, quando fu sorpresa dalla voce del ragazzo, ancora più melliflua e strascicata del solito, cui l’orgasmo appena raggiunto aveva lasciato un tono più caldo e liquido.
Allora, Granger, t’è piaciuto lo spettacolo?” chiese con una voce così bassa e sensuale da farla avvampare e riempire di fuoco.
Lo so che sei lì dentro, Granger, ti ho vista entrare, prima… ti ho sentita godere …” continuò con un tono carezzevole che Hermione non aveva mai immaginato possedesse. La ragazza si lasciò sfuggire un piccolo gemito. Draco dall’altra parte della parete sorrise.
Hai assaggiato il frutto proibito, Hermione?” chiese, pronunciando il suo nome per la prima volta da quando si conoscevano, con calcolata lentezza. “Hai sognato ciò che non puoi avere?” concluse con una risatina sommessa.
Hermione sentì che accarezzava la parete tra di loro con le unghie, poi il ragazzo uscì, senza aggiungere altro.

§§§

Sembrano passati cent’anni dalla prima volta che abbiamo smesso di guardarci come nemici, ma sono passate solo poche settimane. Te lo ricordi?
Ti vidi entrare in quel bagno, lo stesso dove stavo andando a scopare con Pansy. Poveretta, sono anni che mi viene dietro, si fa stupidamente usare, come un giocattolo. Come possa avere così poca stima di sé, non so capirlo. Tu saresti capace, lo so. Forse proveresti a spiegarmelo, saresti capace di farmelo capire, tu che sai guardare così bene nel cuore delle persone da aver visto che cosa ho nascosto nel mio, tu che sei così sensibile, compassionevole, comprensiva, mio dolce amore. Rimanesti nel bagno accanto al nostro e ci ascoltasti fare sesso. Lo sapevo che non riuscivi ad andartene, ti percepivo. Sono diventato un Legilimante troppo esperto per non accorgermi di ciò che sente la gente attorno a me, anche nei momenti più impensati. Sentii il tuo turbamento. La tua eccitazione. Non immaginavi certo che ci fosse gente tanto sfacciata da far sesso tra le mura di Hogwarts, vero? Sapessi quanto se ne fa, sotto questo vecchio tetto …
Sentii il tuo desiderio, lo assaporai, come un nettare. Nei giorni successivi mi beai del tuo imbarazzo, del fatto che non riuscivi più a guardarmi negli occhi. Ero riuscito, con una semplice, casuale scopata a farti molto più effetto che con anni di insulti. Il ricordo della tua esperienza, in quel bagno, non ti lasciava mai, lo sentivo, lo vedevo. Lo percepivo come un profumo dolcissimo ed intossicante. Cominciai a desiderare di poterti foraggiare di altro desiderio, mi piaceva che mi considerassi eccitante, che il mio sguardo potesse turbarti mi dava un piacere inatteso. Mi accorsi che cominciavo a guardarti, sempre più spesso.
Il tuo passo svelto, da una classe all’altra.
Le mani macchiate d’inchiostro, come una bambina pasticciona.
Gli occhi sempre sui libri, le occhiaie che a volte ti vengono, quando studi troppo.
I capelli selvaggi, a stento trattenuti da fermagli sempre troppo piccoli per quell’incredibile cespuglio ramato che ti scorre sulla schiena.
Il tuo seno, i fianchi, accarezzati dai tuoi lunghissimi capelli.
Il rossore che t’imporpora ogni volta che senti il mio sguardo addosso.
Fu una scoperta accorgermi che mi guardavi con desiderio, che cercavi addirittura di non guardarmi. Sentivo il tuo sguardo, quando pensavi che non mi accorgessi di nulla, come una carezza e lasciavo che mi guardassi, inebriato. Quante volte ho cambiato posizione, mi sono slacciato la cravatta, i primi bottoni della camicia, solo per farti vedere meglio il mio corpo, la mia pelle. Quante volte ti ho mandato immagini sessuali di noi due solo per vederti arrossire, e quante ti ho vista arrossire solo perché rispondevo al tuo sguardo con un sorriso o mordicchiandomi le labbra… non avevo raccontato a nessuno, nemmeno a Pansy che ci avevi sentiti, era una specie di giochetto tutto nostro, con cui mi trastullavo pensando di aver trovato un modo tutto speciale, intimo, per poterti tormentare finché non mi fossi stufato, da usare contro di te magari in un secondo momento, rinfacciandotelo solo quando fosse diventato noioso… non sapevo quanto mi avrebbe coinvolto personalmente, non ne avevo sentore che mi avrebbe toccato così profondamente.
Non hai idea di come mi sentii a scoprirmi attratto dal genere di persona che sono stato educato a disprezzare. E proprio quando mi si chiede la maggior prova di fedeltà alla causa - mio Dio, ma che scherzo del destino può essere questo? Che perverso senso dell’umorismo può avere Dio, se ci fa tutto questo?

§§§

Hermione cercò per giorni di evitarlo, ma ogni volta che lo vedeva, seduto al banco, non riusciva a fare a meno di guardarlo. La linea della mandibola, un vaghissimo accenno di barba, solo ogni tanto, le spalle allargate dal Quidditch, le gambe lunghissime, le mani… Merlino, quelle mani lunghe affusolate, candide, non riusciva a smettere di immaginarle strette sul suo seno. E quelle labbra. Si accorse solo allora che Draco Malfoy aveva labbra così ben disegnate, non troppo carnose né troppo fini, sicuramente morbide, e che aveva quella dannata abitudine di mordicchiarsele, distrattamente, quand’era soprappensiero. I suoi occhi grigi non le sembrarono più così freddi, quando cominciò a sentirseli addosso nelle ore di lezione, così carichi di desiderio da farla avvampare.
Non aveva osato parlare con nessuno, nemmeno con Ginny, di quello che era successo in bagno, nonostante l’amica, vedendola tornare in dormitorio turbata e sconvolta, le avesse chiesto per tutto il giorno che cosa le fosse successo. Non riusciva a smettere di tornare con la memoria a quell’episodio. Si scoprì a sognare come poteva essere far l’amore con Draco Malfoy, con suo enorme sgomento. Le venivano in mente immagini del suo corpo, lo sognava mezzo nudo, che l’aspettava languidamente steso sul suo letto in dormitorio, a guardarla con desiderio, mentre si accarezzava gli addominali con lascivia… occupava costantemente il suo cervello, notte e giorno, al punto di impedirle di studiare, oltre ogni sua capacità di intervento. Lo osservava di nascosto, sbalordita di non essersi mai accorta di quanto fosse bello, di quanto fossero abbaglianti i suoi occhi o radiosi i sorrisi che faceva agli amici o alle ragazze serpeverde, scoprì di provare gelosia persino per il modo scontroso con cui trattava Pansy Parkinson, che evidentemente non era altro che un vago passatempo. Quant’erano eleganti e sensuali i suoi movimenti, quando si stiracchiava in classe, slacciandosi la cravatta ed il colletto della camicia, mostrando quei pochi centimetri di pelle sul collo, sul petto… ma non sopportava di vederlo sorriderle, era palese che si era reso conto di averla messa in imbarazzo e si divertiva alle sue spalle, mandandole sorrisi, sguardi allusivi, come se pensasse “Ti piace quello che vedi, Mezzosangue? Ti piacciono i Purosangue, ora?”. Si godeva il suo disagio e ne rideva con gli altri, ne era certa. Non poteva sopportarlo.
Un pomeriggio s’incrociarono in un corridoio vuoto, lei che usciva dalla biblioteca con una bracciata di libri e lui che ci andava, e Draco le rivolse la parola, solleticato dal fatto che fossero soli, in quel momento.
Hermione…” disse con la sua voce più strascicata “Sempre carica di libri? Pensi davvero di trovare in quelli la risposta ai tuoi desideri più segreti?”
Sogghigno, come faceva di solito, ma nei suoi occhi c’era qualcosa di ben diverso dal solito. Hermione non poté impedirsi di trovarlo ancora più bello. Avvampò, cercando la solita risposta tagliente, ma la sola a venirle in mente fu un debole “Fatti i fatti tuoi, furetto” che non era certo quello che gli avrebbe detto in tempi migliori… Lui ridacchiò, poi con un colpetto le fece cadere la pila di libri; lei furente fece per chinarsi a raccogliersi, ma prima di riuscire a capire che cosa stava capitando, lui la prese per un gomito, la strinse a sé e la baciò. Prima di rendersi conto di cosa stava facendo, Hermione rispose con passione, aggrappandosi a lui come se dovesse sparire da un momento all’altro, e quello che era partito come un semplice e bizzarro dispetto si trasformò in un bacio profondo ed appassionato. Si lasciarono con il fiato corto, dopo qualche istante. Draco la guardava con uno sguardo che Hermione non aveva mai visto nei suoi occhi, desiderio, turbamento, shock, addirittura, il viso solitamente pallido arrossato dall’emozione, per un attimo si strinsero, senza dire nulla. Poi lui cercò nuovamente le sue labbra, ma lei sfuggì al suo abbraccio con una mossa rapidissima, raccattò in fretta e furia i suoi libri e fuggì lungo il corridoio, lasciando il ragazzo immobile a chiedersi che accidenti gli fosse preso a baciarla così.
Hermione arrivò in dormitorio in un lampo, si nascose nella sua stanza vuota e si toccò le labbra, sconvolta da ciò che era accaduto e soprattutto dall’emozione che aveva provato. Aveva ancora il suo sapore in bocca: Draco era notoriamente un goloso, riceveva settimanalmente pacchi di dolci da casa e doveva aver appena mangiato del cioccolato, perché era quello il sapore che sentiva.

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Il nostro primo bacio, in quel corridoio oscuro e deserto, dove cercavamo ancora di litigare come una volta. Cercando di far finta che non fosse cambiato nulla, prima che fossero i nostri istinti a decidere per noi. Non dimenticherò mai il tuo sguardo, la passione, il desiderio, l’imbarazzo che scorsi nei tuoi occhi.
Le tue mani, aggrappate alle mie spalle, nei miei capelli, sembrava che volessi divorarmi, accertarti che fossi proprio io a baciarti, il gemito che emettesti quando cominciasti a ricambiare il mio bacio, l’avidità con cui la tua lingua cercò la mia, come se avessi trovato la sola fonte che poteva placare la tua sete.
La fiamma che mi attraversò, Hermione, il desiderio incandescente e inestinguibile che accendesti in me, così travolgente che ti avrei fatta mia lì, sul pavimento tra i libri, incurante di tutto tranne che dell’odore dei tuoi capelli. Non ho idea di cosa sarebbe davvero potuto accadere, se tu non fossi fuggita via. So solo che da lì in poi qualcosa si è totalmente trasformato in me, ed io non sono più l’uomo che ero prima. A piccoli passi qualcos’altro contro cui ho strenuamente combattuto e perso si è fatto strada nella mia anima, trasformandomi in ciò che sono ora.
Se prima ero Draco Malfoy, orgoglioso Purosangue Serpeverde, ora sono solo Draco, innamorato senza speranza e condannato a morte.
Non avevo mai amato prima, non sapevo che fosse così potente.
Ho provato a combattere quello che provavo per te, pensavo di poter sconfiggere il desiderio, l’avevo scambiato per semplice bramosia, ma non è così. Non ho mai saputo che cosa fosse l’amore finché non ho toccato te. Mi sono costruito una reputazione di seduttore, attraverso troppi corpi, troppe labbra per ricordarle tutte, ma con te è diverso. So bene che pensi che mi sbagli, che sia solo il desiderio per il proibito a farmi bruciare così, so che vuoi crederlo con tutta l’anima che il nostro sia solo desiderio carnale, che non c’entri nulla con l’amore, speri di sbagliarti perché non vuoi credere di potermi amare o che io possa amare te, ma non è così e lo sai, anche quando lo neghi.
Lo sai quanto me, Hermione.
Io conosco la passione, so che si esaurisce quando hai esaudito il desiderio, che si spegne quando la brama è appagata. Ma io non sono mai appagato di te. Del tuo sguardo, delle tue carezze, delle tue timidezze, delle infinite parole sotto cui cerchi inutilmente di seppellire i miei sentimenti, i nostri sentimenti. Vorrei dormire tutte le notti accanto a te, sentire il tuo respiro, ascoltarti mentre ti addormenti appagata con la testa sulla mia spalla, la mano sul mio sesso, dopo che abbiamo fatto l’amore, come quella volta nella Stanza delle Necessità. Vorrei essere l’uomo che tu meriti, quello che può renderti felice, che ti può amare alla luce del sole e portarti in giro mano nella mano, ma non sono io. Questo mi tormenta, più del Marchio che brucia sempre di più sul mio braccio. Vorrei non averlo mai ricevuto, vorrei essere solo un normale studente di questa scuola, vorrei essere una persona diversa, migliore, solo per te, ma non posso.
Dio, non posso!
Io sono Draco Malfoy, non posso sfuggire al destino che mi stringe nelle sue spire, come il serpente cui ho giurato devozione!
Il tuo amico ha cominciato a seguirmi, lo sento. Percepisco il suo sguardo indagatore su di me, si chiede perché diserto il Quidditch. Lo vuoi sapere? Perché ho paura. Paura di trovare l’altezza, l’abisso, troppo attraente, troppo invitante. Ho paura di soccombere alla chiamata del campo sotto di me, che mi parla di riposo, di sonno eterno, di oblio. È solo grazie a te che continuo a vivere, è a contatto con le tue labbra che dimentico di sentire che sto morendo, che dimentico che sono freddo e piangente, che sono di nuovo vivo, per un barlume di presente.
Prego che il tuo amico sia così veloce ed abile da sconfiggere il mio Signore e padrone, dovrei dire il mio aguzzino, prima che io incontri il mio destino, ma io Lo conosco meglio di lui, so che da solo non ce la farà mai. E tremo al pensiero che tu sarai con lui, nella battaglia finale, affronterai il pericolo e rischierai la morte.
Darei la mia vita per salvarti, ma non so nemmeno come salvare i miei genitori e dispero di poter salvare me stesso.
Perché, Merlino, perché?

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Dopo quel primo bacio, avevano inutilmente cercato di evitarsi, ma non c’era nulla da fare. Durante le lezioni si scambiavano occhiate di sottecchi, senza dirsi nulla, per poi nascondersi dove capitava e baciarsi ed accarezzarsi, voracemente, senza dirsi nulla. Si erano cercati ogni volta che potevano, nascosti nei bagni, in classi vuote, dietro il campo da Quidditch durante le partite, con tutta la scuola ad ululare ai giocatori e loro a bruciare di passione insieme, senza quasi dirsi nulla, vergognandosi entrambi di quel legame ben di più che peccaminoso, quasi un tradimento alle rispettive case, ai legami d’amicizia, alle posizioni opposte, finché non arrivò Natale ed Hermione decise che era ora di troncare. Gli fece trovare un bigliettino, in un libro, dopo la lezione di Pozioni durante la quale aveva cercato in tutti i modi di non guardarlo.
A pranzo. Stanza delle Necessità. Dobbiamo parlare.”
Lei arrivò per prima. La stanza era praticamente vuota, solo un tavolino, un paio di sedie e una candela. Quando Draco arrivò la trovò seduta, con gambe e braccia incrociate, che guardava nel vuoto.
Hermione gli lanciò solo un breve sguardo, al suo arrivo, e poi passò oltre. Non voleva vedere quant’era bello con lo sguardo perplesso, smarrito.
Questa cosa deve finire.” gli disse, prima che lui potesse addirittura sedersi di fronte a lei.
Che cosa?” chiese Draco, con un tono tra lo sgomento ed il difensivo.
Hai sentito, dobbiamo smetterla di… vederci, Malfoy!” disse cercando d’esser dura.
Oh. Mi chiamavi Draco, la volta scorsa.”
Lei strinse le labbra. Talvolta somigliava incredibilmente alla McGranitt, nei gesti. Questo pensiero strappò un mezzo sorriso a Draco, nonostante la situazione. Stava per rispondere, ma Hermione fraintese il sorriso e fece per alzarsi.
Bene! Vedo che sei del mio stesso parere, allora! Non abbiamo più nulla da dirci, e da ora in poi sarà come se nulla fosse mai successo!”
No!” fece in tempo a dire, frapponendosi tra lei e la porta “No, Hermione, non sono d’accordo, affatto! Io…” si trattenne, non sapeva che dire.
Tu, Draco?” ribatté lei “Non vorrai dirmi che ci tieni a me, vero? Lo so benissimo, cosa credi, che questo è solo un modo per prenderti gioco di me… quanto ridi di me con i tuoi compagni, dimmi?”
Non ci rido con nessuno, credimi! Nessuno sa di noi due, te lo giuro!”
Già, ti vergogni troppo a dire che ti fai baciare da una Sanguesporco, vero? Paura che ti passi qualche malattia? Però è utile per umiliarmi, vero, che io non sia riuscita a resisterti, finora?” disse, accalorandosi. Eppure era sbalordita per lo sguardo perso di Draco, dov’era finito l’arrogante bastardo che avrebbe dovuto insultarla, ora che il suo gioco era finito?
No! Non mi vergogno di baciarti, Granger! Mi vergogno per tutte le stronzate che ti ho detto in questi anni, ma non mi vergogno affatto di essere attratto da te! Mi spiace solo che non mi crederai mai, se ti dico quello che provo!”
Hermione restò letteralmente senza fiato. Tutto si era aspettata, soprattutto che lui finalmente gettasse la maschera e la prendesse in giro per essersi fatta mettere la lingua in bocca da uno che diceva di disprezzare, ma mai più che le dicesse cose del genere… dentro di lei si mosse qualcosa, un blocco si smosse e la lasciò più leggera. Aveva passato le ultime notti a piangere, per la disperazione di essersi infatuata così follemente di un uomo che disprezzava, di esser così tanto schiava dei sensi da non potergli resistere, al punto da sognarsi le sue lebbra, le sue mani in ogni istante, e da non riuscire a impedirsi di baciarlo e toccarlo ogni volta che la distanza tra loro si riduceva. Aveva cercato in tutti i modi di sottrarsi a questa storia, ma era più forte di lei, e lui pareva altrettanto affamato di lei quanto lei di lui. Ma ora, scoprire che in lui non c’era volontà reale di farle male, andava oltre ogni capacità di comprensione di Hermione.
Fu Draco a cercare di spiegarle.
Io non so perché ci è successo, Hermione, ma questo è: mi fai impazzire. Ti penso in continuazione, mi manchi da morire tutte le volte che non ti vedo e… dannazione, avrei talmente tante cose da dirti che non so nemmeno da dove cominciare!” concluse, rimettendosi a sedere e passandosi una mano tra i capelli, scosso fino alle ossa. Non aveva mai pensato di parlarle così, a dire il vero. Si era tenuto tutto dentro, nonostante il fuoco che lo bruciava quando pensava a lei gli avesse fatto credere che si trattava solo di sesso e niente più, inizialmente, ma ora che aveva cominciato a parlarle, che rischiava di veder finire tutto prima ancora che cominciasse, quello che stava per confessarle lo aveva lasciato sgomento, quasi terrorizzato. Non sapeva come continuare, ma doveva farlo e quello che le disse era direttamente dal suo cuore, senza filtri di ragionamento, perché non aveva tempo, per quelli, ora che la stava perdendo.
Non ho mai provato per nessuna quello che sento per te, Hermione. Non so nemmeno io che cosa sia, ma mi fa bruciare come se mi torturassero. Lo so benissimo che abbiamo passato il tempo ad insultarci ed odiarci, negli ultimi cinque anni, e non mi spiego perché le cose siano cambiate, ma è così. Mi fai impazzire, mi fai sognare cose che non ho mai sognato su una ragazza ed è più forte di me, non riesco a farne a meno.”
Hermione tornò a sedersi con lui attorno al tavolino, senza osare guardarlo negli occhi. Fu lui a metterle una mano sotto il mento e ad obbligarla a guardarlo. Ciò che vide nelle sue iridi, così chiare da sembrare trasparenti, fu più forte di lei. Si trovò di nuovo avvinghiata a lui, a cancellare paure e dubbi nella passione dei suoi baci.
Furono richiamati alle lezioni dalla campanella, ma da quella sera e per tutto il tempo a venire, cominciarono a parlarsi, a cercare di capire perché erano attratti l’uno dall’altra, con il risultato di sentirsi ancora più ferocemente legati a quella passione divorante.

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Amore mio, non avrei mai creduto che qualcuno arrivasse a conoscermi tanto bene quanto te. Hai esplorato la mia anima meglio di quanto abbia mai osato fare io stesso, ti ho raccontato cose che nessuno mai ha sentito uscire dalle mie labbra ed io ho visto in te un’Hermione che non sospettavo nemmeno esistesse, della quale mai avrei osato dire tutte le cattiverie che ho detto di te in questi anni. Nei tuoi occhi mi sono visto riflesso meglio che in qualunque specchio ed ho voluto guardare in fondo alla tua anima, perdendomi nella grandezza del tuo cuore, mia dolcissima. Ti ho mostrato tutto il mio amore, più volte. Non hai voluto credermi ed io non posso biasimarti. Ti ho insegnato per anni ad odiarmi, non posso pretendere che impari a fidarti e ad amarmi in un batter d’occhio. Se ripenso a tutto quel che ci siamo detti, gli anni scorsi, ed a tutto quello che ci siamo detti in queste settimane, ho addirittura l’impressione che si tratti di due persone diverse, di tutt’altra storia. Mi rendo conto che ti ho sempre mostrato il mio lato peggiore e tu mi hai fatto dubitare di averne uno migliore da mostrarti. Ma mi hai creduto, almeno, quando ti ho raccontato chi sono davvero. Mi hai creduto, quando ti ho detto che non sono una persona malvagia, che mi sono solo trovato dal lato più perverso della barricata prima di capire davvero che cosa voleva dire.
Lo penso sempre più spesso, è assurdo che ci sottopongano allo Smistamento il primo anno, quando non sappiamo che cosa vogliano davvero dire appartenere ad una casa piuttosto che ad un’altra. Non dico che vorrei esser stato smistato a Grifondoro, no, non mi sentirai mai sostenere una cosa del genere… tuttavia, il fardello di Serpeverde è pesante da portare, se già ti grava sulle spalle il peso di essere un Malfoy. Il solo Malfoy della tua generazione, per altro. Di una generazione che non ha altri discendenti che te, sia per i Malfoy, che per i Black, che per i Lestrange. Ti sei mai accorta che i Serpeverde sono metà, rispetto a tutte le altre case? Non è solo perché sono poche le famiglie Purosangue, è che ne son rimasti ben pochi fuori da Azkaban a far figli.
E quando abbiamo fatto l’amore, finalmente, hai creduto anche al mio sentimento. Ma non ti sei accorta della menzogna più grande di tutte, Hermione. Hai voluto credere che mi fossi davvero fatto male alle braccia durante l’allenamento di Quidditch, che sotto le bende che portavo su entrambi gli avambracci ci fossero solo ferite sanguinanti, ed invece stavo celando il Marchio Nero, sul braccio sinistro, amore mio.
Il marchio del tuo nemico. La mia condanna.
Merlino, com’è possibile tutto questo?
Sei stata la più incredibile notte di sesso della mia vita. E se anche a diciassette anni magari non ho tutta l’esperienza del mondo, di sesso ne ho fatto parecchio, qua dentro, ma quello che ho provato con te non lo avevo mai nemmeno sognato. Non puoi immaginare quello che non sai possa esistere, è come chiedere ad un cieco dalla nascita di immaginare un colore.
Mi hai fatto viaggiare per giorni ad un metro da terra, dimentico di tutto a parte il tuo odore, la tua pelle, le tue parole, i tuoi sussurri. Mi sono dimenticato anche del Marchio. Del Signore Oscuro, di tutto. Finché il Marchio non ha ricominciato a bruciare.
Sembra che Lui sappia quando mi sto allontanando dal sentiero, che possa comandare alle rocce, mi sembra di averlo sempre addosso, che mi guarda e mi spinge nella direzione in cui non voglio andare. Ma almeno non comanda sul mio cuore. Quello no! Non lo comando nemmeno io, lo so per certo, perché sei tu a farlo, Hermione Granger. Tu e nessun altro, finché campo. Per quel poco che mi resta da campare, a occhio e croce.
Hai provato tante volte a dirmi che c’è sempre una possibilità di scelta, che se vado dalla mia vittima designata a chiedere aiuto, mi sarà dato, ma non ci sono altre vie, per me. Quella via non esiste, per me. Hai cercato tante volte di trovare il modo di portare alla luce la nostra storia, di immaginare un futuro per noi due, ma non esiste, esistono solo fragili attimi di presente, per noi. Ed ora nemmeno quelli.
Non sono ancora riuscito a dirtelo, a voce, ma qua posso farlo, mia amata. Qua non ho paura di confessartelo, quanto disperatamente ti amo. Qui posso gridarlo a gran voce, sapendo che nessuno mi sente, nemmeno tu, amore mio. Mia sola ed unica. Mio infinito amore. Lo affermo, prima che il Signore Oscuro si prenda la mia vita, per punire mio padre dei suoi errori.
Perché ho capito che non si aspetta che io riesca, sa che non riuscirò, come lo so io. Mi ucciderà davanti agli occhi di mio padre, ma almeno morirò con la coscienza pulita, perché voglio che tu lo sappia, amore mio. Non voglio uccidere Silente, non ho mai voluto farlo. Ma è tempo di agire. Qualcosa deve essere fatto, se non voglio portare la mia famiglia con me devo almeno tentare, solo così posso sperare di salvare mia madre. Domani attiverò il piano che ho dovuto escogitare. Domani incontrerò il mio fato, fallirò ed andrò ad abbracciare la mia morte.
Vivi anche per me amore mio. Vivi ed uccidi il demone che ha condannato tutti noi all’infelicità ed alla sofferenza. Che tu ed i tuoi amici possiate riuscire, dove io non ho nemmeno osato pensare di provare. E che la mia morte serva a far comprendere a mio padre chi sia davvero l’uomo che lui ha scelto di servire.
Perdonami per tutte le menzogne, gli errori, la paura. Perdonami se ti ho infilato con me in quest‘incubo senza fine. Perdona se ti ho insultato per anni. Perdonami se alla fine il mio amore ti ha portato solo altro dolore immeritato, ma non posso farne a meno.
Ti amo, Hermione Granger.
Tuo, semplicemente, Draco.

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Hermione trovò il plico di lettere sul letto, dove lo aveva depositato un gufo, la mattina dopo la morte di Silente. Erano legate con il nastro per capelli che Draco le aveva rubato dopo la loro notte d’amore. Erano avvolte nella carta dell’ufficio postale di Hogsmeade, con la raccomandazione di recapitarla solo in quella data. Non riuscì a leggerlo fino a dopo il funerale, dopo che Harry ebbe raccontato loro tutto quello che era successo, dopo che ebbe descritto Draco esitare, tremare di fronte a Silente che lo esortava a cambiare strada. Hermione piangeva da tutto il giorno, non sapeva più dire per chi, se per il preside tanto amato o per l’amore perduto. Quando lesse le lettere, nel cuore della notte, sotto le coperte illuminata solo dalla luce fioca in cima alla bacchetta, avrebbe voluto morire, buttarsi giù dalla torre di Astronomia e farla finita con tutto quel dolore. Pianse per Draco tutte le lacrime che le erano rimaste dopo aver pianto per Silente e non credeva di poterne avere ancora così tante. Rilesse mille volte le sue parole, la scrittura sempre più frenetica ed incomprensibile, finché non le imparò quasi a memoria. Osò sperare che poiché Piton aveva infine ucciso ugualmente Silente, a Draco potesse esser risparmiata la vita. Non poteva credere che lo stesso che dichiarava con quelle parole strazianti tutto il suo amore per lei, che lei stessa aveva scoperto di amare più della sua stessa vita, più della fedeltà a Grifondoro ed a Silente, fosse lo stesso che aveva tramato per uccidere il preside ed aveva quasi rischiato di uccidere Katie Bell e Ron. Si sentì spezzare qualcosa dentro ed ebbe paura di non poter tornare mai più integra.
Quando il sonno venne a portarle un po’ di oblio, all’alba, Draco venne a trovarla nei sogni. Era in una specie di sotterraneo, seminudo, ferito, scorticato da quelle che sembravano frustate su tutta la schiena ed il petto, persino sul viso, ma vivo. Era seduto per terra, con la testa tra le mani, ma quando lei si avvicinò alzò lo sguardo e la vide. Le sorrise, il volto rigato di sangue e lacrime sembrò ritrovare vitalità. Aprì la bocca per parlare, ma non uscì un suono, eppure Hermione percepì chiaramente quello che voleva dirle.
Sono ancora vivo. Ti amo. Perdonami, se puoi.”
Hermione si svegliò di soprassalto. La professoressa Cooman aveva sempre sostenuto che lei non possedeva l’Occhio Interiore, ma quella mattina non le credette. Il suo Draco era ancora vivo, da qualche parte, ed il loro amore ancora intatto. Lei sarebbe andata a prenderlo, passando sul cadavere di Voldemort, con Harry e Ron.
Nulla può fermare l’amore vero.

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Alla Malfoy Manor, Draco si svegliò, nel sotterraneo. Aveva sognato Hermione che piangeva nel suo letto, a scuola. Poi lo aveva visto, e si era voltata per parlargli. Non aveva detto una parola, ma Draco aveva capito benissimo cosa voleva dire.
Anch’io ti amo. Verrò a prenderti. Resisti.”
Nel buio della cantina, ferito, affamato, ascoltando le grida di qualcuno che veniva torturato in lontananza, Draco scoprì di sentirsi stranamente felice. Lei, da qualche parte, lo amava ancora e gli credeva. Si rilassò, si lasciò andare di nuovo nelle braccia del sonno. Prima di addormentarsi, si permise un sorriso.
Nessuno ferma l’amore vero, nemmeno Voldemort.

FINE